“State tranquilli ho il cuore forte, non sono ancora pronta ad andarmene”. La voce di Anita Garibaldi infrange il silenzio della sala e si impone fin da subito, forte e autoritaria. In molti hanno tentato di raccontarla, ma Anita fa parte di quelle personalità incontenibili, che sfuggono a qualsiasi classificazione. La versione di Anita prova a ricostruire la verità di una donna indipendente, che non vuole essere più raccontata come “la moglie di”.
Qual è La versione di Anita?
Nata a Laguna in Brasile nel 1821 e morta in Italia a poche settimane dai suoi 28 anni, Ana Maria de Jesus Ribeiro è passata alla storia come Anita Garibaldi, l’eroina dei due mondi.
Nel film diretto da Luca Criscenti è Anita a prendere in mano le redini della narrazione, rivolgendosi direttamente allo spettatore. Tappa dopo tappa, ripercorre le sue avventure tra il Brasile e l’Italia, la storia d’amore con Giuseppe, la nascita dei figli. La sua voce si alterna a quella degli storici e delle fonti che spesso l’hanno messa da parte, relegandola nel ruolo di accompagnatrice del marito.
Criscenti sembra avere una visione chiara del suo obiettivo: mostrare al pubblico un’Anita inedita, nella sua personale reinterpretazione dell’eroina ottocentesca. Anita Garibaldi – interpretata da Flaminia Cuzzoli – arriva in scena in jeans, occhiali da sole e giacca di pelle. È una donna moderna, ammiccante, pronta a farsi intervistare da Marino Sinibaldi (nei panni di se stesso) e a svelare ogni verità.
Chi è davvero Anita?
Anita nasce nelle pianure del Brasile, imparando fin da bambina a cavalcare. Lo scrittore Marco Maggiani dice di lei: “Anita era naturalmente libera, nata nella pampa, nata da un vaccaro, da una famiglia che si spostava continuamente. Libera perchè era l’unico modo di sopravvivere nella grandezza della natura. Una ragazzina che sa di poter guardare sempre oltre l’ultimo orizzonte”.
Anita e Giuseppe: l’amore oltre la rivoluzione

Giuseppe Garibaldi sbarca a Laguna nel 1839, quando Anita ha 18 anni ed è già sposata con un altro uomo da quattro anni. Il colpo di fulmine è istantaneo: “Garibaldi fu un porto di libertà per Anita”. Anita vede in Giuseppe il fuoco della rivoluzione e abbandona il marito per combattere al fianco del condottiero del Risorgimento.
Tra tenerezze e battibecchi, Anita si rivolge spesso a Garibaldi (interpretato da Lorenzo Lavia) per commentare alcuni momenti del passato. Anita rinfaccia al marito: “Tu almeno sei l’eroe e io? La moglie del capo. Credevamo nelle stesse cose, ma io non ero come mi hanno raccontata”.
Un Garibaldi «da presepe»

Nel documentario più volte viene citato e riportato sullo schermo Camicie rosse, di Goffredo Alessandrini (terminato da Francesco Rosi) del 1952. Il film vede protagonista Anita, interpretata da Anna Magnani, che segue Garibaldi nella sua marcia attraverso San Marino e il nord Italia, esortando i suoi soldati a lottare per la liberazione.
Il critico cinematografico Morandini commentò il film definendolo “poco riuscito”, accusando la Magnani di aver oscurato troppo il protagonista maschile, tanto da rendere il personaggio interpretato da Raf Vallone un “Garibaldi da presepe”.
Nel film di Criscenti è chiara la volontà di mettere in secondo piano il suo Garibaldi, lasciandolo il più delle volte in silenzio durante i dialoghi con Anita. Ma se nel film Camicie rosse la storia veniva mostrata e non solo raccontata, qui è più difficile nascondere la presenza ingombrante del patriota italiano. Per tutto il film Garibaldi c’è ma non vorrebbe esserci, più si afferma che non si dovrebbe parlare di lui, più se ne parla.
Show don’t tell: il limite de La versione di Anita

Il docufilm diretto da Criscenti e scritto da Silvia Cavicchioli integra parti di finzione a documenti storici per rilanciare in una nuova dimensione Anita, “oltre Garibaldi” come annuncia il poster.
Anita interviene più volte nella narrazione per smentire le leggende create intorno alla sua figura negli anni, ma non è facile stabilire un confine netto tra verità e immaginazione senza fonti storiche certe. Il presente dell’intervista radiofonica allontana lo spettatore, che si distrae nel sentire senza vedere. Le parti che coinvolgono di più sono le ricostruzioni storiche della morte di Anita, portate sulla scena sul modello di vari dipinti ottocenteschi mostrati nel montaggio.
Anita viene rappresentata come libera da ogni vincolo sociale, entrando di diritto nell’immaginario comune di modello a cui ispirarsi. Questo documentario si aggiunge all’elenco di film che raccontano la donna in modo innovativo ed emancipatorio (qui potete trovare altri esempi di donne nel cinema).
“Quelle battaglie le ho fatte con lui e non per lui”. Noi ti crediamo Anita, ma avremmo voluto vederne qualcuna.
Potete vedere La versione di Anita nella versione televisiva su Rai Play o come lungometraggio dal 1 giugno nelle sale cinematografiche. Fateci sapere cosa ne pensate!