Wim Wenders compie oggi 78 anni. Una carriera sconfinata, volto manifesto del Nuovo Cinema Tedesco, il cinema di Wenders ha sempre raccontato la strada, quella americana, soprattutto. I chilometri macinati a bordo di vecchie auto, i percorsi dei protagonisti per perdersi (e raramente, per ritrovarsi), la musica come unico sottofondo, quella rock, soprattutto:
“Se non fosse stato per Chuck Berry, Gene Vincent, Elvis Presley, gli Everly Brothers o Eddie Cochran, io non avrei mai conosciuto quel gran desiderio di crescere […] non avrei mai sfidato il destino mollando i miei studi di medicina, filosofia…la loro musica era contagiosa. Ma non nel senso ‘Hey, lo posso fare anch’io!’, piuttosto un ‘Se non lo faccio adesso, non lo farò mai’.
Ma ha anche raccontato, tramite il suo cinema, il mondo intero, la sua Germania e quel che ne rimaneva, l’Italia, Cuba, il Giappone di Ozu (e di nuovo, quel che ne rimaneva). Agosto. Siamo nel pieno dell’estate, e noi abbiamo immaginato quei racconti di cinema come cartoline geografiche di fine estate, quelle che non si spediscono più, incollate al fondo di un cassetto che alla fine nessuno legge, quelle con la parte meno sbiadita con su scritto:
“Greetings from…” – “Saluti da…”:
Germania – Il cielo sopra Berlino (1987)

Bianco e nero e poche alternanze di colore raccontano la Germania pre-riunificazione de Il cielo sopra Berlino, vincitore del premio come Miglior Regia alla 40° edizione del Festival di Cannes. Quella di Wenders dalla Germania si presenta, però, come una cartolina triste e neanche troppo estiva di una città plumbea, in cui ogni protagonista è immerso nella propria solitudine. I tassisti, i passanti, gli angeli, invisibili e inudibili, rappresentazioni dell’impotenza dell’essere umano dopo i traumi bellici.
Un anziano passa il confine dopo tanti anni con l’angelo interpretato da Bruno Ganz (Damiel). Raggiunge Potsdamer Platz e non la riconosce. Cerca il caffè in cui un tempo sedeva – cerca quei caffè che Ray Oldenburg definiva luoghi terzi – spazi socialmente attivi – e invece ritrova Berlino come un unico grande luogo terzo differente – quello anonimo e vuoto di Augé.
Havana – Wim Wenders racconta i Buena Vista Social Club

Havana è una città che “ha un suo sound“. O forse, è proprio la città del sound. Nell’immaginario collettivo, Cuba si presenta come un luogo a due facce, quello su cui si ironizza, quello del “se ci vai portati il riscatto”, tra isolati ricchissimi e isolati immersi nello squallore, Cuba dallo spirito rivoluzionario, quella che non dimentica, come anche Wenders, i Buena Vista Social Club, il gruppo che descrisse quel tempo con un jazz pre e poi pro-Fidel Castro (“¡Ataca, de frente!” cantano), un jazz che non dimentica il tempo delle sociedades cubane, quelle in cui bianchi e neri, entravano separatamente.
Wim Wenders in Italia – Palermo Shooting

Wim Wenders ha sempre avuto uno stretto rapporto con l’Italia, dall’amore per Fellini e quell’immagine nostalgica di un’Italia in Vespa, l’amore per la musica di De André. Lo abbiamo seguito di recente proprio al Cinema Ritrovato 2023. L’Italia descritta in Palermo Shooting è un ambiente quieto, una cartolina di quelle in cui viene mostrato solamente il paesaggio. Niente monumenti, è lì che il fotografo protagonista del film ritrova la sua pace, o almeno, ci prova.
Tokyo – Tokyo-Ga (1985)

Non solo la Berlino post-bellica. Succede anche a Wenders di prendere un aereo per recarsi, dopo averlo sognato per tanto, nel Giappone di Ozu e di ritrovarlo deludente, anonimo. Tramite la forma documentaristica Wenders ci mette davanti due piani: la società arcaica Giapponese (vecchi filmati di repertorio, gesti rituali – al limite del servile) e quella moderna, assorbita dalla globalizzazione e dal fenomeno commerciale statunitense. Riprende una famiglia Giapponese che aspetta il ritorno dei figli – prima – e poi il filmato a colori dei ragazzi in strada con le gonne a ruota mentre ballano su Rock Around the Clock.
Lisbona – Lisbon Story (1994)

