The Killer, recensione: un David Fincher glaciale a Venezia 80

The Killer, il nuovo di David Fincher con protagonista Michael Fassbender, è un’operazione di sottrazione quasi inafferrabile. Un film che, per rimanere conforme al sicario protagonista, sopprime volutamente ogni empatia o emozione nel pubblico. Un film glaciale, per raccontare la glacialità.
The Killer, recensione: un David Fincher glaciale a Venezia 80

The Killer è un film strano: lascia di sasso, o meglio ancora di ghiaccio, rispetto alle aspettative che si potevano avere e che di certo aveva fatto sorgere. The Killer è il nuovo film di David Fincher con protagonista Michael Fassbender, in uscita su Netflix dal 10 novembre dopo un passaggio (che dovrebbe essere molto limitato) in alcune sale selezionate . The Killer poteva essere, nelle premesse, uno dei migliori film di Fincher dai tempi di Fight Club, almeno lo si attendeva con questa fiducia. Non lo è. Si esce senza emozioni, quasi delusi che non abbia “osato” di più, che non abbia puntato al capolavoro. Ma più le ore passano, più The Killer diventa qualcosa cui guardare con riscoperto e meravigliato interesse, nel suo essere uno di quei film che “sacrificano” il proprio pathos affinché proprio, l’emozione, sia perfettamente conforme al contenuto. Glaciale, come un omicidio su commissione.

Attenersi al piano di The Killer

La premessa di The Killer è molto meno empatica di quanto la prima sinossi e il primo trailer (che fra l’altro, prometteva benissimo) potessero far pensare. Alla base di tutto, non c’è affatto un affiorare di coscienza e morale, di senso di colpa che prenda il posto dell’impassibilità, in questo sicario protagonista interpretato da Michael Fassbender. Lui, perfetto per il ruolo, che a primo impatto sembrerà aver dovuto fare “poco lavoro”, un lavoretto facile facile di monoespressività e impassibilità e mascelle serrate. Non è così, è tutto di sottrazione, come l’intero film.

Perché nel primo di sei capitoli – sì, The Killer è diviso in capitoli – il killer in questione, presentatoci come il migliore sulla piazza, qualcuno che non sbaglia mai, semplicemente, sbaglia. Olia il fucile ad alta precisione, mira contro il grattacielo opposto, ma al momento dello sparo un ostacolo si frappone col bersaglio, e lui lo manca. La ragione non importa e non ha a che fare con scrupoli di coscienza: qualunque sia il motivo, nella sua organizzazione, il fallimento comporta il licenziamento. Leggasi: ti toglieranno di mezzo. Ci provano, si accaniscono contro qualcuno cui il killer tiene (l’unico momento in cui lo vedremo percorso da un brivido che si possa chiamare umano) e allora il killer torna a fare quello che sa fare.

Ma stavolta è una vendetta, che per quanto sia un piatto che va servito freddo, è qualcosa di molto personale, qualcosa in cui il killer dai mille nomi e nessuno, si era ripromesso di non farsi mai coinvolgere, come ripete nel mantra già sentito nel trailer e che, vi avvertiamo, costituirà pressoché le uniche parole che gli sentirete pronunciare in tutto il film: “Attieniti al piano. Non fidarti. Niente empatia. Gioca d’anticipo, non improvvisare. Mai concedere un vantaggio. Combatti solo se sei pagato per combattere. Non farti coinvolgere, non è personale“.

La vendetta è un piatto che va servito freddo

La sequenza iniziale del film
La sequenza iniziale del film

“La vendetta è un piatto che va servito freddo” (Antico proverbio Klingon)

Iniziava così, Kill Bill Vol. 1 di Quentin Tarantino, altro revenge movie suddiviso in capitoli. Ma persino nel suo ossequio a questo proverbio, si può dire che neanche il film di Tarantino l’abbia del tutto rispettato. Beatrix Kiddo è una madre inferocita, a cui hanno strappato la bimba dal grembo con un colpo di pistola. È implacabile, certo, ma tutt’altro che fredda. Bene, The Killer è forse il revenge movie definitivo nel suo “attenersi al piano” contro ogni possibile deviazione da organi caldi. La vendetta è un piatto che va servito freddo, punto. A costo di deludere, di lasciare lo spettatore completamente svuotato di emozioni, David Fincher non si fa mai distrarre da questo obiettivo. Fa’ un lavoro quasi ossessivo; autistico.

