Oggi, 15 settembre 2023, Tommy Lee Jones compie 77 anni. Non avrebbe bisogno di presentazioni, ma a chi ne sfuggisse il volto facciamo il nome più pop: Agente K, Man In Black. Ma Tommy Lee Jones è stato lo Sceriffo Bell di Non è un paese per vecchi, l’Harvey Dent di Batman Forever e Samuel Gerard de Il fuggitivo, che gli è valso l’Oscar. Una filmografia stellare, quella di Jones, ricca di personaggi grigi, sfumati, ambigui. Quel volto irregolare e butterato, con un che da vecchio saggio, gli è spesso valso ruoli da mentore, figura paterna, baluardo di tempi ormai andati o, perché no, talvolta da cattivo consumato. Il suo personaggio in Nella valle di Elah riassume tutte queste sfaccettature.
Si tratta di uno dei ruoli meno noti al grande pubblico, ma non di minor prestigio. Nella Valle di Elah, presentato del 2007 al Festival del Cinema di Venezia, è stato a un passo dal Leone d’Oro, poi vinto da Lussuria – Seduzione e tradimento. Tommy Lee Jones interpreta Hank Deerfield, ex sergente della polizia militare, il cui figlio, di recente tornato dalla guerra in Iraq, sembra essere scomparso. Una storia vera, fortemente politica, ferocemente critica nei confronti dei corpi militari americani, ancora attualissima. Non stupisce che negli USA sia stato un flop. Oggi puntiamo nuovamente i riflettori su Nella Valle di Elah e sulla meravigliosa interpretazione di Tommy Lee Jones, sui pericoli di cui ha provato ad avvertirci. Avvertiamo subito che ci saranno SPOILER.
Nella Valle di Elah: la trama

Hank Deerfield è un ex sergente di polizia militare che, nel cuore, non ha mai abbandonato la caserma. Sguardo severo, bocca stretta in una linea dura, voce inflessibile: una maschera di pietra. Quando riceve una telefonata che l’avverte che suo figlio, soldato di ritorno dalla guerra in Iraq, risulta assente, Hank non batte ciglio. Mike sarà fuori a festeggiare, ma non c’è ragione di preoccuparsi: uno che ha fatto la guerra sopravvive a tutto. Per sicurezza, però, Hank inizia a fare domande in giro, se qualcuno ha visto il ragazzo nella foto che tiene nella giacca, il figlio militare di una vicina di casa in pensiero, no, non certo il suo, perché Hank non è padre di un presunto disertore.
Alla fine, Hank trova suo figlio, in un campo d’erba, smembrato arto per arto. I logici colpevoli sembrano essere i compagni di caserma di Mike: erano con lui la sera dell’omicidio e sono reduci di una delle guerre più violente della storia recente. La morte per loro è poco più di uno strumento di lavoro. Hank, ovviamente, rifiuta questa versione dei fatti. Bibbia, bandiera e uniformi sono la sua santissima trinità. Non ammazzi uno con cui hai visto la morte in faccia e se non sei stato in guerra non lo puoi capire, continua a ripetere. Bibbia, bandiera e uniformi: il treppiedi su cui Hank ha costruito la sua intera vita. Basta che a cedere sia una gamba sola e poi crolla tutto.
Another cog in the murder machine

Ogni conversazione tra Hank e un esponente dell’esercito sembra una raccolta di slogan da una campagna elettorale repubblicana: eroi che rischiano la vita per la patria, esportano la democrazia, onore e gloria per le loro famiglie, disciplina, ferrea disciplina. Com’è lecito aspettarsi, però, Hank è disposto a infrangere qualche regola quando si tratta di suo figlio. Prima ancora di sapere della morte di Mike, Hank ruba il cellulare del figlio da un cassetto della caserma per rintracciarlo. Poi mente con disinvoltura per ottenere informazioni, e infine picchia selvaggiamente l’uomo che crede responsabile della morte di Mike. Siamo lontani dall’ossequiosa ubbidienza militare a cui Hank dice di attenersi, ma a che punto non si spinge un genitore per un figlio?
Ma a ben vedere, gli atteggiamenti di Hank non risultano un’eccezione dettata da amore paterno, ma sembrano prerogativa di tutti i membri del corpo militare. I soldati del plotone di Mike infrangono in continuazione il regolamento e mentono con naturalezza sulla morte del compagno, che hanno accoltellano quarantadue volte, smembrato e poi bruciato per nascondere le loro tracce, con meticolosità, disciplina, ferrea disciplina. Hank non è un’eccezione, è la regola. É uno di loro, in tutto e per tutto: stessa scuola, classi diverse. Non è il caso di poche male marce, è il terreno a essere contaminato. Hank, Mike e i suoi assassini: l’unica differenza che intercorre tra di loro è un battuto cardiaco, sono tutti prodotti della stessa macchina infernale.
Boys don’t cry

