Nella storia del cinema esistono da sempre attori fortemente legati a un regista in particolare, quello magari a cui devono gran parte della propria carriera o della notorietà. Basti pensare a Federico Fellini e Marcello Mastroianni, a Tim Burton e Johnny Depp, a Martin Scorsese e ovviamente Robert De Niro, o a Woody Allen e Diane Keaton. Tra questi storici dualismi cinematografici, poche coppie di attori e registi devono però l’uno all’altro la propria carriera come Tim Roth e Tarantino.
Le Iene è stato infatti l’esordio dietro alla macchina da presa del regista, nonché un vero e proprio punto di svolta nella carriera dell’attore, permettendogli di collaborare con alcuni dei registi più noti nel panorama mondiale. Certo, dall’altra parte la carriera di Quentin Tarantino sarebbe stata probabilmente la stessa, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte.
La verità è che Le Iene deve gran parte del proprio successo alle straordinarie prove attoriali dei suoi interpreti, Tim Roth compreso quindi, e che se il regista abbia fatto carte false per averlo, un motivo dovrà pur esserci. Nel giorno del 62esimo compleanno del celebre attore, non resta quindi che andare a scoprire gli albori di questa Pulp Story, ma soprattutto omaggiare le tappe che l’hanno resa così iconica.
In principio fu… un imbroglio

Era il 1991, quando Quentin Tarantino riuscì a convincere Harvey Keitel a recitare nel suo film d’esordio, Le Iene. Keitel non rimase soltanto entusiasta della sceneggiatura presentatagli, ma se ne innamorò a tal punto da voler diventare produttore della pellicola. A questo punto entra in scena proprio Tim Roth. Tarantino e Keitel volevano assolutamente che l’attore facesse parte del progetto, così come egli stesso ha ammesso che avrebbe fatto carte false per ottenere un ruolo in quel film.
Il problema di Roth però era uno e uno soltanto: non voleva fare il provino per ottenere la parte. Pensava di non essere in grado, e che svolgendo quel provino avrebbe mandato in frantumi l’opportunità di partecipare a quel progetto che tanto lo aveva colpito.
Fu a quel punto che Tarantino e Keitel utilizzarono un espediente alquanto particolare. Il regista infatti invitò l’attore a bere una birra in un pub. Inutile dire che le birre furono molto più di una, e ormai dignitosamente alticci, i due si spostarono nell’appartamento di Tim Roth, dove l’attore fece finalmente il suo provino, ottenendo la parte. Insomma, possiamo dirlo, in principio fu…un imbroglio.
Le Iene: Tim Roth è Mr. Orange

Voluto quindi fortemente dallo stesso regista, Tim Roth inizia il proprio rapporto con Tarantino a partire dal suo film d’esordio, Le Iene. L’attore veste i panni di Freddy Newandyke, Mr. Orange all’interno della banda di rapinatori di cui il film segue le vicende, ma rispetto agli altri protagonisti nasconde dietro quello pseudonimo un segreto ben più rilevante della propria identità. Freddy infatti è un agente sotto copertura, infiltrato nella banda per riuscire a sgominarla dall’interno. Nella rapina che la polizia avrebbe dovuto fermare sul nascere proprio grazie alle sue indicazioni, succede però che viene ferito, ridotto in fin di vita.
La performance di Tim Roth nei panni di Mr. Orange è sicuramente una delle più convincenti dell’intero film. Il suo è un ruolo chiave e sebbene l’interpretazione risulti estremamente misurata, lascia trasparire un’emotività quasi incontrollabile. Il suo Freddy è un uomo dilaniato dal dolore e dalla paura della morte, un personaggio ambivalente e sicuramente iconico, che lancerà la sua carriera una volta per tutte.
Pulp Fiction: un piccolo grande ruolo

