Esterno Notte, la recensione: il Rapimento Moro secondo Marco Bellocchio

ESTERNO NOTTE: LA RECENSIONE

Da ieri in 300 sale italiane grazie a una distribuzione limitata e spezzata in due parti e prossimamente sui piccoli schermi, Esterno Notte si mostra al Festival di Cannes in tutte le sue cinque, densissime ore. Cinque ore per raccontare quei cinquantacinque giorni, che in Italia (e non solo) avrebbero cambiato tutto: il Rapimento Moro secondo Marco Bellocchio, che si mette alla prova per la prima volta nella sua carriera, alla veneranda età di 82 anni, con una serie che però sa di grande cinema.

Esterno Notte fra equilibrio e ricostruzione

Fabrizio Gifuni è Aldo Moro
Fabrizio Gifuni è Aldo Moro

Cercai disperatamente di forzare le mani nel tono del film, evocando quel clima di farsa nerissima che si respirava e si continua a respirare in Italia

Potrebbero tranquillamente riferirsi a Esterno Notte, le parole che Elio Petri usava nel lontano 1979 per descrivere l’ultima grande messa da requiem al cinema politico italiano. Solo l’anno precedente, il rapimento e la successiva esecuzione del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro a opera delle Brigate Rosse avevano reso definitivamente impresentabile Todo Modo. E con esso un’intera tradizione cinematografica che solo vent’anni e diversi cadaveri eccellenti dopo avrebbe potuto tentare la via di una rifondazione, pur non così omogenea.

Nel mezzo, Marco Bellocchio, uno dei pochi superstiti della vecchia guardia, capace oggi di riaffermare con forza e veemenza la propria esperienza cinematografica e politica di lungo corso, mettendola al servizio di un linguaggio nuovo come quello della serialità. Ma soprattutto di rievocare quel clima di farsa nerissima senza per questo indugiare troppo nel simbolismo e nel non-detto che titoli come Il Divo ci hanno insegnato ad amare. Qui la forza primaria e la grande novità di Esterno Notte: il suo essere grottesco senza per questo essere allegorico. La farsa che non ha bisogno di sostituirsi alla cronistoria, poiché ne emergerà naturalmente.

Equilibrio e ricostruzione: sono questi i due ingredienti che rendono Esterno Notte un titolo destinato a restare. Ricostruzione precisa ed esaustiva da un lato, più storica che giornalistica, più fattuale che speculativa, capace di intuire la grande necessità invocata da quella fetta di Storia d’Italia: fare ordine, prima di tutto. Le zone d’ombra, allora, si schiariranno da sé. Ed equilibrio dall’altro, che è poi l’unico sinonimo possibile di perfezione, di bilanciamento misurato, nella costruzione di una qualunque opera filmica. Esterno Notte è un ventaglio di punti di vista: a livello macroscopico, da episodio a episodio; a livello microscopico, all’interno degli stessi.

Sei personaggi in cerca di Aldo Moro

Toni Servillo è Papa Paolo VI
Toni Servillo è Papa Paolo VI

Sono proprio i punti di vista a contare, nella struttura seriale e visibilmente episodica scelta da Marco Bellocchio. Una cronologia di quei cinquantacinque giorni che si riannoda, si ripete e si spartisce fra la cerchia dei suoi protagonisti: non tutti, non i più inflazionati, ma proprio per questo i più interessanti. La Vittima, gli Aguzzini, la Vedova, il Ministro, Sua Santità. Ciascuno che si fa portatore di una dimensione politica, privata o collettiva in quell’evento spartiacque che fu il Rapimento Moro. E ciascuno interpretato da un cast semplicemente incredibile e che andrebbe menzionato per intero: su tutti Fausto Russo Alesi nei panni di Francesco Cossiga, Margerita Buy in quelli di Eleonora Moro e Fabrizio Gifuni con il suo incredibile lavoro trasformistico, sulla voce come sull’aspetto, nuovamente nei panni di Aldo Moro dopo Romanzo di una strage.

Il risultato è una narrazione che lascia i brividi lungo tutto il suo svolgimento, solo apparentemente assodato, solo apparentemente storicizzato. Perché di storicizzato, in realtà, non c’è proprio nulla, che è anche il motivo per cui titoli come Esterno Notte rimangono, ancora oggi, così indispensabili. Dal Dopoguerra a Tangentopoli, la nostra è una nazione che rimane avvolta nel segreto di stato, fatta di grigi e inquietanti e oscuri burocrati e delle porte che si chiudono dietro di loro, ma senza spioncino, perché risulti impossibile gettare uno sguardo dentro le tante stanze del potere in cui si è cambiato il corso della storia, quasi mai in meglio. E mente le schiene si fanno sempre più ricurve e le gobbe sempre più prominenti sotto il peso di quei segreti, Esterno Notte si rende quello spioncino, spartendo accuse e benefici del dubbio in egual misura.

Crede al Giulio Andreotti che racconta: “Quando rapirono Moro ebbi dei conati di vomito. Una reazione incontrollata“. Infatti, da quella porticina, gli fa fare capolino totalmente imbrattato: Bellocchio insomma ha l’approccio di chi, quella tradizione cinematografica, la porta avanti da anni e con costanza. E che non si spinge quindi nel grido improvviso del complottismo incostante, ma scende a patti con l’idea che ricostruzioni di questo tipo possano essere un po’ meno intrigo internazionale e un po’ più storie di uomini e di donne: alcuni fallibili, altri colpevoli, tutti irrimediabilmente dannati. Su tutte la caratterizzazione di Cossiga, forse troppo indulgente e dimentica della parentesi Gladio e dei rapporti con la CIA, molto meno innocenti di quanto non si faccia passare. Salvo poi ricordarci, questo sì che è grottesco, come il Ministro dell’Intero che si dichiarava “finito”, sette anni dopo verrà promosso a Presidente della Repubblica.

Alternative storiche

Una scena di Esterno Notte
Una scena di Esterno Notte

I destini privati, politici e di un’intera nazione si collegano a doppio filo in un unico diorama grazie all’opera di Esterno Notte, epopea e spaccato su quel palcoscenico del mondo che in cinquantacinque giorni di farsa grottesca ha cambiato i destini del blocco occidentale. Quel piccolo Paese al centro di tutto, in bilico sulla cortina di ferro, come una palla che rimbalza sulla rete ormai da troppo tempo e potrebbe cadere in ogni momento da un lato come dall’altro.

Solo qui, Bellocchio si concede la grande parentesi dell’assurdo, immaginando l’alternativa storica che avrebbe potuto far cadere la palla dall’altro lato, un po’ come già fatto in Buongiorno Notte. Solo qui e solo per il tempo necessario a rigettarci, cinque ore dopo, dal lato sbagliato della Storia, quello che si è poi avverato. Cinque ore dopo, la culla della cristianità sembra ormai solo una grande fucina di diavoli su sottofondo di Giuseppe Verdi. Ma per l’Italia e per Moro, non può che essere la Messa da Requiem.

Questa e molte altre recensioni su tutti i prossimi film della 75esima edizione del Festival di Cannes sempre su CiakClub.it

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