Charlie Chaplin, il genio del muto che sopravvisse al sonoro

Charlie Chaplin è stato uno dei più grandi cineasti della storia del cinema. Attraverso due capolavori, Luci della città e Tempi Moderni, si può ripercorrere la sua carriera, tra l’iconica maschera di Charlot, la critica al capitalismo americano e l’avversione per il sonoro.
Charlie Chaplin, il genio del muto che sopravvisse al sonoro

Charlie Chaplin nacque a Londra nel 1889. Nel giorno del suo compleanno poniamo l’attenzione su uno dei più grandi, influenti, rivoluzionari cineasti del XX secolo. Chaplin fu al tempo stesso attore, comico, regista, sceneggiatore, produttore e compositore. Il suo linguaggio, muto, fu (ed è tuttora) in grado di comunicare e mettere d’accordo un pubblico di diversa età e provenienza, facendogli raggiungere un successo universale. Vincitore di tre premi Oscar, due onorari e uno alla miglior colonna sonora, la sua popolarità lo portò a ottenere un contratto di un milione di dollari, il più alto esistito fino ad allora. 

La Slapstick Comedy

Charlie Chaplin e Buster Keaton, i volti della Slapstick Comedy
Charlie Chaplin e Buster Keaton, i volti della Slapstick Comedy

Il periodo d’oro della cinematografia di Chaplin risale agli anni 20. I “Roaring Twenties” in America furono all’insegna del lusso sfrenato, dell’ottimismo e della voglia di libertà; tutto ciò si tradusse anche nel modo di fare cinema, molto più libertino e disinibito rispetto al sistema degli anni 30. In questi anni, agli albori dello sviluppo del cinema classico hollywoodiano, fu centrale il genere della Slapstick Comedy, di cui Charlie Chaplin e Buster Keaton i volti principali.

La commedia “schiaffo e bastone” non pretendeva di far ridere tramite la battuta, discostandosi dalla comicità legata al personaggio; dopotutto, si trattava ancora di cinema muto, con la presenza di didascalie. Era piuttosto un cinema d’azione, nel senso che tutto convergeva nell’enfatizzare il movimento, creando situazioni imprevedibili, che spesso richiedevano prestazioni atletiche da parte dei personaggi (Buster Keaton fu un maestro in questo). All’interno della storia del cinema, la Slapstick Comedy è stata fondamentale come “palestra” per il linguaggio cinematografico; Chaplin e Keaton prestavano grande attenzione alla dimensione delle immagini, al ritmo, all’inquadratura e al montaggio.

Charlie Chaplin e la maschera di Charlot

Charlie Chaplin e la maschera di Charlot
Charlie Chaplin e la maschera di Charlot

Intorno al 1914/15 Chaplin creò la maschera di Charlot, attorno a cui costruì la maggior parte delle sue sceneggiature di successo e con cui diventò celebre in tutto il mondo. Grazie al suo inizio di carriera in un circo, Chaplin riuscì a sviluppare un personaggio che con l’inconfondibile bombetta, il bastone, i baffetti e i pantaloni e le scarpe abbondanti, prendeva ispirazione dal clown, condividendone l’espressività. Chaplin però non si limitò a questo, perché ad esso aggiunse la profondità, l’emarginazione e la solitudine tratti dalla sua infanzia difficile.

Il “vagabondo” di Chaplin è la rappresentazione dell’emarginato, che prova a integrarsi nella società ma viene puntualmente deriso e, come una sorta di ripicca, spesso diventa un modello. Il rapporto di Chaplin con la maschera di Charlot è quello di colui che si sente rigettato dalla società e trova come unica soluzione quella di deriderla, prenderla in giro, punzecchiarla. La maschera di Charlot diventa l’emblema dell’alienazione umana, soprattutto delle classi sociali considerate inferiori, nell’epoca del progresso industriale ed economico.

