Reduce da una delle premiazioni nazionali più prestigiose, Le Otto Montagne, la pellicola firmata da Felix Van Groeningen (Beautiful Boy, Alabama Monroe) e Charlotte Vandermeersch, il duo belga del cinema europeo delicato, torna a casa con ben quattro David di Donatello, tra i quali quello per il miglior film e la miglior sceneggiatura adattata.
Ispirato all’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, il film ritrae perfettamente l’amore per le lande aperte ed infinite della Valle d’Aosta che fanno sentire l’uomo, così piccolo, in particolare i due protagonisti Pietro e Bruno, rendendolo un viandante-filosofico, che questiona sui rapporti, sul suo ruolo e sull’umanità più in generale. Paesaggi caustici ma anche generosi, su cui i due registi hanno indugiato parecchio.
Come altri dello stesso anno, Le Otto Montagne è stato girato in formato 4:3. Ma per un film psicologico e di riflessione, fatto di silenzi e panorami che di solito verrebbero valorizzati di più con un campo lungo, se non lunghissimo, perché scegliere di utilizzare il quadrato per stringere e schiacciare tutto?
Forse un po’ per moda? Oppure per nostalgia da ricambio generazionale? O magari per soddisfare quel bisogno così odierno di adattare il cinema al formato televisivo?
Un passo indietro: lo standard prima della scelta stilistica

Per farla breve, le proporzioni 4:3, dette anche aspect ratio, prima di diventare la firma stilistica di alcuni registi, erano lo standard e sono state uno dei primi formati usati nei televisori fino all’arrivo delle riprese più panoramiche. Era semplicemente ciò che veniva offerto in quel momento dalla tecnologia dell’epoca.
Da dieci anni a questa parte, però, un po’ per questioni di budget, ma soprattutto come caratteristica autoriale di tutto quel filone indie del cinema, questo tipo di formato box si sta (ri)facendo strada fino ad arrivare su universi più ampi come quello dei DC Studios.
The Artist (2011), il film da cinque Oscar di Michel Hazanavicius, fece in tal senso da apripista: ambientato in quella fetta temporale in cui avvenne il passaggio dal muto al sonoro, infatti, racconta carriere in rovina e in ascesa in bianco e nero; il formato utilizzato fu proprio quello desueto dei 4:3 come se fosse una pellicola d’epoca. Da quel momento sempre più registi hanno iniziato ad inserire frame in 4:3: da Robert Eggers con Lighthouse, a Jonah Hill con Mid 90’s, fino a Wes Anderson che in Grand Budapest Hotel (film che si sviluppa su due linee temporali diverse) racconta il passato inscatolandolo nell’aspect ratio.
Il 4:3, da Le otto montagne raggiunge i super eroi

Sorprendente è l’uso recente del 4:3 in prodotti che nascono appositamente per sfruttare al massimo i campi più estesi. Uno tra gli esempi più lampanti è Justice League di Zack Snyder. Il cinecomic targato DC, infatti, sulla piattaforma ufficiale di streaming HBO Max viene preceduto dall’avviso “Questa pellicola è presentata in formato 4:3 per preservare l’integrità della visione creativa di Zack Snyder”. Ma perché?
Il film era originariamente destinato all’uscita nelle sale ed i fotogrammi più piccoli e non stiracchiati proiettati sul gigaschermo avrebbero restituito allo spettatore immagini con nitidezza e stabilità ineguagliabili. Ed in questo modo fu portato (con molte critiche) sui televisori di milioni di persone, in modo da rispettare e valorizzare la verticalità degli effetti visivi.
Da quell’anno in poi i film in aspect ratio si sono moltiplicati quasi a rappresentanza della tradizione del cinema e dei vecchi telefilm come è accaduto con Wanda Vision, la prima mini serie TV ambientata nell’universo Marvel e firmata da Jac Schaeffer, sbarcata con enorme successo su Disney+.
La cornice (psicologica) di Bruno

La volontà di dare visivamente forma alla psiche dei personaggi, ed in particolare quella di Bruno, ne Le otto montagne passa anche attraverso la dimensione chiusa, faticosa e bloccata del quadrato. Una scelta stilistica quasi inusuale rispetto ai canoni utilizzati in film in cui il potenziale degli scenari della montagna è sia sfondo che protagonista.
Un’altra interpretazione potrebbe riguardare la voglia di delineare in maniera molto rispettosa e all’interno di una cornice umana, il limite mentale del personaggio del montanaro che non riesce a vedere oltre la sua terra, a vivere al di fuori delle sue condizioni di isolamento fino a morirci letteralmente dentro.
Galeotte furono le fotografie

Le teorie possono essere le più disparate (e poetiche). In realtà sembra esserci meno dietrologia di quanto si possa immaginare e molta più casualità. I registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch hanno spiegato di aver scelto questo tipo di formato per seguire le indicazioni e gli spunti cartolineschi ricevuti dall’autore del romanzo Paolo Cognetti, che ha mandato loro le fotografie reali dei luoghi.
Le otto montagne e gli altri

L’anno in cui Le otto montagne vinse il Premio della giuria al 75° Festival di Cannes, non fu l’unico ad essere presentato in 4:3. Fu il caso di Nostalgia, il ritratto di Napoli cupo, abrasivo e allo stesso tempo affettuoso di Mario Martone, Marcel! la fiaba sfrontata ma gentile ed emotiva di Jasmine Trinca e Le vele scarlatte il film-poesia sull’emancipazione umana di Pietro Marcello.
Sicuramente la distribuzione digitale, che i più tradizionalisti definiscono distruttiva per il “vero” cinema, ha debellato lo standard definitivo. Rapporti diversi infatti possono essere schermati ed è quindi possibile utilizzare nei televisori tutte le proporzioni. Il passo indietro che molti registi compiono forse, oltre che una scelta (furba) prettamente distributiva, serve per dire allo spettatore “questo è un film”. Serve per comunicarci di essere al cinema a guardare qualcosa proprio come si faceva una volta, una storia più o meno personale, ma pur sempre una storia racchiusa in quel quadrato la cui base è lunga 1,33 volte l’altezza.
Un omaggio o scelta produttiva Le otto montagne in streaming ci è arrivato: è disponibile dal 15 maggio su Prime, ma potete trovarlo anche su NOW TV e Sky.