Il passato, recensione: il mosaico di confessioni di Farhadi

In un delicato ma esplicativo campo-controcampo due ex, iraniano lui, francese lei, si incontrano per mettere fine al loro passato. La loro verità si incrocia con il presente della giovane donna: le due figlie ed il nuovo compagno che a sua volta porta con se una storia dolorosamente misteriosa. Il passato è il gioiello emotivo firmato da Farhadi.
Il passato, recensione: il mosaico di confessioni di Farhadi

Quando l’essere umano decide di porre rimedio a qualcosa, svolge un lavoro di introspezione ma allo stesso tempo di accusa ed inizia un processo di attenta analisi delle motivazioni. Il passato è il racconto teso di questo pregresso che genera il presente. 

Chi ama chi? Chi ha ferito chi? Chi deve confessare e chi invece deve espiare le proprie colpe? Dopo Una Separazione (2012), Asghar Farhadi dà una sorta di seguito alla vicenda raccontando cosa succede dopo il distacco. La storia è quella di Ahmad, tornato a Parigi solo per firmare le carte del suo divorzio dalla moglie Marie (Bérénice Bejo che per questo ruolo ha vinto il Prix d’interprétation féminine).Il loro passato si incrocia con il presente della giovane farmacista che vive in periferia con le due figlie avute dal primo marito belga ed il nuovo compagno Samir (Tahar Rahim) a sua volta padre di Fouad, ancora sposato ad una donna in coma da otto mesi per un tentato suicidio.

La casa, terreno di guerra tra il passato ed il presente

Da un frame de il passato: la casa è luogo protagonista
Da un frame de il passato: la casa è luogo protagonista

Lo scheletro della pellicola è composto dall’insieme delle conseguenze di eventi trascorsi. C’è una grande immobilità inconfessata, quasi intestina, ed il luogo fisico in cui questa condizione si protrae è impantanato: dagli oggetti, dalle scatole, dalla vernice, dal non detto, dai lavori di ristrutturazione che sono costanti e perpetui, senza fine. Tutto è già accaduto, nulla smette di cambiare eppure tutto è inerte. I personaggi spesso sono inquadrati in cornici, che siano esse di finestrini di auto o di porte, come fossero in procinto di fare qualcosa, sempre sulla soglia.

 Quanto può far male la famiglia (disfunzionale)

Samir e il figlio Fouad
Samir e il figlio Fouad

La famiglia di Marie è multietnica. Sgangherata poggia su una stabilità sottilissima che ad un certo punto crolla sotto il flusso del cambiamento. Si sfasciano gli equilibri: molti dei problemi madre-figlia, marito-moglie e adulti- bambini nascono dal fatto che ogni singolo componente cambia identità, carattere e modo di riempire il proprio spazio e ruolo. 

Eppure all’interno di questa “struttura” non esiste gerarchia: grandi e piccoli sono spesso allineati ma, su quello stesso piano, i ruoli si invertono. Gli adulti vivono in preda alle passioni senza regole e regime, mentre i bambini (e l’adolescente) vivono i drammi, sopportando il peso di un passato per cui non hanno responsabilità ma con cui hanno a che fare, e sviluppando una maturità che gli adulti intorno a loro non riescono (o non vogliono) ad avere. 

Il passato come presente sospeso: il dramma di vedersi vivere

Bérénice Bejo interpreta Marie ne Il passato
Bérénice Bejo interpreta Marie

L’atmosfera che si respira è costantemente soffocata dalla tensione. Nel momento in cui subentrano le incertezze e le inconfessabili verità del passato, la quotidianità si copre di imbarazzo. Anche i gesti più semplici come ritirare un pacco, parcheggiare, riverniciare, fare il letto, diventano difficili ed i protagonisti iniziano a subire le loro stesse vite. Il regista infatti, forse ispirato da Pirandello e dalla sua opera Vita e Forma, costruisce un dramma del dramma di vedersi vivere.
Lo stato vegetativo della moglie di Samir rappresenta la morte non ancora morte, mentre Marie incastrata tra passato e presente vive una vita sospesa.

