The Creator, recensione: le IA sono i futuri Viet Cong

Dalla Guerra del Vietnam a un futuro di IA. Da Apocalypse Now a Blade Runner. Dai Deep Purple al Thai Rock. The Creator è il nuovo film di Gareth Edwards (l’ottimo Rogue One, il miglior Star Wars da anni). È una commistione mai vista. E sì, è un piccolo miracolo in un genere morente.
Un'immagine dal film The Creator

Un film che parla di IA, di Intelligenza Artificiale. Quindi un film che parla di un domani, ma di una paura dell’oggi. Un film anticipato come il miglior sci-fi dell’anno (anzi, come uno dei migliori degli ultimi anni). Che mescola qualunque immaginario del cinema fantascientifico, da Star Wars a Blade Runner, ma si ritaglia un’art direction tutta sua e incredibilmente godibile, misto di retrofuturismo e sci-fi-thai, potremmo dire. Ma che nel frattempo ha tutti gli stilemi, le scene, le storicità del filone di pellicole sulla Guerra in Vietnam, Apocalypse Now su tutti. Solo che siamo nel 2065. Tutto questo è The Creator e tutto ciò che è stato detto su di lui è vero (non stupisce, visto Gareth Edwards di Rogue One alla regia). Perché è fighissimo, fresco, bello da vedere, ma anche con tanto cuore. Metallico o di carne, imparerete vedendo questo film, non fa molta differenza.

Va’ e metti The Creator, che annunzi quanto vede

The Creator immagina una situazione bellica esattamente uguale a quella del Vietnam: premesse diverse, ma sviluppi passo passo. Un cinegiornale da tubo catodico – vengono in mente gli intro di Fallout, ma anche il trailer di Da 5 Bloods, sempre per rimanere in tema di revanscismo verso il sud-est asiatico – mostra l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale, del suo innesto nella robotica e di una società utopica in cui macchine e umani collaborano insieme. Ma dieci anni dopo, gli Stati Uniti (questi Stati Uniti di generalissimi dai mille nastrini), hanno bandito le IA e dichiarato guerra ai Paesi che le proteggono perché una loro rivolta avrebbe raso al suolo Los Angeles con un’esplosione atomica.

Non siamo in guerra con la Nuova Asia. Siamo in guerra con il nemico che viene nascosto in quei territori” – dice uno di quei generalissimi al Congresso. È il Vietnam. È letteralmente il Vietnam. Nel sud-est asiatico infatti, le IA continuano a costruire una società multietnica con le autorità locali, illuminate. Sono i Charlie, sono i Viet Cong del 2065. E anche se non fanno male a nessuno, l’America ha “il dovere” di estirparli.

Questa la missione affidata a Joshua, uno stranamente in ottima forma John David Washington – ormai faticavamo a ricordarcelo bravo attore, dopo la breve parentesi felice di BlacKkKlansman, che lo lanciò. Un tempo infiltrato fra le IA, convinto di aver perso sua moglie incinta in un bombardamento americano anni prima, ora veterano con incubi e senza braccia, abbandonato dallo Stato, viene incaricato di fare ritorno per trovare e uccidere Nirmata, il leggendario creatore delle IA. E con lui, distruggere un’arma misteriosa in grado di cambiare le sorti della guerra in favore dei comunis… scusate, delle IA. E l’arma è una bambina: la bambina, la prima IA del suo genere, creata in tempo guerra con lo scopo di porre fine a tutte le guerre.

Ma The Creator sogna Apocalypse Now retrofuturistico?

Madeleine Yuna Voyles e John David Washington nel film The Creator
Madeleine Yuna Voyles e John David Washington in The Creator

The Creator è innanzitutto un piacere per gli occhi. Colori, design retrofuturistici, la tipica traduzione, insomma, di quando un evento storico del passato viene ricollocato nel futuro, pur mantenendo, volendone mantenere, l’immaginario beat. È forse una delle migliori art direction futuristiche degli ultimi anni, tanto da rendere il film un puro godimento anche nei momenti, verso la seconda metà di film, in cui la sceneggiatura e l’intreccio si fa’ più canonico. Più da action americano, che da autorialità antiamericana. Ma che un film action sci-fi riesca a mantenerla, questa seconda, per buona metà film, è comunque un miracolo della termodinamica.