Luci della Città

Charlot in una scena di Luci della città
Charlot in una scena di Luci della città

Luci della città è un film muto accompagnato dalla colonna sonora, uscito nel 1931. La trama ruota attorno a Charlot, che conosce una fioraia cieca e un milionario ubriacone. Il vagabondo si innamora della ragazza, incontrata sul ciglio della strada; lei, sentendo chiudere la portiera di un’auto di lusso, scambia Charlot per un uomo benestante. Quest’ultimo, per poter pagare l’intervento per ridarle la vista, vive una serie di vicissitudini da cui esce sempre sconfitto. Sul finale però, finendo anche in prigione, riesce nel suo intento, arrivando a un commovente e significativo epilogo, dove si abbandona il registro comico per costruire una scena di ricongiungimento e di scoperta tramite il contatto umano. 

In questo film è evidente come Chaplin sia maestro nel fondere momenti di comicità all’interno di una cornice narrativa ben definita. In Luci della città vengono introdotti elementi drammatici e patetici, a sottolineare come non si punti solo a far divertire, né a criticare la società tramite questo; si vuole far ridere ma anche riflettere e commuovere. Inoltre, il rapporto con il milionario, che considera Charlot suo amico solo da ubriaco mentre lo disprezza da sobrio, diventa una metafora della società, dove il ricco guarda dall’alto verso il basso il povero. 

Tempi Moderni

L'iconica scena di Tempi Moderni
L’iconica scena di Tempi Moderni

Nella filmografia di Chaplin troviamo un percorso verso la sempre maggiore esposizione politica, in cui manifesta un’avversione al capitalismo americano, che gli costerà l’espulsione dagli Stati Uniti. Se in Luci della città questa critica è ancora embrionale, in Tempi Moderni arriva alla sua piena realizzazione. Ritroviamo il personaggio di Charlot, questa volta un operaio costretto a lavorare macchinosamente, con ritmi rapidissimi e ripetitivi, arrivando ad avere un esaurimento nervoso. Tra scioperi e proteste finirà in prigione, fin quando non incontrerà una giovane e orfana modella, con la quale proverà a cambiare vita.

La danza di Charlie Chaplin

Molto spesso le scene di Chaplin vengono definite come una danza, per i suoi movimenti uniti alla sua maestria nell’utilizzare gli spazi. Egli unisce grandissime doti attoriali e acrobatiche al tema del confronto con la società, con la modernità, con le macchine. Sono gli anni in cui si afferma il modello del taylorismo e del fordismo: un nuovo modo di concepire il lavoro, in cui l’operaio fa una sola cosa in maniera alienante e diventa un ingranaggio, un solo anello della catena di produzione. Si parte da lui in veste di operaio, che fa questo gesto ripetuto finché, tramite un processo di alienazione, non diventa un qualcosa di autonomo, che inizia a utilizzare ovunque.

 Il rapporto di Chaplin con il Sonoro

Scena della canzone "Titine" in Tempi Moderni
Scena della canzone “Titine” in Tempi Moderni

Nel 1927, con Il cantante di jazz (The Jazz Singer), l’avvento del sonoro cambiò i paradigmi che avevano guidato il cinema fino a quel momento; gran parte dei divi o dei registi, tra i quali Buster Keaton, non riuscirono ad adattarsi, concludendo così la loro carriera. A Chaplin non toccò la stessa sorte, nonostante la sua posizione fu oppositiva al sonoro; fu abile e lungimirante da sapersi adattare e reinventare pur continuando a preferire l’espressività del muto, sostenendo di saper far ridere senza bisogno di battute parlate, ma solo con la propria immagine e il movimento. 

La scena iconica della canzone “Titine” in Tempi Moderni (prima volta in cui si sente la voce di Chaplin) ne è la dimostrazione: cantando un motivetto fatto di parole senza senso fa comunque ridere il pubblico, prendendo in giro la costrizione e l’ossessione per il sonoro. Dopo questo film Chaplin abbandona la maschera di Charlot, non volendo snaturarla in quanto non pensata per affrontare il dialogo. Successivamente Charlie Chaplin lavorò a diversi film sonori, tra cui l’iconico Il Grande Dittatore, del 1940.

Tra piccoli cortometraggi e grandi film, l’eredità di Charlie Chaplin è tuttora un grande tesoro nella storia del cinema, ricco di interessanti spunti di riflessione ancora molto attuali. Per altri approfondimenti e curiosità, continua a leggere CiakClub.it

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