Fresco vincitore della 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia con il suo “Shape of the Water”, Guillermo Del Toro ha citato come fonte d’ispirazione il cinema italiano ed in particolare i nostri maestri di genere: Bava, Argento e Leone.
E proprio la vittoria del premio più importante di Venezia da parte di un film di genere prettamente fantasy ha scatenato la curiosità del pubblico di tutto il mondo, che proprio in questi giorni ha l’opportunità di riscoprire nelle sale la poetica di Del Toro. Nel nostro paese, non essendo ancora uscito, sarebbe utile ingannare l’attesa ripassando la filmografia del regista messicano per non arrivare impreparati all’appuntamento del prossimo 14 febbraio.
Come non cominciare dal più celebre – e forse considerabile la summa del suo lavoro – Il Labirinto del Fauno.
Ambientato nel 1944 dopo la guerra civile spagnola, il film racconta della vita della giovane Ofelia (Ivana Baquero) e di sua madre (Ariadna Gil), incinta, sposata con il Capitano Vidal (Sergi Lòpez), ufficiale falangista, impegnato a combattere gli ultimi ribelli filo-comunisti.
Con il conflitto militare a fare da sfondo, l’autore ci fa immergere nella storia attraverso gli occhi di Ofelia, che comincia ad immaginarsi ed a vivere una vita parallela alla sua per sfuggire agli orrori della realtà.
Il particolare contrasto fra la cruenta ambientazione della storia e la fantasia di Ofelia, popolata da creature magiche e mostri spaventosi, hanno reso il film un oggetto di culto e ha permesso a Del Toro di entrare nell’Olimpo dei visionari contemporanei.
I due mondi sembrano talvolta sovrapporsi ed altre essere distanti il tempo di un fotogramma. Entrambi con le loro regole, con i loro pericoli e crudeltà. Il Labirinto del Fauno, oltre ad essere un’ opera di peculiare bellezza, ha il pregio di contenere tutti gli elementi caratteristici del cinema del regista messicano. La Guerra Civile Spagnola ne rappresenta un valido esempio – presente anche ne <<La Spina del Diavolo>> del 2001 – sempre adoperata per idealizzare il male del mondo.
Fra le altre fonti d’ispirazione si possono citare l’Epoca Vittoriana e i suoi scrittori dell’orrore – Poe e Hovercraft – ma anche il cinema horror americano dei primi anni ’30 – “Frankenstein”, “Dracula”, “La Mummia” e “L’Uomo Invisibile” per fare qualche nome.
Guillermo Del Toro dimostra così una coerenza di tematiche che pochi autori contemporanei hanno saputo mantenere.
La grandezza di questo sesto lungometraggio della filmografia di Del Toro si trova nei contrasti. Protagonista ed antagonista, ad esempio, non potrebbe essere personaggi più differenti. La fantasia magica generata da Ofelia cozza prepotentemente con la realtà cruda e brutale di cui è responsabile il Capitano Vidal. Obiettivi e personalità di questi due microcosmi agli antipodi si scontrano per tutte le due ore di film, facendo emergere la loro totale incompatibilità solamente nel finale. Una conclusione, va detto, che, oltre a dare una perfetta circolarità alla pellicola, ne eleva del tutto il contenuto alla forma narrativa prediletta dal regista, quella della favola.
Fra realtà bellica e fantasia immaginifica, quindi, è evidente ciò che Del Toro premi.
Questa geniale commistione di elementi ha permesso a Del Toro di ottenere il riconoscimento della critica di tutto il mondo, oltre che di stabilire il record di maggiori incassi nelle sale per un lungometraggio interamente recitato in lingua spagnola (quasi 100 milioni). A distanza di quasi dodici anni The Shape of Water sembra riproporre parte di questi ingredienti in un mix che, stando ai pareri di chi ha già avuto modo di visionare l’opera, pare capace di rievocare le sensazioni de Il Labirinto del Fauno.
Alcuni addirittura paventano la possibilità che quello in uscita sia il miglior lavoro del regista messicano, come confermato anche da Del Toro stesso. Per fugare i dubbi basterà attendere neanche due settimane. Nel frattempo continuiamo a ripassare la sua filmografia.