Riprendiamo il filo di questa 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma con un heist movie firmato Netflix Italia. Solo l’ennesimo prodotto commerciale e nulla di più, che sinceramente non meritava un passaggio da festival. Rapiniamo il Duce è un film che deve tutto alla svolta nel cinema di genere italiano operata da Freaks Out, ma che non restituirà niente di quel debito tranne che agli abbonati più annoiati.
Rapiniamo il Duce e gli spettatori
Avevo una ragazza, l’amore della mia vita. Aveva un mantra tutto suo, che ripeteva a intervalli regolari: “Non c’è complimento peggiore che tu possa fare a una ragazza oltre dirle che è carina”. In realtà capita in continuazione, dire che una certa persona è “carina” per farle un complimento. Ma per lei significava soltanto che non ci fosse molto altro da dire.
Mi è tornato in mente, ora capirete perché, dopo la visione di Rapiniamo il Duce alla Festa del Cinema di Roma. Un film che, a dirla tutta, selezione o no, nel contesto di un festival (per quanto popolare) non aveva alcuna ragione di esistere. Il discorso piattaforma o non piattaforma – la polemica nata solo qualche anno fa se film pensati direttamente per il piccolo schermo e non per la sala dovessero o meno passare per i festival – non c’entra nulla.
Netflix’s Army of the Dead

Non c’entra nulla tolto il fatto che Rapiniamo il Duce è un film irrimediabilmente da piattaforma, una di quelle (tante, tantissime) operazioni Netflix sempre più svuotate, estemporanee e al contempo così attaccate al citazionismo per il citazionismo, da far quasi tenerezza. Il regista è Renato De Maria, lo stesso de Lo spietato con Riccardo Scamarcio: a buon intenditor, poche parole. Non si tratta di film brutti, si tratta di film che non trasmettono nulla o quasi al di fuori dell’operazione commerciale, un tanto al chilo per riempire un catalogo. Si tratta di film “carini”.
Questi film riempitivi si somigliano tutti. Non concordo con chi si rifiuta persino di chiamarli “film”, perché il formato e il medium è quello. Ma sicuramente, col cinema, inteso in senso artistico – non per forza “alto”, chiariamo, anche un blockbuster commerciale può essere artistico – hanno a che fare ben poco. Quindi non si sa neanche bene come approcciarsi, al momento di recensirli. Di solito partono da una buona premessa narrativa, simile a quella che fu, sempre su Netflix, di Zack Snyder.
L’esempio è quello di Army of the Dead: in una Las Vegas assediata da un’epidemia zombie, mentre tutti cercano di fuggirvi, una banda di ladri vuole penetrare la zona di contenimento per rubare dal caveau del Bellagio o giù di lì. In questo caso, localizzazione di Netflix Italia, ci troviamo nella Milano della Seconda Guerra Mondiale, a pochi giorni dalla fuga – interrotta – di Benito Mussolini e degli ultimi repubblichini. Il bottino, è il tesoro degli italiani, nascosto nel covo più inespugnabile della città. Il resto è tutto un ammonticchiare pigro di comparti.
La ricetta Netflix

Qualche nome di punta a fare il cast: Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Filippo Timi, Isabella Ferrari, Maccio Capatonda e Tommaso Ragno. Poi qualche battuta scritta male, sentita all’esaurimento o semplicemente pronunciata senza tanto colore. Costumi e scenografie a profusione, aspetto più gradevole, per cui si ringraziano i dieci o dodici milioni di budget stimato. Molto simile cioè a quello di Freaks Out di Gabriele Mainetti, non fosse l’abisso che li separa in termini di economia di risorse, intelligenza produttiva e risultati banalmente.
Infine citazioni all’acqua di rose al cinema di genere alla Tarantino – soprattutto quando trasforma il film di guerra in western con Bastardi Senza Gloria – e tentativi sparsi di fare commedia senza far veramente ridere. Ciliegina, forse l’unico aspetto che si fissa per qualche ora dopo la visione, un paio di brani ben azzeccati che sorreggono poi il 90% delle scene in cui vengono prodotti e riprodotti.
Sì, è vero, Se bruciasse la città di Massimo Ranieri e Tutto Nero di Caterina Caselli – rifacimento nostrano di Paint It, Black dei Rolling Stones – ci sono entrate in testa, a forza di canticchiarle. Però ecco, sempre di quella ragazza solo “carina” stiamo parlando. Se poi non troviamo altro complimento a parte il fatto che abbia una buona playlist spotify, sì insomma, forse allora, tanto valeva non uscirci proprio.
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