Quante volte parlando del cinema americano classico ci sono venuti da nominare film come Viale del Tramonto, La fiamma del peccato o L’appartamento di Billy Wilder o film come Furia, Gardenia Blu, Il grande Caldo di Fritz Lang?
E quante volte, ancora, parlando di grandi registi del cinema americano si finisce irrimediabilmente a menzionare Ernst Lubitsch, che fu il primo regista ad avere il proprio nome scritto sulle locandine prima del titolo del film.
Il 30 Novembre del 1947 si spegneva, a seguito di un attacco cardiaco, il grande Ernst Lubitsch, mentre stava dirigendo La Signora in ermellino. Il film fu portato a termine poi dal collaboratore Otto Preminger, altro nome di capitale importanza nel cinema americano degli anni ’40 e ’50.

Ma cosa accomunava i registi citati, che trattarono dei generi così diversi fra di loro fra commedie, noir, drammi e thriller?
Erano tutti originari di paesi dell’Europa centrale.
La maggior parte di loro venivano chiamati da dei veri e propri talent scout delle case di produzione americane che, nei loro viaggi in Europa, cercavano giovani o già rodati registi da poter immettere nel frenetico mercato cinematografico d’oltreoceano.
Questo avveniva per il semplice motivo che agli americani piaceva l’Europa. O, meglio, piaceva avere una certa idea di un Europa “letteraria”, che questi registi erano in grado di presentare nel loro stile di regia o, direttamente, nelle trame dei loro film.
Lubitsch fu un maestro nell’imporre al pubblico americano puritano e tendenzialmente perbenista che andava affrontando anni molto movimentati sia politicamente sia economicamente un gusto sofisticato tipico di un continente vecchio ed ormai arrugginito come l’Europa. L’operazione era certamente molto rischiosa, ma Lubitsch seppe leggere alla perfezione, come solo un grande regista sa fare, ciò di cui avevano bisogno in quel momento i “neonati” americani, stanchi dei drammi e dei film che esaltavano l’American Way of Life e che andavano cercando un cinema che fosse più vicino al loro status di borghesi.
E’ infatti tipico del cinema di Ernst Lubitsch quel mescolarsi di detto e non-detto, di rappresentazione e di allusione, che induce ad una risata non per la esplicitazione del dato momento, ma per la reticenza di esso.
Lubitsch fu probabilmente il primo regista a far ridere gli americani non per la “gag” comica, ma per l’ironia.
Il suo era un cinema che “faceva ridere, ma anche riflettere”. E ciò è sempre stata una prerogativa della commedia nel nostro continente, di cui si possono riscontrare le tracce sin dai tempi antichi con autori come Menandro e Terenzio, fino a Shakespeare, a Machiavelli, Goldoni e riscontrabili anche più nella nostra Commedia all’Italiana, che riprende vari aspetti del cinema di Lubitsch.

Il “tocco alla Lubitsch” stava ad indicare un sottile umorismo ed un velato erotismo che si manifestava nella gran parte dei suoi film. Ed era esattamente quello che gli americani volevano. Gli americani avevano un’idea dell’Europa come di un posto in cui il libertinismo e l’edonismo dominavano sovrani, e sentivano di aver bisogno di quella sensazione che nel loro cinema prima di Lubitsch mancava. Lubitsch gliela seppe dare. E sull’alternarsi di ironia, di reticenze, di un cinismo quasi spiazzante e di allusioni erotiche mai esplicite (il pubblico americano non era ancora pronto a questo) costruì la sua fortuna.
Inutile dire che un colosso della storia del cinema americano come Billy Wilder, che fu più volte suo collaboratore nei film del Lubitsch degli anni ’30, assorbì appieno l’insegnamento del suo maestro ripresentando gli elementi del tocco alla Lubitsch (termine che lui stesso coniò) in ogni suo film.
Anche nei film La Fiamma del Peccato o anche in Viale del tramonto, i suoi film drammatici, emergono imperanti elementi Lubitschiani, come la velata ironia di fondo (che esplode potente nella scena finale di Viale Del Tramonto) e le allusioni erotiche.

Ma sia Ernst Lubitsch, sia Billy Wilder, sia il già citato Otto Preminger, erano austriaci, non americani.
Cosa portò registi di tale calibro, a cui possiamo aggiungere anche Fritz Lang, William Dieterle, Max Reinhardt ed attori come Peter Lorre (il Mostro Di Dusseldorf) a cercare ed a trovare la loro fortuna nel nuovo continente?
E’ interessante notare che tutti i citati avevano origine ebraica ed, eccezion fatta per Lubitsch, che anche in ciò fu precursore, arrivarono in America intorno agli anni ’30. La maggior parte di loro erano austriaci o tedeschi, appartenenti quindi al mondo culturale che fu prima della Repubblica di Weimar, florida terra d’arte, e dopo del Terzo Reich. I programmi di Adolf Hitler erano chiari fin da subito e ciò spinse numerosi tedeschi/austriaci di origine ebraica a cercare nuove occasioni in America, per sfuggire ad ipotetiche ritorsioni, che esploderanno nell’Olocausto.
Ed infatti i genitori di Billy Wilder persero la vita nei campi di concentramento e la stessa sorte toccò anche ai parenti degli altri già citati registi, che dall’America non potevano essere consapevoli dell’Olocausto, visto che le prime informazioni sui campi di sterminio si ebbero soltanto verso la fine della guerra.
Ma anche in un contesto drammatico, specialmente per un tedesco di origine ebraica come lui, Ernst Lubitsch riuscì, nel 1942 a dar luce al suo ultimo capolavoro noto in Italia con il nome di Vogliamo Vivere.
In un periodo delicatissimo della guerra la cinica irriverenza di Lubitsch si manifesta in tutta la sua potenza. Vogliamo Vivere rappresenta la summa del suo cinema ed è un’opera che riesce nell’intento di far ridere, ancora una volta, gli americani in un periodo di certo non allegro come la seconda guerra mondiale.
Il film va ad inserirsi nella striscia di pellicole anti-naziste prodotte negli States negli anni della guerra, ma ciò non snatura la sua forma, pungente e lucida, arguta ed ironica, che poteva solo essere tipica di un “vecchio” europeo che constatava il decadimento e la fine di un mondo, in favore di una nuova egemonia politica e culturale.

Il personaggio di Hitler viene deriso e sbeffeggiato
Se infatti dopo la II Guerra Mondiale gli USA acquisiranno un’egemonia politica sull’Europa, l’acquisiranno anche culturalmente. Ci sarà una corsa ad imitare il modello americano in ogni settore, anche quello cinematografico.
E proprio qui si compirà la “beffa” della sorte. Il modello del cinema americano non era stato impostato da americani, bensì da europei emigrati negli Stati Uniti. Ed ecco che tutti i registi e tutti gli attori che dovettero lasciare l’Europa nel periodo dei totalitarismi, ritornarono ad essa, ma sotto forma di modelli da imitare.
Ed ecco che il cinema europeo post-bellico si ritrovò ad imitare se stesso.
Era nato il cinema americano, ma sulle macerie di quello europeo.
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