A distanza di quattro anni da Pinocchio, e per la prima volta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Matteo Garrone arriva contemporaneamente nelle sale lidensi e in quelle di tutta Italia con Io Capitano. Dodici minuti di applausi in Sala Grande, in occasione della première mondiale, ma anche la sensazione generale che possa essere riuscito nell’ardua impresa di mettere d’accordo quasi tutti. D’altronde Garrone è sempre stato uno dei registi italiani dal respiro più internazionale, ma anche uno di quelli che – insieme a Paolo Sorrentino su tutti – ha sempre messo la bellezza al primo posto, accentrando su di sé numerose critiche.
E allora è curioso constatare come entrambi, con le loro ultime opere, presentate a distanza di due anni in concorso a Venezia, abbiano invece deciso di scendere a patti con se stessi, con la propria visione cinematografica, incontrando un riscontro sostanzialmente unanime. Se È Stata la Mano di Dio conquistò il Leone d’Argento per il Gran Premio della Giuria, e fu scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar, Matteo Garrone con Io Capitano sembra, senza alcun dubbio, poter percorrere quella strada tracciata da Sorrentino. Lo diciamo sottovoce, ma la premiazione di Venezia 80 si avvicina, e qualcosa di grande sembra bollire in pentola.
Io Capitano: il viaggio di Seydou e Moussa
Seydou è un ragazzo di sedici anni che vive con la famiglia in Senegal. Insieme a Moussa, suo cugino, lavorano però segretamente, mettendo da parte i soldi per compiere il grande viaggio verso l’Europa, sperando in un futuro migliore per loro e per le proprie famiglie. Quando Seydou rivela alla madre di voler partire, lei si dimostra da subito fermamente contraria, ma dopo qualche ripensamento, sceglie comunque di partire insieme a Moussa. I soldi non sono molti, bastano a malapena per pagare il viaggio ad entrambi. Dovranno comprare un passaporto contraffatto, pagare una guardia alla dogana, e infine i trafficanti per attraversare il deserto.
È proprio tra le dune di sabbia che le strade di Seydou e Moussa si separeranno. Il primo, condotto in una prigione insieme agli altri migranti. Il secondo, portato via dalle guardie per aver nascosto i soldi. Quando Seydou verrà liberato dai carcerieri, riuscirà a dirigersi a Tripoli, ma lì non si imbarcherà, convinto di ritrovare suo cugino e di partire nuovamente insieme verso l’Italia. Così sarà in effetti, ma Moussa, ferito a una gamba da un proiettile, avrà urgente bisogno di cure mediche. Seydou, con i pochi soldi guadagnati, accetterà di guidare la barca pur di salvarlo.
Io Capitano: la speranza nella tragicità

Dopo aver portato sul grande schermo l’ennesima trasposizione cinematografica della favola per eccellenza, Matteo Garrone si approccia a un tema decisamente delicato ed estremamente attuale, senza rinunciare però a una visione fiabesca, che lo accomuna, in un certo senso, proprio a Pinocchio. Esattamente come il personaggio partorito dalla mente di Collodi, Seydou e Moussa compiono un viaggio della speranza, quello che molti altri prima di loro hanno fatto, e dopo di loro faranno. Speranza forse è proprio la parola che aleggia maggiormente durante la visione di Io Capitano, e il modo in cui Garrone tratta il tema dell’immigrazione è coraggiosissimo, perché estremamente aleatorio.
Il regista sceglie infatti di edulcorare la componente tragica, concentrandosi raramente sulla drammaticità degli eventi, mostrando la crudeltà soltanto in limitati frangenti, esaltandone quindi l’impatto emotivo sullo spettatore. Il viaggio dell’eroe che Garrone orchestra per i propri personaggi è un’epopea della speranza, e Io Capitano è un film estremamente toccante, di una delicatezza disarmante, mai inutilmente retorico. Non cerca morbosamente le lacrime dello spettatore, nonostante ci riesca, ma piuttosto ci mette di fronte alle emozioni e alle ambizioni di due personaggi, o meglio di due persone, che dovremmo sentire estremamente vicine, e che a volte invece non riconosciamo nemmeno come tali.
Garrone e la ricerca della bellezza

C’è un altro film in concorso all’80° Mostra del Cinema di Venezia che racconta l’immigrazione – in particolare quella dei rifugiati al confine tra la Polonia e la Bielorussia. È Zielona Granica (Green Border), e guardandolo a distanza di poche ore da Io Capitano, non si può fare a meno di pensare quanto l’approccio di Agnieszka Holland sia diametralmente opposto a quello di Matteo Garrone. Bianco e nero, punto di vista documentaristico, critica sociale immediata, evidente drammaticità, e la sensazione interiore che questo sia il modo più adeguato, quello più rispettoso, di trattare l’argomento.
Poi però usciti dalla visione di Io Capitano, tutte quelle certezze sembrano sgretolarsi, perché la visione di Matteo Garrone ci appare incredibilmente affascinante, forse per il nostro bisogno intrinseco e primordiale di ascoltare, leggere e vedere favole che sappiano trasportarci al di fuori della realtà. Così – nonostante l’approccio fiabesco di Garrone non abbia propriamente quello scopo -, godere della bellezza cinematografica di Io Capitano, in relazione al tema di cui tratta, ci fa sentire sporchi, tremendamente sbagliati, e ci porta a porci in maniera critica riguardo alla questione.
L’immagine come specchio della speranza

Matteo Garrone dipinge quadri in movimento, inserisce meravigliose sequenze oniriche all’interno del film, immortala la bellezza della speranza, ed è proprio nella misura in cui sceglie di fare questo che deve necessariamente servirsi di immagini che sappiano restituire allo spettatore queste emozioni. La donna col vestito verde che vola, leggerissima e libera, mano nella mano con Seydou, l’angelo dalle ali di paglia che si libra in cielo, le magnifiche riprese del deserto, la barca che viaggia nell’oscurità del mare, non sviliscono la tragicità degli eventi, ma piuttosto glorificano la speranza, quella di salvare centinaia di vite e gridare al cielo: “Io Capitano”.
Per continuare a seguire le ultime recensioni dalla Mostra del Cinema di Venezia rimanete sintonizzati sui nostri canali. Nel frattempo, se ancora non lo avete fatto, questo è il momento giusto per recuperare la recensione di Poor Things, uno dei grandi favoriti alla conquista del Leone d’Oro, anche se, proprio Io Capitano di Matteo Garrone, sembrerebbe potersi giocare le proprie chance. Venezia 80 è ormai agli sgoccioli.