Babylon, recensione di uno scandalo: gli Oscar temono gli eccessi

Il quinto film di Damien Chazelle, uno dei grandi snobbati agli Oscar, riesce vittoriosamente a mettere in scena un’intera epoca. È una celebrazione totale del cinema che non ci risparmia i lati oscuri dell’industria. I suoi vitali personaggi riescono a creare un affascinante affresco esistenziale.
Babylon, recensione di uno scandalo: gli Oscar temono gli eccessi

Cos’è che tanto ci affascina del cinema? Perchè veniamo rapiti dai film? Questo quesito rimbomba con forza nel quinto film di Damien Chazelle, Babylon. Un eccesso in tutto, nella messa in scena, nelle musiche, nei personaggi, nelle scenografie, ma tutto è coerente con il disegno del regista che decide di rappresentare un’epoca e un ambiente che facevano dell’eccesso la loro bandiera. Forse è proprio la paura di mostrare anche questi eccessi che fanno del film uno dei grandi esclusi agli Oscar. Ma che piaccia o no, tutto fa indissolubilmente parte di quell’accecante spettacolo che sono Hollywood e il cinema.

Si tratta certo di un minutaggio non indifferente (più di tre ore di film) ma per una pomposità tanto coinvolgente, specchio di un’intera epoca cinematografica, non si sarebbe potuto fare altrimenti. Il rischio più grosso era ridurre la portata del discorso, ma il risultato è tutt’altro che banale o pesante. Si tratta di una prorompente e manifesta dichiarazione d’amore verso il cinema tout court.

Il ritratto di un’epoca e di ogni epoca

Il trailer di Babylon

Il cinema degli anni ‘20 ha segnato una tappa fondamentale prima dell’avvento del sonoro. La ricostruzione di Chazelle segue puntualmente il sentire di allora, come veniva visto il cinema e ciò che effettivamente era. L’accuratezza storica diviene uno strumento nelle mani del regista con cui riesce a veicolare un messaggio, forte e chiaro, su ciò che ogni passaggio epocale comporta: niente sarà più lo stesso.

Grazie alla potenza e alla forza dei personaggi, a cui meravigliosi interpreti riescono a dare un impareggiabile afflato vitale, e delle situazioni, le quali coinvolgono nel profondo lo spettatore gettandolo di prepotenza nel mondo della rappresentazione, viene messa in scena senza alcun tipo di filtro anche la fine di quest’era così sfarzosa. Il balzo tecnologico lascia indietro coloro che non possono cambiare. Per loro è impossibile fingere di essere qualcosa che non sono, l’ideale che incarnano è ormai superato. Questo è il destino di tutti i protagonisti: divenire icone di un passato ormai trascorso.

Il cinema e la vita in Babylon

Alcuni dei grandi volti in Babylon
Alcuni dei grandi volti in Babylon

La struttura narrativa è multipla e intrecciata, impossibile da ridurre ad una semplice concatenazione causa-effetto, e la scuderia di personaggi riesce a restituire questa ambiguità. In Babylon c’è il mondo visibile, c’è il mondo dietro al mondo visibile e c’è il mondo sotterraneo.

Questa tripartizione non solo avviluppa l’industria cinematografica, e in generale il mondo dello spettacolo, ma influenza persino la realtà sensibile. Una triade esistenziale che plasma e guida l’intricata epopea di ogni singolo personaggio. C’è ciò che si dice, c’è ciò che si sa e c’è l’inconscio che prima o poi emerge, travolgendo i burattini che ballano sul palcoscenico dell’esistenza.

Il cinema imita la vita e la vita imita il cinema, in un abbagliante uroboro, e alla fine la profezia si avvera. Il cinema diviene vita, gli attori divengono personaggi. La crasi definitiva è compiuta. Quegli stessi attori, doppiamente protagonisti del film e degli anni ‘20, sono destinati a divenire i fantasmi del loro passato.

L’epilogo degli eccessi 

Questa kolossale storia non può concludersi che con la riscossione del pegno di questa scelta esistenziale. Da parte loro sembra non esserci un vero pentimento, solo un’amarezza per la fine del loro tempo. Hanno goduto appieno ciò che è stato e che non sarà più. Il dramma della caduta. Babilonia non è l’obiettivo vanaglorioso di essere alla pari con Dio, ma la consapevolezza che ognuno decide di sacrificarsi al proprio di Dio.

Contemplare le stelle

Una scena tratta dal film
Una scena tratta dal film

Sul finire del film c’è qualcosa di più di una semplice consolazione. Uno dei protagonisti, Manuel Torres (Diego Calva), si ritrova ad essere lui stesso spettatore di ciò che è stato. In questo gioco metacinematografico, reso ancora più significativo dal montaggio sincopato di spezzoni ed estratti di pellicole che hanno fatto la storia del cinema dalla sua nascita ad oggi, il messaggio è chiaro: ”Alla fine ne è valsa la pena, ciò che abbiamo fatto ha avuto un senso. Siamo divenuti immortali”.

La magia del cinema si compone di questo come di tanti altri elementi, quante sono le stelle. È la costellazione che ci ritroviamo sempre ad osservare rapiti. Forse anche per questo ultimamente stanno uscendo tanti film che riflettono sul cinema (alcuni tra tutti: The Fabelmans, Empire of Light e ovviamente Babylon), per dimostrare al mondo quanto abbiamo ancora bisogno del cinema. Ma noi tutti lo sappiamo già: il cinema, come le storie, non morirà mai.

Babylon come un affresco della volta celeste

Le risposte alle domande d’apertura di questa recensione, non vengono date ma solo suggerite. Il regista non vuole dire, decide piuttosto di mostrare in tutta la sua prorompente magnificenza la forza del cinema. Un’estetica, una fotografia e una regia da togliere il fiato, una colonna sonora che ti entra in testa per rimanerci (incredibile il lavoro di Justin Hurwitz nel rendere così contemporanea la musica degli anni ‘20 senza snaturarla), un montaggio ora forsennato ora delicatissimo, sempre centrato, valorizza la varietà delle situazioni. Ogni aspetto all’interno del film costruisce questo splendido, allucinante e commovente film sui film.

Damien Chazelle, col suo Babylon, porta al massimo quelle che sono le potenzialità visive, sonore e narrative a sua disposizione, facendoci innamorare per l’ennesima volta di qualcosa che è ontologicamente insito nella settima arte: la complessità della vita messa in scena.

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