The Caine Mutiny Court-Martial: recensione del postumo di Friedkin

Postumo del recentemente scomparso William Friedkin (L’esorcista, Il braccio violento della legge), The Caine Mutiny Court-Martial è un film di raro qualunquismo repubblicano. Ma messo da parte il gap ideologico, è di un’esperienza cinematografica purissima, geniale nella sua semplicità. La recensione da Venezia 80.
The Caine Mutiny Court-Martial: recensione del postumo di Friedkin

Può un film per la TV; praticamente una lunga puntata di JAG (per chi ha presente la serie cult sugli avvocati della marina a cavallo fra gli Anni ’90 e i primi 2000); recitato quadrato, quanto le quattro mura in cui è interamente ambientato; tanto repubblicano, militarista e revisionista da far impallidire un Clint Eastwood; diventare una delle più belle sorprese e una delle più magnetiche sceneggiature di Venezia 80? Se il film è di William Friedkin, L’esorcista e Il braccio violento della legge, scomparso da una manciata di settimane, omaggiato da Venezia con un film difficilmente inseribile in un contesto festivaliero: assolutamente sì. Quel film è The Caine Mutiny Court-Martial (La corte marziale dell’ammutinamento del Caine) e il suo titolo è sufficiente per dirvi esattamente quello, solamente quello, che troverete al suo interno. Vale a dire, cinema puro.

William Friedkin, Vostro Onore

William Friedkin col Leone d'Oro alla carriera nel 2013
William Friedkin col Leone d’Oro alla carriera nel 2013

Friedkin riparte da un soggetto trasposto innumerevoli volte fra grande schermo, film televisivi e pièce teatrali. A ben guardare, è dichiaratamente un soggetto da teatro nel cinema. E a ben guardare, quest’ultima trasposizione vive tantissimo di toni, e colori, e titoli di testa, e interpretazioni apparentemente anacronistiche, e proprio per questo tanto nostalgiche. Sembrerà tranquillamente un film da secolo scorso.

L’idea è semplice. Nel corso di una tempesta, il secondo in comando di un dragamine della Marina statunitense, di stanza nel Golfo Persico, prende il controllo della nave sottraendolo al suo capitano perché – sostiene, e in questa parola sta tutto il senso dell’esperienza – questi sarebbe impazzito. La corte marziale è presto convocata: l’accusa, ammutinamento. Quindici anni o più in un carcere militare.

Ora, tutto questo nel film di Friedkin non si vede affatto. Non si vede l’ammutinamento. Non si vede alcuna scena che non sia al di fuori dell’aula della corte marziale. Giusto la prima, nel corridoio immediatamente antistante: l’avvocato della difesa interpretato da Jason Clarke, che in realtà non è nemmeno avvocato della Marina ma aviere lasciato a terra dopo un incidente, accetta riluttante di difendere il secondo semplicemente perché è l’unico rimasto e disposto a “schierarsi” dal lato di chi, nell’ottica della Marina, ha commesso il più odioso dei crimini. Difendere un ammutinato, significa diventare un lebbroso.

L’escamotage geniale di The Caine Mutiny Court-Martial

Una scena di The Caine Mutiny Court-Martial
Una scena di The Caine Mutiny Court-Martial

Quindi premessa, accettazione, entrata in scena. Due minuti scarsi di preambolo, non si possono neanche considerare una premessa. E titoli di testa: gialli, giganti, contorno nero, vecchissimo stile, sfondo di una nave su un golfo, l’unico momento in cui vedremo il Caine. C’è sapore di film televisivo, uno di quelli che si potrebbero scambiare come “film da Rete 4”. E poi si comincia. Il dibattimento. Nessuna pausa nel mezzo, tutto di fila. Non si uscirà da quell’aula, non si uscirà da quel film, finché il verdetto non verrà (quasi) raggiunto.

E voi vi chiederete, anche giustamente: “Quanto può essere noioso seguire, di fatto, un’ora e quaranta di film tutto ad ascoltare teste, interrogatori e controinterrogatori, obiezioni, tutto recitato con quella tipica spigolosità militare, deumanizzata?”. E, soprattutto, senza aver avuto un briciolo di contesto iniziale, senza aver potuto assistere a cosa sia effettivamente successo. Eccola, la chiave! Quanti film su questo filone potete dire di aver visto, in cui non veniva preventivamente fornito un “lato” da cui schierarsi? C’è sempre la scena o un primo atto che mostra il fatto, e i restanti di processo. Ma cosa succede se si elimina il primo atto? E se, altro aspetto fondamentale, in tutto il corso del dibattimento non viene fornita alcuna prova documentale, cartacea, inconfutabile? Ma solo testimonianze e contro-testimonianze, la parola di uno contro l’altro, la stessa identica storia semplicemente raccontata con sfumature diverse?

Succede che non vi scoprirete mai così attenti nel carpire ogni frase, ogni informazione, ogni nozione, data, orario, nome, classe di vascello. Perché da quell’attenzione ne andrà della vostra capacità di mettere insieme il puzzle, di arrivare a quella conclusione che vi è stato impedito di formarvi a priori. Quello che The Caine Mutiny Court-Martial fa’, è sottrarre la possibilità per lo spettatore di formarsi un giudizio a priori di cui semplicemente attendere di ottenere conferma (nel prevedibile finale in cui, il cattivo, alla fine si dimostra cattivo); giocare sulla sua necessità, sulla nostra necessità, di trovare sempre un colpevole, qualcuno contro cui puntare il dito; e farci sentire letteralmente giudici del processo. Mai coinvolgimento fu tanto vivo, mai immedesimazione tanto forte.