In questo senso, che per alcuni potrebbe suonare come una provocazione, The Killer potrebbe diventare col tempo, se considerato sotto la giusta luce, il film manifesto di David Fincher, di tutto il suo cinema: appunto freddo, calcolatore, glaciale sì ma mai così tanto. Qui ha fatto esattamente il lavoro di un sicario. Ricevuta la commissione, ha eseguito gli omicidi con freddezza terrificante, senza scalfire neanche per un istante (e volutamente) le psicologie, senza chiedersi perché dovesse compiere gli omicidi o chi fosse la persona che stava per uccidere. Ha oliato il fucile con precisione chirurgica, ha sparato sei colpi, ha incassato l’assegno ed è scomparso nella notte.

The Killer è David Fincher: la vittima, il pathos

Michael Fassbender in The Killer
Michael Fassbender in The Killer

The Killer fa qualcosa di molto simile a ciò che scrivemmo del primo Diabolik, operazione che apprezzammo. E cioè un film in cui la forma è perfettamente aderente al contenuto e al suo protagonista. Un protagonista che non ci lascia alcun appiglio per creare un rapporto con lui (e anche questo metterà distanza fra il pubblico e questo film). Il sentimento di “empatia”, che non vuol dire per forza approvazione o speranza che l’antieroe ce la faccia, ma anche solo un brivido lungo la schiena nei momenti in cui percorre anche lui, è uno dei sentimenti più forti e più naturali della storia del cinema: empatizziamo persino per un Patrick Bateman di American Psycho ogni volta che vediamo una sirena passargli accanto, semplicemente perché se lo prendessero finirebbe il film.

Ecco, Fincher riesce persino a soffocare questo sentimento, fa di tutto per sopprimerlo. Il killer di The Killer, ci mettiamo la firma, diventerà uno dei protagonisti meno empatizzabili per molti anni a venire. Certo, l’obiezione che sorge spontanea, è che con uno come David Fincher non serviva per forza fare una tale operazione di sottrazione, che quella “forma” iniziale scelta per il contenuto sia deleteria in partenza perché va a indebolire tutto. Che insomma, da un soggetto del genere, Fincher aveva tutte le capacità tirare fuori un capolavoro, e non “semplicemente” un’operazione perfetta “solo” nel suo essere millimetrica e respingente.

Contenuto e contenitore, ragionare su questo

Ma se mettiamo da parte ciò che i film possono o avrebbero dovuto essere, ci troviamo di fronte alla pulizia meticolosa di film come The Killer. Film che rimangono talmente fedeli al piano, all’intento di partenza, da autosabotarsi, consapevoli però, in ogni singolo istante, di voler fare esattamente questo. E continuando a farlo. Attenersi al piano. Niente empatia. Crederemo che non si sia creata alcuna connessione col film, ma invece la connessione c’era eccome: nello sforzo di Fincher, di sopprimerla, di silenziarla.

Se immaginassimo il rapporto fra pubblico in sala e personaggi su schermo, potremmo figurarcelo come un fascio di energia. Quel fascio c’è in ogni film, alle volte è potentissimo, di fronte ai grandi film, alle quasi impercettibile: ma c’è sempre, è un meccanismo umano. E Fincher l’ha reciso come un’arteria. Riuscire a fare questo, è dimostrare un controllo perfetto del mezzo cinematografico.

Ci sembra conclusivo chiudere con un commento, che Fincher ha aggiunto alla pagina di presentazione del film a Venezia 80 e che noi – questo stupirà più di tutto – abbiamo letto solo dopo aver scritto questa recensione: “The Killer rappresenta il mio personale tentativo di conciliare la visione che ho da anni delle storie cinematografiche con la maniera di raccontarle“. Perfetta aderenza fra contenuto e contenitore. Nel parlare di un uomo che ha soppresso ogni emozione, The Killer è un film che sopprime ogni emozione.

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