Non si finisce mai di condannare la guerra, un qualcosa di così insensato eppure connaturato nell’uomo dall’alba dei tempi. Il cinema ha spesso raccontato la guerra in vari modi e da molteplici punti di vista. Da un cinema americano tendenzialmente dedito alla propaganda che ha avuto, a partire dagli anni ’60, numerose contestazioni ed eccezioni a un cinema europeo che ha spesso descritto le devastazioni provocate sul continente dalle due guerre mondiali e dai conflitti nella ex-Jugoslavia fino a un cinema giapponese che si è sempre confrontato con il trauma della bomba atomica e con la crudeltà delle azioni compiute dal proprio esercito nei territori occupati, sono molti i film nel panorama cinematografico mondiale a presentarsi come dei veri e propri manifesti antibellici.
In questo articolo, muovendoci fra le varie parti del mondo per privilegiare uno sguardo globale sui vari conflitti che hanno sconvolto il pianeta nel corso del Novecento, andiamo a consigliare dieci grandi film che condannano in maniera esplicita la guerra e ne denunciano apertamente gli orrori, l’insensatezza e la crudeltà.
La grande guerra (1959) di Mario Monicelli
Uno dei migliori film italiani che raccontano la prima guerra mondiale è senza ombra di dubbio La grande guerra di Mario Monicelli. Il capolavoro vincitore del Leone d’oro a Venezia che vede come protagonisti Alberto Sordi e Vittorio Gassman è un film dalle molte sfumature che, sotto le vesti della commedia, documenta in maniera esemplare la tragicità della condizione del soldato e l’inutilità della sua singolarità in un contesto di guerra di massa. La seconda parte del film, in cui la situazione evolve in maniera estremamente drammatica fino alla disfatta di Caporetto, è un documento inestimabile per la rappresentazione dello sbando delle genti e dei soldati coinvolte nell’evento che ha segnato un punto di svolta nella storia italiana.
Fuochi nella pianura (1959) di Kon Ichikawa
Nel 1959 il regista giapponese Kon Ichikawa metteva la firma su quella che può essere considerata una delle più crude ed esplicite denunce alla condizione dell’esercito giapponese impegnato nell’occupazione dell’Indocina nel corso della II Guerra Mondiale. Se il precedente film del regista, il capolavoro L’arpa birmana, mandava un potente messaggio di pace e di umanità raccontando la storia di un ex-soldato fattosi monaco per raccogliere i corpi non sepolti dei caduti nella guerra in Indocina, Fuochi nella pianura si concentra sull’orrore della guerra vista dagli occhi di un soldato lasciato completamente solo a sopravvivere, nei modi e nelle forme più estreme, nella giungla. Più che un film di guerra Fuochi nella pianura è un vero e proprio horror che non si fa problemi a urlare a squarciagola, grazie a immagini memorabili, tutto il dolore e la sofferenza del soldato semplice.
Il dottor Stranamore (1964) di Stanley Kubrick
La paura del conflitto atomico propria di tutti gli anni ’60 viene esorcizzata da Stanley Kubrick in questa farsa grottesca che pone sotto i riflettori il sadismo e la pazzia che caratterizza coloro che detengono un enorme potere. Kubrick tornerà a rappresentare in toni grotteschi e ancora più estremi la guerra, questa volta quella del Vietnam, in Full Metal Jacket, ma Il dottor Stranamore è senza ombra di dubbio un film che ha aperto la strada a rappresentazioni della guerra americana smitizzate e antiretoriche che avrebbero caratterizzato il cinema statunitense nei decenni successivi a partire da film grotteschi come MASH passando per i più drammatici E Johnny prese il fucile, Il cacciatore e Apocalypse Now.
Va’ e vedi (1985) di Elem Klimov
Forse il più importante war-movie sovietico, Va’ e vedi di Elem Klimov è una rappresentazione sporca e cruda degli orrori e della malvagità dell’occupazione nazista della Bielorussia nel corso della II Guerra Mondiale.
Lo sguardo adottato da Klimov è quello di un ragazzino, Fljora, che si aggrega a un gruppo di partigiani per respingere gli invasori. Assistendo a carneficine, stragi e a molteplici atti di violenza inaudita, il giovane perde la propria innocenza e diventa uomo, un uomo però già morto a causa del dolore che ha provato e a cui ha assistito, in una perfetta parafrasi del passo dell‘Apocalisse da cui è tratto il titolo del film.
In un momento storico in cui un presidente russo invade uno stato sovrano proponendosi come liberatore dal nazismo, forse bisognerebbe davvero ritornare a parlare di un film come Va’ e vedi per capire davvero quale sia il vero volto del nazismo, cosa abbia comportato nei paesi occupati e cosa abbia lasciato sui volti delle persone, volti disperati su cui Klimov si sofferma magistralmente.
Una tomba per le lucciole (1988) di Isao Takahata
Il capolavoro di Isao Takahata è sicuramente uno dei film più tristi della storia del cinema per come racconta la condizione dei civili giapponesi negli ultimi mesi della II Guerra Mondiale. Dietro al punto di vista di un ragazzo innocente e della sua sorellina, Isao Takahata racconta una storia segnata dalla tragedia e dalla morte sin dall’incipit, in cui gli eventi scorrono inesorabilmente verso un finale estremamente drammatico e la grande umanità che contraddistingue i due protagonisti è destinata a non essere ripagata in alcun modo. Siamo in Giappone, siamo nel 1945, ma i protagonisti di Una tomba per le lucciole potrebbero avere il volto di chiunque si trovi a soffrire e a morire, senza alcuna colpa, sotto le bombe.
