Le ali della libertà torna in sala: recensione di un cult senza tempo

In occasione del 100° anniversario della Warner Bros., Le ali della libertà torna al cinema l’8, il 9 e il 10 Maggio. A distanza di quasi 30 anni dalla sua uscita, il film di Frank Darabont si è imposto come un vero e proprio cult senza tempo, diventando uno dei film più apprezzati nella storia del cinema. Questa è la nostra recensione.
Le ali della libertà torna in sala: recensione di un cult senza tempo

Il 10 Febbraio del 1995 usciva in Italia Le ali della libertà, segnando l’inizio della carriera cinematografica di Frank Darabont. Lo stesso anno uscirono Pulp Fiction e Forrest Gump, monopolizzando il botteghino e soprattutto l’attenzione mediatica. Nonostante quelle 7 candidature agli Oscar, nessuno probabilmente avrebbe scommesso che, a distanza di 30 anni, Le ali della libertà sarebbe potuto diventare un classico del cinema contemporaneo al pari dei suddetti. A volte però il futuro riserva delle sorprese, e attualmente l’esordio di Frank Darabont non è soltanto un vero e proprio cult senza tempo, ma è anche uno dei film più apprezzati nella storia del cinema.

Le ali della libertà torna al cinema

Tim Robbins e Morgan Freeman ne Le ali della libertà
Tim Robbins e Morgan Freeman ne Le ali della libertà

A partire da oggi e per tre giorni, 8, 9 e 10 Maggio, Le ali della libertà torna al cinema in versione restaurata 4K, grazie a Warner Bros. Nell’anno del 100° anniversario, infatti, la casa di produzione ha aperto il suo archivio storico e ha deciso di riportare in sala alcuni dei capolavori che hanno fatto la storia del cinema. Ispirato a un racconto di Stephen King, Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank, il film di Darabont nel corso degli anni è stato inondato dall’amore del pubblico, che adesso potrà rivivere quelle straordinarie emozioni anche sul grande schermo.

Amore riconducibile anche e soprattutto all’universalità della storia che racconta e dei valori di cui si fa messaggero. Perché Le ali della libertà è a tutti gli effetti un film carcerario, ma un po’ come per i prigionieri, col passare dei minuti le mura iniziano a dissolversi anche per gli spettatori, facendo sì che diventi, più di ogni altra cosa, una storia di amicizia e fratellanza, di speranza e libertà.

Genesi di un cult

Tim Robbins nei panni di Andy Dufresne
Tim Robbins nei panni di Andy Dufresne

Siamo negli anni ‘40, quando Andy Dufresne, uomo rispettabile e vice-direttore di una banca, annebbiato dai fumi dell’alcol, si macchia apparentemente dell’omicidio della moglie e dell’amante. Benché continui a professare la propria innocenza, verrà condannato a due ergastoli e imprigionato nel carcere di Shawshank. Inizialmente Darabont ci mostra le classiche dinamiche carcerarie. Andy viene schernito e stuprato, le guardie sedano col sangue qualsiasi dissenso, e quella politica di riabilitazione e istituzionalizzazione dichiarata dal direttore rivela in realtà un sistema corrotto. 

Poi però, improvvisamente, un piccolo gesto di Andy accende un lume di speranza, quello a cui quest’ultimo, ma soprattutto il film, si aggrapperanno con forza fino alla fine. D’altronde “la speranza è una cosa buona, forse la migliore delle cose, e le cose buone non muoiono mai”. Così, mentre la voce narrante di Red racconta una storia di amicizia fraterna, resa memorabile dalla sintonia tra Morgan Freeman e Tim Robbins, Le ali della libertà racconta invece quanto le azioni di un singolo uomo possano influenzare la società. Una storia semplice, disillusa forse, ma non per questo meno emozionante.

Le ali della libertà: la critica al sistema

Andy e Red in un frame del film
Andy e Red in un frame del film

“La cosa strana è che quando ero fuori ero un uomo onesto, dritto come una freccia. Qui in prigione sono diventato un diavolo!”. L’intento critico de Le ali della libertà si può riassumere con questa frase pronunciata da Andy. Frank Darabont mira infatti a un sistema marcio fino al midollo, colpendo il bersaglio in pieno centro. Ciò che fa non è soltanto riflettere su un sistema giudiziario totalmente fallimentare e pressapochista. Non si limita soltanto a un classico ribaltamento tra giustizia e criminalità, tra guardie e carcerati. 

Le ali della libertà scava nel profondo, all’interno di un inconcludente sistema riabilitativo, che porta i prigionieri ad essere schiavi di quelle mura in cui hanno passato gran parte della loro vita. “Io dico che queste mura sono strane: prima le odi, poi ci fai l’abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno. Sei istituzionalizzato… È la tua vita che vogliono, ed è la tua vita che si prendono”. 

Così succede che quando ottieni finalmente la libertà, non sai più neanche che cosa significhi, e non solo non riesci ad apprezzarla, ma ti trovi sopraffatto a tal punto da non riuscire a sopportarne il peso. Risiede lì la critica di Darabont, nella straziante parentesi di Brooks, in quel sentimento di inutilità e in quei 10 minuti che diventano l’anima di un intero film.

Un incondizionato inno alla speranza

Una scena de Le ali della libertà di Frank Darabont
Una scena de Le ali della libertà di Frank Darabont

Andando oltre l’universalità della storia che racconta, Le ali della libertà riesce a toccare le corde più profonde del cuore degli spettatori anche grazie al suo protagonista. Andy è un uomo comune, di una gentilezza rara, con cui ognuno a modo suo entra in empatia. Certo, sembra aver commesso uno sbaglio, ma al di là dello schermo, lo spettatore non può e non deve commettere lo stesso errore del sistema, e anche se Andy fosse realmente colpevole, deve credere necessariamente che la redenzione sia possibile.

Se è vero che dentro a quel carcere “o fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire”, Andy rimane sicuramente aggrappato alla propria vita, impedendo che gli venga sottratta. È per questo che il film di Darabont è un meraviglioso inno alla speranza, la stessa speranza  che Andy non abbandona mai, nemmeno per un secondo. 

È in lui che Le ali della libertà trova il suo cuore pulsante, ed è grazie a lui che ci insegna la vera essenza della vita, che risiede in quella libertà che troppo spesso diamo per scontata. Una libertà che ha il suono di due voci “che si librano nell’aria ad un’altezza che nessuno di noi ha mai osato sognare”.

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