The Creator è un piacere per la mente per tutti quelli che, appassionati di film sul Vietnam, si sono appassionati anche alla Storia, o viceversa. Qui ritroveranno tutto. I raid al napalm. I rastrellamenti dei villaggi costieri – se quei pontili, se quella scena, non ricordano proprio l’assalto al villaggio della Cavalleria dell’Aria in Apocalypse Now. Ma non è una copia. La citazione è diretta, evidente, apprezzata, come le molte altre a Blade Runner sia nel tema della caccia ai replicanti, sia nel neo-noir baluginante dei neon della città suburbana. Come un po’ alle illustrazioni del Giger, che dovevano essere del Dune di Jodorowsky e andarono poi all’Alien di Scott.

Come a Star Wars nella corsa all’abbattimento di NOMAD, che fa il verso al vero NORAD (Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America) e che in The Creator si presenta come un enorme mostro volante, unico nel suo genere, mandato dall’USAF a bombardare i villaggi delle IA. C’è sicuramente un po’ di Morte Nera, quando è a un passo dal distruggere la base ribelle di Yavin 4, in questo The Creator. C’è sicuramente ancora tanto Rogue One, e per fortuna, in questo Gareth Edwards.

Ancora cinque minuti, per favore

L'astronave NOMAD in una scena di The Creator
NOMAD in una scena del film

The Creator non è un film perfetto. Nella seconda metà, come anticipavamo (ma senza spoiler), si vede costretto a ricalcare le solite strutture di corsa all’ultimo minuto, di countdown all’ultimo secondo, poco credibile, molto action americano insomma. Ma le pecche si sorvolano in un film che, soprattutto in questo genere cinematografico, primo in tanti anni fa dire che nuove idee, nuove saghe, possono essere inventate eccome, invece di saccheggiare alcune di quelle citate appena qualche riga fa. E infatti The Creator fa’ sperare in un sequel. E già questo, di questi tempi…

Ma concedeteci qualche ultimo dettaglio sparso prima di congedarci, qualche dettaglio godereccio. Sul cast: il Generale Andrews del bravissimo Ralph Ineson che fa un lavoro incredibile sulla sua voce cavernosa, che rimbomba in sala e lo fa apparire, a lui sì, come l’unica vera macchina della storia; la bambina di Madeleine Yuna Voyles, bravissima, commovente. Sulla colonna sonora, che giustappone Deep Purple e Radiohead ai gruppi scalzacani di Thai-Rock (il Rock thailandese, se non l’avete mai ascoltato, fatelo) e lascia loro il campo per prendersi tutta la scena. Che belle, le colonne sonore così.

Mai così umani

Ken Watanabe in una scena di The Creator
Anche Ken Watanabe in The Creator

Ma soprattutto, e questo è forse il più grande pregio meno evidente di The Creator (nel senso che per l’action che è non sarà la prima cosa che balzerà agli occhi, ma dovrebbe), la sua capacità di annullare del tutto le differenze emotive fra macchine e umani. Un tempo avevamo Terminator, che anche con la pelle ancora addosso doveva comunque mostrare tutta la sua artificialità. Poi la CGI è avanzata, ma mancava quel livello di sensibilità per cui, se dici che le macchine hanno gli stessi diritti degli umani, devi effettivamente renderli indistinguibili a livello sentimentale nella mente degli spettatori.

Ecco, ci sentiamo di dire, a parte i casi di replicanti antropomorfi (nel senso che non ci sentiamo di metterlo a paragone con un Roy Batty di Blade Runner, quello no), che The Creator sia il film in cui i robot di metallo sono più simili in assoluto agli umani di carne. Non hanno faccia, non hanno occhi. Sono placche di metallo. Ma sarà la CGI, sarà appunto il cuore, negli interstizi di quelle placche di metallo non abbiamo mai riconosciuto tante espressioni, tanta tristezza, commozione, sbalordimento umani, come in The Creator. Se dovessimo riassumerlo con una parola, sarebbe umanizzazione. Se non fosse che faremmo un insulto alle IA. Ché in questo film, come i Viet Cong rispetto agli USA, ci fanno una figura ben migliore degli umani. Allora diremo antispecismo, tanto per aggiungere un altro complimento, perché se li merita tutti.

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