Da ormai una settimana il catalogo Netflix si è arricchito di un titolo estremamente interessante già dalle premesse. Si tratta di Beef (Lo scontro col titolo italiano), la serie in collaborazione con A24. Protagonisti Ali Wong e Steven Yeun, diretta e scritta da Lee Sung Jin (già noto per Undone).
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I personaggi intorno ai quali ruota l’intera vicenda della stagione (10 episodi) sono Danny Cho e Amy Lau. All’inizio, però, li conosciamo attraverso una sola cosa: la targa delle loro due auto. La trama, infatti, si accende con un mancato incidente stradale, dal quale inizia un inseguimento violento ed irrispettoso fra i due automobilisti, che non si vedono in faccia a vicenda. È la miccia che accende il fuoco, o forse la goccia che fa traboccare il vaso pieno nelle vite individuali di entrambi: lui un tuttofare disperato con una famiglia in fallimento, lei una ricca imprenditrice con un marito troppo innamorato e stanca del lavoro.
Diventano, nelle reciproche vite, una targa da ricordare a memoria e di cui finiscono per essere ossessionati. Finalmente dopo anni di vuoto le loro esistenze hanno uno scopo: trovare il proprietario o la proprietaria di quell’auto e vendicarsi.
La vendetta è come una monetina in Beef
In Beef il desiderio sanguinoso di vendetta è come la monetina che sfrega il disegno sul Gratta e Vinci. Sotto quello strato ci sono tristezze profonde e fragilità irrisolte da parte di entrambi. Capiamo che per il senso della serie, in quel primo episodio in cui avviene l’incidente, qualcosa si è rotto ma non sono le auto: è saltato un pezzo nelle vite di Danny ed Amy. Non che dall’incontro-scontro abbiano smesso di funzionare, forse il contrario. Non funzionavano e quell’incidente ha azionato in loro i meccanismi che li hanno portati ad accorgersene e a sputare fuori la rabbia incandescente che covavano.
Rabbia e vendetta, però, vengono impeccabilmente rappresentate come un elastico: ai due estremi sono i protagonisti e al tirare dell’uno corrisponde il rimbalzo dell’altra. Resta per tutta la serie, così, una tensione mai squilibrata a maggior discapito di uno o dell’altra. Nella reciprocità del male che li fa inseguire in realtà creano un rispecchiamento che a noi spettatori fa commuovere. Tutta la serie è contenuta nell’episodio iniziale: si incontrano, stanno quasi sempre per sbattere, incasinano la strada anche agli altri automobilisti che gli stanno intorno, si inseguono con forza, azzardano e si insultano. Le macchine non si rompono però, l’incidente non avviene e cosa vuol dire lo scopriamo soltanto alla fine.
Lo stile di Beef

Se l’intreccio, letto soltanto dal riassunto della trama non ci dice poi molto, ad essere determinante per il valore della serie è lo stile di cui viene vestito lo scheletro della narrazione. Fra l’umoristico ed il grottesco, a volte spezza la tensione con un sarcasmo inaspettato, altre picchi di violenza gratuita ci ricordano che non stiamo guardando una commedia. Viene definita dark, ecco forse il tratto oscuro è l’unico che a volte può apparire forzato; diremmo meglio che è consapevolmente triste. A farci sorridere di più sono i riferimenti ironici agli episodi spiacevoli nelle vite dei due protagonisti, ai quali tornano a fare riferimento proprio loro in situazioni differenti, creando l’imbarazzo di chi è con loro e il sorriso di noi spettatori.
“Non c’è un modo sbagliato di intendere l’arte” dice ad un certo punto George, il marito di Amy: sembra una chiave di lettura per i quadri con cui si aprono tutti e 10 gli episodi. Acquerelli sopra i quali compaiono i titoli (elaboratissimi) delle singole puntate, che già ci anticipano i tratti indistinti, sfumati, mescolati e confusi che compongono gli animi dei protagonisti (cioè di tutti gli uomini) e le dinamiche degli eventi.
La fine delle due bombe ad orologeria

Dopo il penultimo episodio in cui assistiamo al dilagare della violenza, sulle orme di Parasite, la puntata finale vale l’intera serie. Andrebbe guardata prima delle altre nove per cogliere il senso di tutto ciò che accade, per questo è del tutto dirompente che sia alla fine e ci lascia col fiato sospeso. Sembra un capitolo a parte, uno spin-off, un episodio speciale in occasione di qualche avvenimento. Invece è proprio la conclusione della vicenda; o meglio la vicenda si sarebbe conclusa nell’episodio precedente, ma è del decimo che abbiamo bisogno per collegare i puntini nella psicologia e nelle crisi che riguardano i due protagonisti.
Dialoghi e sceneggiatura ci ricordano il recente Gli spiriti dell’isola (questo il trailer), mentre l’ambientazione su un’isola deserta, nella quale emergono primitività e discorsi profondi sul senso della propria esistenza riportano al finale di Triangle of Sadness. “Siamo fuori di testa” dice Danny; “o forse lo sono tutti quelli che chiamiamo normali” le risponde Amy. Così le due bombe ad orologeria, sempre sul punto di esplodere in tutta la stagione, finiscono per disinnescarsi e, senza fare spoiler, il male vero arriva, come sempre, dalla banalità.
Per Rotten Tomatoes si trattava già della serie migliore dell’anno, noi non ci dimenticheremo di Beef e della sua cruda realtà per molto tempo probabilmente. A voi non resta che guardarla!