L’anno scorso è uscito Tori e Lokita. Il film di produzione belga-francese è stato realizzato da Jeanne-Pierre e Luc Dardenne nella sua totalità. Infatti, i due fratelli nati in Belgio hanno sia scritto la sceneggiatura che curato la regia, oltre ad aver prodotto il lungometraggio. L’anteprima del film è stata presentata durante la scorsa edizione del Festival di Cannes, a maggio 2022, candidandosi a vari riconoscimenti e aggiudicandosi il Premio del 75° anniversario. Da oggi, domenica 21 maggio, il prodotto sarà disponibile nel catalogo di Sky e on demand sulla piattaforma streaming Now.
La trama di Tori e Lokita

Siamo in Belgio. Tori è un ragazzino di undici anni tutt’altro che spensierato, Lokita è una sedicenne con troppe responsabilità. Nonostante la loro giovanissima età, i due protagonisti, rispettivamente interpretati da Pablo Schils e Joely Mbundu, vivono una realtà fin troppo complicata. Sono due immigrati in Europa, fuggiti dall’Africa centrale a caccia di sogni e armati di tanta speranza, o forse non così tanta…
Entrambi vivono alla giornata, guadagnando quanto possono con attività lecite e non. Frequentano il locale di Betim, interpretato da Alban Ukaj, un trafficante di droga che usa il suo ristorante per nascondere un giro di spaccio. Tori e Lokita sono i suoi corrieri per il servizio di consegne, con cui camuffano la vendita di stupefacenti. Lokita, in particolare, tenta di ottenere un documento che le consentirebbe di lavorare legalmente e con regolarità, così da poter mantenere il piccolo Tori, mandare del denaro alla famiglia rimasta in Camerun e liberarsi dal debito contratto con le persone che l’hanno portata dall’Italia in Belgio, una volta sbarcata nella penisola.
Fratelli (non) di sangue

Tori e Lokita vivono di espedienti per sopravvivere. Fianco a fianco. Lokita è sempre pronta a provvedere ai bisogni di Tori, e quest’ultimo è sempre pronto a sostenerla. La sedicenne camerunese si fa in quattro per cercare di mantenere il giovane originario del Benin, mentre quest’ultimo farebbe di tutto per aiutarla in una situazione di pericolo. Un po’ come accade all’interno dell’hangar. La loro unione è anche la loro forza.
Tori e Lokita si fingono fratelli, ma non lo sono. E allora perché lo fanno? Solo perché hanno un rapporto di enorme affetto reciproco? Sicuramente le loro esperienze di vita hanno forgiato questo meraviglioso legame. Ma non è solo questo. Tori, in quanto considerato un “bambino stregone” nel suo paese, ha diritto ad avere un documento. La “sorella”, invece, no. Tuttavia, fingere di essere parenti potrebbe agevolarla, così da permetterle di esaudire il suo desiderio, diventare parrucchiera.
Alla fiera dell’est

“Alla fiera dell’est…” suonava Angelo Branduardi nel ’76. Nel lungometraggio dei fratelli Dardenne presentato al Festival di Cannes 2022 (qui trovate tutti i vincitori), sentiamo i protagonisti cantare questa canzone. La possiamo ascoltare nella prima parte del film, interpretata direttamente da Tori e Lokita all’interno del ristorante di Betim, e all’inizio dei titoli di coda. Ma per quale motivo? Cosa rappresenta davvero questo brano?
Alla fiera dell’est è un adattamento della filastrocca pasquale ebraica intitolata Un capretto (Chad Gadya), che ricorda la liberazione del popolo giudaico dalla schiavitù. Una canzone in chiave pacifista di un popolo che ha subito continue ingiustizie e vessazioni, un po’ come i due personaggi principali della trama, che sognano anch’essi questa pace, ricordando da dove vengono e facendo della speranza il loro ossigeno, anche quando questo sembra mancare e l’aria è rarefatta.
Tori e Lokita, quando non c’è speranza

La speranza è probabilmente la coprotagonista del film. Questo si apre con un primo piano della protagonista femminile. Ha lo sguardo di chi chiede aiuto. La sensazione è che il fuoco della speranza stia soffocando, ma ancora c’è. È vivo. Arde ancora. Lokita inizia a piangere. Queste lacrime che scorrono come acqua di un ruscello, spegneranno il fuoco della speranza? Oppure, al contrario, sono come benzina che ne alimenta la fiamma?
Invece, passando al finale del lungometraggio, proprio nella scena conclusiva, la situazione è totalmente ribaltata. Il primo piano è su Tori. È inespressivo. Per quanto possa esserlo, non sembra nemmeno troppo dispiaciuto per quello che è successo. C’è freddezza nel suo volto. Quel fuoco è ormai spento. Non è rimasto neanche il fumo, ma solo la rassegnazione di un piccolo di undici anni.
Tori e Lokita affronta un tema delicato come quello dell’immigrazione. Un tema sempre attuale ma mai scontato e non semplice da trattare. Se il racconto, in quanto tale, presenta degli spunti più o meno interessanti, non aggiunge nulla di mai visto prima. Inoltre, uno degli elementi che contraddistingue maggiormente il film è la sua lentezza, nonostante la sua durata poco inferiore all’ora e mezza. Per concludere, a destare qualche incertezza, c’è anche la qualità del prodotto. E se questa, all’interno di un progetto cinematografico, può essere “calcolata” partendo dalla recitazione, allora forse abbiamo trovato la causa dello spegnimento di quel fuoco.