Il film è “la scoperta della città, in questo caso non dell’immagine della città ma dei suoi suoni” – tramite le vicende di un tecnico del suono arrivato in città. “Poche città hanno un paesaggio sonoro articolato come Lisbona: lo sferragliare dei vecchi tram, i rumori del porto, il ronzio delle auto sul ponte che attraversa il Tago, gli innumerevoli colombi e sì, i curiosi suoni della lingua portoghese stessa che sembra mangiarsi tutte le vocali”.
Quebec, Canada – Ritorno alla vita (2015)

James Franco, Charlotte Gainsbourg e Rachel McAdams nel cast. Il film, una cartolina di spazi innevati, freddi e ancora una volta, semi deserti, descrive la storia di uno scrittore in crisi dopo un incidente avvenuto sulla neve e dei rapporti intricati che circondano le sue giornate.
Texas – Paris, Texas (1984)

Se dovessimo descrivere Paris, Texas come parte di un viaggio estivo, sarebbe la sensazione di malinconia che proviamo nel ritrovare la sabbia nel fondo della valigia dell’anno prima. Anche Paris, Texas si aggiudicò la Palma d’oro per il Milglior Film al Festival di Cannes, nel 1984. Paris è una piccola città del Texas in cui il protagonista, Travis, aveva acquistato un lotto di terra per vivere con la sua famiglia. “Gli piaceva dire a tutti che aveva conosciuto la moglie a Parigi. Aspettava un attimo prima di dire Paris, Texas”.
Travis però ha perso tutto, moglie e figlio. Quando li ritrova li definisce cambiati. È il percorso della maggior parte dei personaggi di Wenders, mai circolare. Travis crede che la moglie sia diventata un involucro vuoto, poiché la ritrova a lavorare in un peep-show. Lei invece durante gli anni ha continuato a confondere la voce di lui con quella di ogni cliente del posto.
New York: Alice nelle città (1973)

Se di cartoline e polaroid vogliamo parlare, Alice nelle città, parte della cosiddetta “Trilogia della strada” ne è piena. Philip è un giornalista tedesco con l’incarico di scrivere un pezzo sull’America che ha appena visitato. Philip però non riesce a ritrarla, è confuso da ciò che ha visto – l’America consumistica respinta dal Nuovo Cinema Tedesco – così decide di affidare la memoria a delle polaroid che scatta. Anche le polaroid, però, non gli sono d’aiuto. Oggi diremmo – diventano come quelle note lasciate sul telefono e mai più aperte. Solo Alice, una bambina incontrata casualmente in aeroporto, riuscirà a fargli riprovare qualcosa.
Montana – Wim Wenders torna con Non bussare alla mia porta (2005)

Lo si evince già dall’immagine, l’amore di Wenders per la pittura. Quella di Hopper, in particolare. Il Montana descritto in Non bussare alla mia porta porta alla mente i grandi spazi vuoti, come quello raffigurato in I nottambuli. Il film riporta la storia di un attore di western che decide di abbandonare quel tipo di vita fuggendo, con il cavallo a seguito, verso una piccola cittadina del Montana, in cerca della sua vita di un tempo.
Los Angeles versione Wim Wenders – The Million Dollar Hotel (2000)

La Los Angeles descritta da Wenders non è esattamente quella turistica del cinema, ma è il suo lato più buio, raggruppato nel microcosmo del Million Dollar Hotel, una struttura futuristica in cui alloggiano ladri, tossicodipendenti. Fa da sfondo – e da protagonista – la musica composta da Bono (che si occupò anche del soggetto). Ricorda la storia del Cecil Hotel californiano.
Si dice che ogni estate ha una canzone. Non solo una cartolina. Chissà che starà facendo Wim Wenders per il suo compleanno oggi. Noi ce lo immaginiamo in uno di quei paesaggi americani che tanto ama quasi a mo’ di fissazione, con una canzone alla radio come sottofondo, sempre di quelle che ama. Magari questa…
“Bankin’ off of the northeast winds
Sailin’ on a summer breeze
And skippin’ over the ocean like a stone”.