È proprio questa la verità più cruda da accettare per Hank: vittima e assassini sono accomunati dalla stessa crudeltà. Sul cellulare di Mike, Hank recupera dei vecchi video in cui il figlio tortura dei prigionieri di guerra tra le risate dei compagni, infilando le dita nelle ferite delle vittime. “Era un modo per metabolizzare” commenta uno dei soldati. Quando tempo prima, Mike aveva chiamato in lacrime dell’Iraq suo padre implorandolo di portarlo via da quell’orrore, Hank era stato lapidario: “Sono i nervi a parlare” e un implicito “fa’ attenzione che nessuno ti senta piagnucolare”. Non piangere, combatti, fai l’uomo, reprimi, reprimi, reprimi. In modo tragicamente ironico, è proprio il consiglio di Hank a condannare il figlio.
Durante l’intero film, Hank non versa una sola lacrima. Il dolore si manifesta con rabbia, scatti d’ira, violenza, mai un momento di debolezza, solo eccessiva forza bruta. Tutt’al più, trema la mano che tiene la cornetta del telefono nell’annunciare alla moglie la morte del figlio. Poi la telecamera si allontana, perché se Hank piange, non lo farà davanti a noi. I traumi soppressi lottano per uscire, e quando non lo fanno tramite i dotti lacrimali, trovano altre vie, solitamente più pericolose. Mike ha un fucile tra le mani, la facoltà di uccidere e il divieto di provare debolezza, basta un momento di incertezza per ritrovarsi una pallottola in fronte. Nella testa l’esempio paterno: reprimi, reprimi, reprimi, a ogni costo.
Davide e Golia nella Valle di Elah

A sentire della morte di suo figlio, la moglie di Hank (Susan Sarandon) piange disperata alla cornetta “Tutti e due i miei ragazzi, Hank”, la sentiamo singhiozzare. Mike aveva un fratello maggiore, David. Ovviamente, militare anch’egli, così come il padre, così come il nonno in Vietnam. Morto in un incidente con un elicottero. Mike è il secondo figlio che Hank sacrifica all’altare della patria, novello Abramo a cui non è venuto in soccorso alcun Dio. Nell’episodio biblico preferito di Hank, Davide e Golia si scontrano nella valle di Elah. Davide è poco più di un ragazzino costretto ad affrontare un gigante. La prima cosa da affrontare però, dice Hank, è la sua stessa paura, ed è così che sconfigge Golia.
Ma dopo aver colpito Golia con il suo proiettile da fionda ed essersi sporcato le mani del suo sangue, cosa ne è di Davide? Semplice: è lui il nuovo Golia. Un ragazzino con una fionda letale tra le mani. Alle sue spalle, il popolo esulta e promette di rivestirlo di onori e medaglie, lo invita a tirare di nuovo con la sua fionda, a farne fuori un altro e poi un altro ancora. Gli Stati Uniti amano glorificare, soprattutto al cinema, i loro eroici Davidi (vedasi Top Gun: Maverick, qui la nostra recensione). Nella Valle Di Elah li dipinge per quello che sono: Golia pronti a colpire tutto ciò che si muove, non più spaventati dalla morte, né dalla loro né da quella altrui.
E voi conoscevate Nella Valle di Elah? Cosa ne pensate? Fatecelo sapere nei commenti!