 Le vulnerabilità umane

Scavando fino a raggiungere gli aspetti più contraddittori dei soggetti, si scopre che sono imperfetti, fragili, complessi, insicuri, inestricabili come i sentimenti che provano nei confronti di una realtà che non riescono più a controllare e a metabolizzare. Il dramma è vivo e impregna l’intera scena, anche nei suoi frame più normali e distesi. Il regista fa fiorire i personaggi (riuscendoci magistralmente) un poco alla volta. Non ci sono indicazioni precise o lampanti sulla loro storia e sul loro carattere. Loro si presentano attraverso un viaggio a ritroso tra dialoghi, supposizioni e sospetti. C’è una profonda penetrazione nella natura umana con la costruzione e la distruzione degli stati d’animo, un metodo che coinvolge lo spettatore fino a farlo empatizzare.

Il passato di Ahmad “L’ospite”

Ahmad (Ali Mosaffa) "L'ospite" in Il passato
Ahmad (Ali Mosaffa) “L’ospite” in Il passato

Ahmad, interpretato da un eccellente Ali Mosaffa, torna a Parigi per firmare definitivamente il divorzio con Marie come fosse L’ospite di Pasolini. Una figura il cui ruolo è quello di svelare il nocciolo di un enigma. 

Informato, colto e fastidiosamente sensibile nei confronti delle debolezze della sua ex famiglia allargata, fa emergere i segreti alla coscienza degli altri personaggi. All’interno di un film nel quale nessuno può chiamarsi fuori, lui è osservatore extradiegetico, esterno, ma allo stesso tempo partecipa attivamente alla ricostruzione della verità impedendo così alla storia di avere personaggi assoluti.

Colpevoli dello stesso omicidio

Nonostante la tenerezza e il suo apporto positivo per la figura della figlia acquisita  Lucie che trova in lui un valido sostenitore e confidente, la posizione di dubbio di Ahmad lo rende debole. 

In questo modo all’interno del melodramma, non è possibile assegnare con certezza colpe precise. Lo spettatore, così come il regista, è giudice imparziale, incapace di elargire sentenze. Tutti sono colpevoli e tutti sono vittime dei riverberi di dolori passati mai risolti

La percezione del giusto e sbagliato è quindi liquida, cambia in continuo in base al punto di vista offerto in quel momento dalla cinepresa. Come in altre storie disegnate dal regista iraniano, il perno su cui gira tutto è un qualcosa che c’è stato e che ormai non c’è più. Assente come la differenza (in questo caso) tra verità oggettiva e responsabilità effettiva. Anche la soluzione al mistero sulle cause del tentato suicidio della moglie di Samir rimane vaga e acquisisce sfumature diverse a seconda della memoria delle persone coinvolte.

Farhadi ed il suo (solito) fare cinema

Asghar Farhadi vincitore dell'Oscar al miglior film straniero con Una Separazione (2012) e Il Cliente (2017)
Asghar Farhadi vincitore dell’Oscar al miglior film straniero con Una Separazione (2012) e Il Cliente (2017)

Asghar Farhadi è senza dubbio un regista e sceneggiatore dalla poetica riconoscibilissima. I meccanismi drammaturgici sono perfetti e fanno funzionare vere e proprie bombe ad orologeria. Lui, che per questo film non ha mai imparato la lingua francese e seguiva gli attori valutandoli dell’intonazione della loro voce, lavora sulle sottigliezze psicologiche. I suoi soggetti sono indecifrabili eppure così definiti nel loro interiore da essere del tutto realistici. 

La forza di questo lungo, leggermente dilatato ma non noioso, racconto sta nei dialoghi puliti, precisi, saturi di etica sentimentale. Sta nell’utilizzo totale degli spazi, soprattutto interni, come sfondi teatrali utili all’attore e parte integrante della performance. 

La forza de Il passato sta nella solita capacità del regista di far entrare una fetta di vita, potenzialmente rappresentativa di tutte le vite, dentro un pezzo di film. È disponibile dal 20 maggio su MUBI, ma lo potete trovare anche su Prime Video.

Facebook
Twitter