Rapito, recensione: Bellocchio non convince del tutto

La recensione di Rapito di Marco Bellocchio, il primo film italiano in Concorso presentato al Festival di Cannes 2023, incentrato sul rapimento di Edgardo Mortara, un bambino ebreo prelevato dallo Stato Pontificio e costretto alla conversione al cristianesimo. Il film arriva nelle sale italiane il 25 maggio 2023 distribuito da 01 Distribution.
Rapito, recensione: il film di Bellocchio non convince del tutto

È arrivato il giorno molto atteso al Festival di Cannes, ovvero quello in cui fa il suo esordio il primo italiano in concorso. Stiamo parlando di Rapito, il nuovo film di Marco Bellocchio. Un regista che sta attraversando una nuova giovinezza e che continua a sorprendere per la ferocia e la qualità delle sue opere. Sia Il Traditore che Esterno Notte (Leggi qua la recensione di Esterno Notte), entrambi presentati a Cannes, avevano saputo raccontare con sguardo moderno delle vicende note, senza risparmiarsi di affondare il colpo e puntare il dito. Con il suo ultimo film Bellocchio torna a parlare di un’altra vicenda di cronaca, questa volta ambientata in epoca risorgimentale. Però, come vedremo nella nostra recensione di Rapito, questa volta sembra che l’autore abbia fatto un piccolo passo indietro rispetto alle opere precedenti.

Rapito: la ricostruzione del caso Mortara

Primo piano di Edgardo Mortara in Rapito
Il piccolo Edgardo Mortara prega in una scena di Rapito.

Siamo nella Bologna del 1858. Il capoluogo emiliano è ancora parte dello Stato Pontificio. In Via Lame vive una famiglia ebrea molto numerosa, i Mortara. La loro è una vita mediamente agiata che scorre nel modo più normale possibile, intervallata solo da momenti di preghiera, in cui l’affetto reciproco è l’ultima cosa che manca. Una notte si presentano alla porta degli emissari ecclesiastici.

Per ordine dell’Inquisitore del Santo Uffizio Pier Gaetano Feletti (Fabrizio Gifuni), il bambino di sei anni Edgardo Mortara deve essere prelevato e portato via. Dai registri risulta battezzato e, in quanto tale, verrà cresciuto ed educato come un cristiano. Il piccolo viene quindi portato via dalla sua famiglia e condotto a Roma, dove insieme ad latri della sua stessa età intraprenderà un intenso percorso ecclesiastico. Qua conoscerà Papa Pio IX, il dispotico Papa Re estremamente conservatore e reazionario.

La famiglia Mortara però non lascerà che la cosa passi inosservata e inizierà una battaglia mediatica e politica che metterà in cattiva luce agli occhi del mondo il Santo Padre e tutto il potere temporale. Sullo fondo di Rapito si muove tutta la “grande” Storia d’Italia. Il Risorgimento diventa una sorta di spartito a cui si fonde la vicenda Mortara, in modo che entrambi gli eventi si influenzino a vicenda.

Il caso del bambino rapito screditerà agli occhi del popolo la figura del Papa e l’istituzione chiesa, fomentando i moti di ribellione. La libertà di Edgardo d’altra parte sarà legata strettamente al destino di Roma e quindi a quel 1870 che segna la fine dello Stato Pontificio come grande potenza della penisola e internazionale.

L’atto d’accusa di Bellocchio in Rapito

Primo piano di Papa Pio IX in Rapito
Primo piano di Papa Pio IX in Rapito.

La prima cosa che ci sentiamo di sottolineare nella nostra recensione di Rapito è che senza ombra di dubbio Marco Bellocchio non nasconde la mano. Un atto d’accusa senza appello del regista italiano verso l’istituzione ecclesiastica, non dissimile da quanto lui stesso aveva fatto in Nel nome del padre (1972) e ne L’ora di religione (2002).

Lo Stato Pontificio con i suoi dogmi viene descritto a tutti gli effetti come un’istituzione dittatoriale che segue senza ritegno i propri interessi. Tre sono le figure ecclesiastiche principali, non a caso interpretati dai volti più noti del cast: Papa Pio IX da Pierpaolo Pierobon, il suo braccio destro da Filippo Timi e l’inquisitore da Fabrizio Gifuni. Un vero e proprio triumvirato che spicca tenebrosamente su tutto il film.

In particolare segnaliamo l’interpretazione di Pierobon, meraviglioso nel rendere l’idea di un despota tanto spaventoso quanto mentalmente fragile. Un atto d’accusa dicevamo. Bellocchio non si limita a porre l’accento negativo sui tre personaggi a livello puramente narrativo. Si lascia andare anche a trovate visive potenti e in grado di far discutere l’opinione pubblica ancora oggi.

Sia quando si tratta di scene oniriche, come quella in cui si può vedere Gesù scendere dalla croce e andarsene, sia quando invece si mostrano i bambini che vengono preparati dall’Istituzione Chiesa a diventare dei soldati pronti al martirio per una Guerra Santa. Una ferocia che corrisponde anche alla parte migliore del film, tutta concentrata nell’atto centrale, incredibilmente più curato e a fuoco del resto dell’opera.

Perdere i fili emotivi

Edgardo Mortara prega in Rapito
Edgardo Mortara ed Elia pregano in Rapito.

Arrivati al terzo atto purtroppo Rapito si perde. Duole dirlo perché fino a quel momento ci trovavamo nuovamente sorpresi davanti a un regista che, a quasi 84 anni, non sembra aver perso un briciolo della sua forza provocatoria ed estetica. Eppure, dal momento in cui la storia risorgimentale subentra nel racconto incentrato sul rapimento e sull’istituzione Chiesa, qualcosa si interrompe. Bellocchio sembra appoggiarsi alla cronistoria del racconto, non riuscendo a dare il peso necessario alle scene conclusive.

Tutta la scena della Breccia di Porta Pia, realizzata con un budget evidentemente non sufficiente, ha l’aspetto di un’appendice obbligatoria ma non voluta. Lo stesso per i momenti finali in cui ci si scorda di riprendere alcuni elementi dell’incipit. I vari ricongiungimenti di Edgardo con i membri della sua famiglia non hanno alcun peso drammatico, nessun tipo di tensione emotiva. Una perdita dei fili emotivi che avevano guidato fino a quel momento l’intera vicenda e che semplicemente vengono persi nel terzo atto, portando il film a una conclusione non soddisfacente.

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