La buona vecchia america retorica

Lo scomparso Lance Reddick
Lo scomparso Lance Reddick

The Caine Mutiny Court-Martial è un film che si lascia amare, oltreché per il suo geniale escamotage (e capacità di reggerlo cinematograficamente, qui è Friedkin), per la sua (consapevolissima) ingenuità politica. Interpretazioni tagliate con l’accetta, strappano molte risate in sala. Su tutti, il compianto Lance Reddick, che qui interpreta il giudice tutto d’un pezzo in quello che potrebbe rimanere (forse) il suo ultimo ruolo. E una premessa di messa in scena talmente semplice, che un film del genere potrebbe costare – non è questo il caso, ma potrebbe – una decina di migliaia di dollari, e rimanere geniale.

Certo, a un certo punto l’avvocato della difesa tira fuori il peggio della retorica americana. Dice che ha difeso l’ammutinato solo perché questi aveva diritto alla “giusta difesa” – quanto piace agli americani, ripeterselo, soprattutto quelli dei legal drama. Ma che in realtà, che venga assolto o meno, che fosse effettivamente pazzo o meno, dovrebbe baciare la terra del sui capitano. Perché mentre lui ancora ciucciava il latte da mamma, fu quel capitano e altri capitani come lui, con la loro inflessibilità, a “combattere in Iraq e tenere l’America al sicuro dai terroristi dopo l’11 settembre“.

Al che andrebbe (ri)spiegato per l’ennesima volta agli americani che in Iraq non c’erano i terroristi; che stavano in Afghanistan; che quella guerra l’hanno combattuta per il petrolio; anzi indebolendo la regione e rafforzando le frange estremiste che noi oggi conosciamo bene come ISIS. Che la guerra in Iraq il terrorismo non l’ha combattuto né mai nacque con questo intento: l’ha rafforzato.

Morali pericolose in The Caine Mutiny Court-Martial

Ma di questo si è scritto e riscritto – ne scrivemmo anche noi in un pezzo su W. Di Oliver Stone e Vice di Adam McKay – è storia ormai consolidata e non serve aggiungere. È solo per dire che si può apprezzare il grande cinema anche se fra noi e lui (si auspica) c’è un’incolmabile distanza ideologica. E si può ascoltare quella retorica finale con la stessa potenza con cui ascoltammo quel gigantesco monologo di Jack Nicholson in Codice d’onore. Quando, da villain senza appello quale fu il Colonnello Jessep, riusciva comunque a farci ragionare sull’ipocrisia dei nostri pacifismi. Quando diceva:

“Viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile. Vi permettete il lusso di non sapere quello che so io. Che la mia stessa esistenza, sebbene grottesca e incomprensibile ai vostri occhi, salva delle vite. Voi non volete la verità perché nei vostri desideri più profondi che in società non si nominano, voi mi volete su quel muro, io vi servo in cima a quel muro. Noi usiamo parole come onore, codice, fedeltà. Usiamo queste parole come spina dorsale di una vita spesa per difendere qualcosa. Io non ho né il tempo né la voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita a dormire sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco”.

But maybe…

Il capitano Queeg in The Caine Mutiny Court-Martial
Il capitano Queeg in The Caine Mutiny Court-Martial

Ecco. Anche nei suoi momenti meno condivisibili, The Caine Mutiny Court-Martial rischia di dire qualcosa di paurosamente vero. Che è molto facile vedere la vita militare come un coacervo di soprusi, disciplina dittatoriale e ordini ai limiti della follia. Ed è così, è tutto giusto. Ma forse c’è un po’ di verità anche dall’altro lato. Che laddove c’è bisogno di sorvegliare un muro, non possiamo biasimare null’altri che noi stessi, e la nostra natura, se quel muro è stato edificato. Che il mondo non funziona per buoni e cattivi: è quello che ci raccontiamo per sentirci buoni. Che non c’è il bianco e nero. E questo, fra gli altri meriti, The Caine Mutiny Court-Martial lo dice molto bene.

Fermarsi ad ascoltarlo per un momento, non significa essere repubblicani. Chi scrive non lo è di certo. Significa solo essere disposti, quando si punta il dito contro il cattivo, certe volte, non sempre, non in tutti i contesti e men che meno in quelli di cui oggi sentiamo, finalmente, tanto discutere – leggasi: questo non è un invito al victim blaming, nel modo più assoluto, a chi venisse in mente di applicare all’universale – essere disposti appunto, ad accettare che noi abbiamo contribuito a crearlo. Che in lui c’è un po’, abbastanza o molto di noi. A seconda dei casi. E viceversa: «I macellai di questo secolo non hanno la “grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano».

La recensione arriva in ritardo rispetto a Venezia 80, dove abbiamo visto The Caine Mutiny Court-Martial. Ma ora che ce ne accorgiamo, strano pubblicarla proprio in questo 11 settembre. Anche senza distribuzione in sala vista la sua condizione di film televisivo, la pellicola di Friedkin dovrebbe arrivare su Paramount+ anche nel catalogo italiano. Speriamo di avervi acceso un po’ di curiosità. Continuate a seguirci su CiakClub.it.

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