Black Mirror 4, recensione dell’episodio 5: Metalhead

Con l’approdo su Netflix ed il conseguente aumento di episodi prodotti, lo show di Charlie Booker ha, per forza di cose, dovuto sperimentare, provando a mantenere la sua natura, la sua filosofia, la sua anima.  Se fino ad oggi le cose erano comunque andate molto bene, con Black Mirror 4 non si può dire la stessa cosa, in particolare con questo quinto episodio, Metalhead, con cui la serie di Netflix tocca probabilmente il suo punto più basso.

Siamo in un futuro post-apocalittico quasi desertico dove la presenza umana è minima e deve lottare per poter sopravvivere procacciandosi le risorse necessarie. In questo scenario seguiamo le gesta di tre persone che si introducono, goffamente, in un magazzino cercando di appropriassi di qualcosa a noi non noto. Durante questo procedimento vengono scoperti e fermati da quello che loro definiscono “cane”, una sorta di robot dalle sembianze animalesche, che si rivela immediatamente temibile e letale e che inizia a dargli la caccia. Il focus resta sulla protagonista interpretata da Maxine Peake e sulla sua disperata fuga.

La scelta di David Slade (30 Giorni di Buio, Hard Candy) non è certamente casuale. Quello che ci troviamo davanti è infatti un thriller survival-horror diretto egregiamente dove non ci si annoia nonostante non ci siano grandi idee. La scelta del bianco e nero, esteticamente ottima, cerca di rimediare alla scarsa caratterizzazione dell’ambientazione ma con scarsi risultati. Scade poi inserisce diverse citazioni, tra le più chiare e significative ci sono sicuramente quella a Predator (1987) e quella a Psycho (1960) ma tutto il finale richiama molto Hitchcock.

Ma se le premesse sono queste, dove è il problema?

Semplice, non è una puntata di Black Mirror.

Leggi la recensione dell’episodio 1

Black Mirror 4

Leggi la recensione dell’episodio 2

Il problema generale di una parte di questo Black Mirror 4 ed in particolare modo di Metalhead, è che poco ha in comune con le stagioni precedenti. Durante la visione del quinto episodio lo spettatore non lega mai con la protagonista, non si sente colpito nel profondo, non è colpevole. Le radici di tutto ciò stanno nelle assenze di legami con il sociale, con l’ambiente ed anche con la tecnologia stessa. Il “villain” di questa storia, oltre ad avere un design che vorrebbe essere minimal ma risulta solo anonimo, non lo si percepisce quasi mai come un effetto della deriva umana. L’episodio cerca di riprendersi con un finale “a sorpresa”, come se gli autori stessi si fossero accorti delle loro mancanze, ma il messaggio cade nel vuoto esattamente come il Pathos, la parte irrazionale del nostro animo che dovrebbe farci empatizzare con la vicenda.

Leggi recensione episodio 3

Ciò che ci rimane è il Logos, ovvero la triste razionalità che ci guida durante questi 40 minuti e, progressivamente, ci fa render conto che non arriverà il classico brivido di pura angoscia a cui ci ha (aveva?) abituato la serie. Metalhead, quinto episodio di Black Mirror 4, non ha un’anima, è un uomo senza “io”.

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