Quello in Pulp Fiction è il ruolo “minore”, considerando il tempo sullo schermo, assegnato da Tarantino a Tim Roth nelle pellicole in un cui hanno collaborato. Probabilmente però è anche quello in cui la stima e l’amore del regista nei confronti dell’attore è più evidente. D’altronde perché assegnare un ruolo così “piccolo” a un attore così grande? Perché in realtà quello di Tim Roth all’interno di Pulp Fiction è un ruolo decisamente più importante di quello che all’apparenza potrebbe sembrare.
Innanzitutto il film si apre e si chiude con le due sequenze in cui l’attore è protagonista, e il finale di Pulp Fiction non è soltanto il momento più alto del film, quello in cui la tensione si taglia col coltello, ma è anche una delle sequenze più iconiche nella storia del cinema. Impossibile poi non sottolineare che il personaggio di Tim Roth è l’unico a vedere il contenuto della valigetta insieme ai due protagonisti. E se non è una dichiarazione d’amore questa…
Four Rooms: un Tim Roth alquanto inedito

Un progetto di per sé assolutamente inedito. Un film diviso in quattro episodi diretti da altrettanti registi, e un protagonista, Tim Roth, alle prese con una sceneggiatura anarchica e un ruolo piuttosto lontano dalla sua comfort zone. Divertente, irriverente e anche un po’ critico nei confronti della società, Four Rooms mette l’attore nelle condizioni di dimostrare la propria versatilità e la capacità di seguire il flusso comico del copione. Probabilmente il fattorino Ted non è il ruolo più iconico di Tim Roth, ma è sicuramente uno di quelli più sperimentali della sua carriera. Un salto nel vuoto con atterraggio in piedi.
The Hateful Eight: Tim Roth ritorna alle origini

L’ultimo capitolo della Pulp Story tra Tim Roth e Quentin Tarantino è proprio The Hateful Eight. L’attore ricopre in questo caso un ruolo di assoluto spessore, vestendo i panni di Oswaldo Mobray, ovvero Il piccolo uomo. Dal momento che il regista ha annunciato che il suo prossimo film, The Movie Critic, sarà anche l’ultimo, la straordinaria performance dell’attore potrebbe quindi diventare anche l’ultima sotto la guida del Re del Pulp. A posteriori sarebbe oltretutto la perfetta chiusura di un cerchio lungo 23 anni, perché per Tim Roth interpretare Oswaldo Mobray è stato come tornare esattamente al punto di partenza.
Proprio come Freddy Newandyke/Mr. Orange ne Le Iene, Il piccolo uomo è un personaggio dalla duplice identità, che cela, dietro i modi garbati e il suo essere “quieto”, la vera natura del suo ruolo all’interno dell’emporio. Una masterclass di recitazione, in cui Tim Roth dimostra una volta per tutte l’assoluta capacità di immedesimarsi in quei personaggi criptici e camaleontici che hanno contraddistinto la sua carriera.
La dichiarazione d’amore esplicita di Tarantino

Se la costanza con cui lo abbia voluto all’interno de Le Iene o la dichiarazione d’amore implicita in Pulp Fiction non vi avesse ancora convinto del tutto riguardo l’amore e la stima di Tarantino nei confronti di Tim Roth, arriva in nostro soccorso una confessione del regista fatta giusto un anno fa. Durante un’intervista infatti, rispondendo a una domanda riguardo gli attori preferiti della sua generazione, ha fatto proprio il nome di Roth, definendolo, guarda caso, “versatile e feroce, un vero camaleonte”.
Dall’altra parte non sono certo mancati, nel corso degli anni, gli attestati di stima nei confronti del regista, che Tim Roth ha definito come il migliore a dirigere gli attori tra quelli con cui abbia lavorato. Parole ovviamente che sanno anche di riconoscenza. Perché se l’attore ha potuto lavorare con alcuni dei più importanti registi, in buona parte lo deve proprio a Tarantino. Non possiamo ancora sapere se i due lavoreranno nuovamente fianco a fianco. Ciò che sappiamo per certo però, è che il loro rapporto è destinato a durare in eterno, perché “chi lavora per Quentin rimane una Iena per sempre”.