Bullet in the Head (1990) di John Woo
Rielaborando liberamente Il cacciatore di Michael Cimino, film non presente in questo articolo, ma assolutamente da annoverare come uno dei più grandi manifesti contro la guerra della storia del cinema, John Woo racconta la Guerra del Vietnam, un evento estremamente traumatico per il mondo americano, dal punto di vista di tre amici di Hong Kong che scappano dalla drammatica situazione politica della colonia per cercare la fortuna in una Saigon corrotta che offre alte possibilità di guadagni. In un contesto estremamente confuso come quello del Vietnam i tre sperimentano sulla propria pelle l’insensatezza e l’atrocità della guerra e cadono in una spirale di follia che logora il loro rapporto. Le scene presenti in Bullet in the Head sono fra le più crude e drammatiche che un film sulla guerra del Vietnam abbia mai mostrato e sono ancora oggi testimonianza di come la guerra generi in chi la compie un circolo vizioso di violenza destinato ad assumere forme sempre più estreme fino al totale annientamento dell’individuo.
Prima della Pioggia (1994) di Milcho Mancevski
Negli anni ’90 la disgregazione della Jugoslavia porta alla nascita di conflitti etnici, religiosi e territoriali che arriveranno ad assumere proporzioni enormi a metà del decennio. Prima della Pioggia, Leone d’oro a Venezia nel 1994, racconta in tre episodi la facilità con cui differenze sopite e dimenticate nel tempo possano essere improvvisamente stimolate da eventi esterni e possano portare a far saltare, improvvisamente, i rapporti di convivenza e di equilibrio anche in piccole e chiuse comunità civili come possono essere un monastero o un piccolo villaggio macedone.
Il protagonista di due dei tre episodi del film, interpretato da Rade Serbedzija, è un fotoreporter di guerra sempre alla ricerca di scatti drammatici che si interroga sulla responsabilità e l’eticità del proprio lavoro. Il focalizzarsi su un figura come questa, che è emersa e divenuta fondamentale proprio durante i numerosi conflitti in Jugoslavia, è sintomo della necessità, da parte del cinema, di allargare il campo di racconto della guerra uscendo dal dittico militare-civile introducendo un personaggio terzo che, pur limitandosi a documentare gli avvenimenti, non può non subire anch’egli in prima persona l’orrore e la disperazione che si trova a dover documentare.
La sottile linea rossa (1998) di Terrence Malick
In quello che è forse il film più celebre di Terrence Malick, popolato da un cast di star, il regista americano racconta la guerra americana nel Pacifico durante il secondo conflitto mondiale e compie un enorme affresco sulla condizione umana. L’interiorità dei soldati protagonisti del film viene sviscerata in ogni aspetto mentre gli eventi bellici si susseguono, apparentemente inesorabili, e la natura compie il suo ciclo totalmente indifferente all’artificialità della guerra.
Quello di Malick è uno dei più importanti manifesti antibellici della storia del cinema, un vero e proprio inno alla vita in un contesto in cui la vita è costantemente in bilico, un canto contro il dolore e contro la crudeltà di ogni conflitto.
Indirizzo sconosciuto (2001) di Kim Ki-duk
In quello che è uno dei suoi migliori film il regista sudcoreano Kim Ki-duk si confronta con il tema della divisione politica della penisola coreana focalizzandosi sul costante stato di occupazione militare e culturale statunitense in cui si trovano coloro che abitano nei paesi in cui sorgono basi americane. In un ritratto estremamente suggestivo e carico di pathos dell’alienazione che coinvolge sia gli abitanti del villaggio sia i soldati americani, Kim Ki-duk pone l’accento sul senso di devastazione e oppressione che contamina chi vive sempre in allerta di un conflitto e si pone in maniera estremamente critica nei confronti della colonizzazione militare statunitense e del senso di superiorità che contraddistingue i militari impegnati nelle basi americane, carnefici nei confronti della popolazione locale, ma a loro volta vittime della grande insensatezza della guerra, o dell’attesa di essa.
Lebanon (2009) di Samuel Maoz
L’israeliano Samuel Maoz nel 2009 ottenne il Leone d’oro a Venezia con Lebanon, film che racconta l’invasione del Libano attuata da Israele nel 1982 adottando il punto di vista di un gruppo di soldati che si trovano all’interno di un carro armato.
Le psicologie dei soldati vengono ben delineate in una situazione in cui l’unico contatto con l’esterno è l’ottica della bocca da fuoco del mezzo blindato. Le soggettive della bocca da fuoco raccontano una realtà di distruzione e dolore che vede coinvolti i civili libanesi mentre, all’interno del carro armato, il dramma dei soldati, incapaci di comprendere la causa delle proprie azioni, si consuma assumendo risvolti sempre più estremi e tragici. Lebanon è uno dei più riusciti atti di denuncia contro le guerre compiute da Israele ai danni dei paesi confinanti e la rappresentazione che Samuel Maoz, che partecipò alla guerra in Libano proprio in un mezzo blindato, dà dei soldati è estremamente realistica e ci fa ricordare, ancora una volta, che gli effetti della guerra ricadono sempre su coloro i quali non ne conoscono le cause.
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