The Suicide Squad di James Gunn datato 2021, nonostante sia stato a tutti gli effetti un flop commerciale all’uscita, è riconosciuto come film di grande valore. Sia il pubblico che la critica ne hanno celebrato i punti di forza e la riuscita. Ma se questo non sorprende poi tanto, visto la fama di Gunn, non dovrebbe esser dato per scontato visto quello che successe nel lontano 2016.
Il primo capitolo sulla Suicide Squad uscito ormai sette anni fa, film ufficiosamente ripudiato dalla stessa DC e da molti che ci hanno lavorato tra cui lo stesso regista David Ayer, sta tutto all’opposto dell’ultimo arrivato. Se Missione Suicida di Gunn è apprezzato un po’ da tutti – e ne torniamo a parlare proprio perché sbarcato ieri sul catalogo abbonati Netflix, tutto per voi – il film precedente è stato massacrato praticamente da chiunque.
Ma quindi cos’è cambiato in The Suicide Squad?

Nel film del 2016 il montaggio è sincopato ma senza un vero senso. Si susseguono scene mozzate con l’accetta, prive di collante o lubrificante di sorta. È evidente come questo taglia e cuci cinematografico raffazzonato, sia il primo e più caustico dei problemi che si ripercuote a cascata sul resto del film. Le scelte qui fatte assumono quasi ossessivamente la forma di violenze contro lo spettatore, rendendo l’esperienza di visione incomprensibile.
La scrittura e la sceneggiatura scricchiolano continuamente, è sempre tutto lì lì per crollare. Non si regge davvero in piedi. Ma è chiaro che anche questo aspetto è molto influenzato dal montaggio. Un mischione sconclusionato di riprese sparse. Zero costruzione, solo un ammasso informe. C’è accumulo senza relazione, tanto che molte azioni ed eventi sembrano accadere per caso senza una vera ragione. Al contrario, nel film di Gunn, che riesce a fare, narrativamente parlando, del caos un elemento di forza e non di debolezza strutturale, tutto è al posto giusto al momento giusto. Ogni cosa fila liscio come l’olio.
Anche i personaggi sono solo un grosso listone di informazioni sciorinato per la prima mezz’ora andante di film. E basta, nient’altro viene aggiunto su di loro. Unica eccezione è forse Harley Quinn, essenzialmente il solo elemento quantomeno efficace dell’intera opera (alla fine è sempre Margot Robbie no?).
Come non costruire il mood di un film

O ti prendi sul serio o non lo fai affatto, questo solitamente è la scelta più “semplice” da eseguire in modo soddisfacente. Oscillare di continuo tra serietà e demenzialità, tra il prendersi molto, molto sul serio e il contraddirsi subito dopo dà vita (in questo caso specifico) ad un grottesco non voluto, mandando a quel paese ogni briciolo di credibilità. Addio sospensione dell’incredulità, senza ricevere nulla in cambio. Tutti sanno che questo è uno degli equilibri più difficili da trovare. Il sottile filo che separa il riuscito dal trash più mediocre.
Gunn ha dimostrato quanto fosse importante per questi personaggi non prendersi sul serio nemmeno per sbaglio, ma questo deriva anche dal suo stile. Fatto sta che la sua scelta è costruita perfettamente.
The Suicide Squad e il suo predecessore: colpe e attenuanti

Dopo questo scagliarsi contro la pellicola Suicide Squad di David Ayer, non deve però sembrare che tutta la colpa ricada sul povero regista. Si sa, infatti, che dietro al disastro c’è stata la pesante ed invadente intromissione della produzione. Lo stesso Gunn, interrogato più volte riguardo a questo reboot, ha difeso David Ayer spezzando diverse lance a suo favore, confermando che la versione originale del film montata secondo la visione originale che ha potuto visionare, non era affatto male e che non aveva nulla a che fare con quella uscita in sala.
È pertanto evidente come David Ayer sia sollevato dalla totale responsabilità di questo risultato. Il processo di post-produzione profondamente travagliato del film, durante il quale la Warner Bros e la DC hanno, per usare un eufemismo, spinto per avere un tono più leggero e più comico ha minato alla base quelle che erano le potenzialità del progetto iniziale, scombinando completamente la visione con cui era stato girato il film. Dell’impronta del regista è sicuramente rimasto ben poco.
Morale della favola?

Il caso The Suicide Squad è l’esempio lampante del pericolo che può rappresentare l’eccessiva intromissione dell’industria che arriva a togliere ogni libertà ai suoi autore e registi. È vero che non si tratta sempre e per forza di un sistema oppressivo che elimina ogni afflato artistico, ma tant’è. C’è però qualcosa di ironico in tutta questa vicenda, ovvero il ruolo che ha avuto James Gunn. Dopo essersi allontanato dalla Marvel per delle sue dichiarazioni passate, che pentitasi gli aveva chiesto di tornare, è infatti stato accolto dalla DC proprio per questo film, divenendo ad oggi uno dei CEO che gestirà il futuro del DCU.
Nonostante il risultato del 2016, particolarmente brutto, c’è da dire che sotto lo strato di confusione c’è effettivamente qualcosa. Si sente che, anche nel progetto di allora, c’era un cuore. Peccato che si sia perso da qualche parte tra la finalizzazione del girato e la sua uscita in sala. Gunn fortunatamente è riuscito a raccogliere l’eredità e portarla a compimento col suo The Suicide Squad, valorizzando al massimo tutti questi pazzi suicidi. Speriamo solo sia il primo capitolo di un brillante futuro.