Appunti dal Cinema Ritrovato: Il sangue delle bestie di Georges Franju

Nel giorno in cui moriva Édith Scob, Il Cinema Ritrovato ha proiettato tre piccoli film del regista che la lanciò nel cinema, Georges Franju. La première nuit è il tenero racconto di un bambino che per amore si perde nella metro parigina, quest’ultima soggetto anche del quasi sperimentale Le métro, codiretto con Henri Langlois.

Il pezzo pregiato della selezione, quello che più ha impressionato il nutrito pubblico, è stato senza dubbio il breve documentario del 1949 Le sang des bêtes, “Il sangue delle bestie”, dove Franju racconta una giornata di lavoro ai macelli di Parigi.

Le sang des bêtes oggi sarebbe irrealizzabile: troppo violento, troppo esplicito. La cinepresa di Franju si sofferma sui rivoltanti dettagli degli abbattimenti, degli scuoiamenti, degli squartamenti, mentre l’inquadratura affonda nel sangue nero di mucche, tori e pecore. Nulla è lasciato all’immaginazione, e nel buio della sala si potevano intravedere i volti degli spettatori ritrarsi dalle immagini.

Georges Franju

Non che Franju fosse un sadico, e bisogna riconoscere la bellezza puramente estetica del film. Soprattutto bisogna contestualizzare: siamo nel 1949, le percezione sociale della violenza sugli animali era diversa. La vista di un animale morto era un fatto quotidiano, e così la macellazione del bestiame. Il corto vuole presentare come questo processo avvenga in un contesto quasi industriale, per questo le immagini sono accompagnate da una voce che calma spiega metodicamente il processo. Al contempo bello e ripugnante, Le sang des bêtes è un documentario di divulgazione che insegnava qualcosa a un pubblico non suscettibile. Il pubblico di oggi lo percepisce in modo diverso.

La contestualizzazione da fare, necessaria per non giudicare in modo sbagliato il film, potrebbe però essere un’altra. Siamo nel 1949, e la seconda guerra mondiale è conclusa da pochi anni. Possibile che quelle bestie uccise in massa con tanta freddezza e le loro carcasse ammassate nel sangue non siano anche un ricordo dei recenti orrori? Se il film fosse muto, sarebbe difficilissimo pensare che un uomo intelligente come Franju non pensasse alla guerra e all’Olocausto mentre montava le immagini.

Le sang des bêtes

Il commento fuori campo e il distacco che esso porta in scena rendono però incerta quale sia la contestualizzazione corretta: quella verso un pubblico con una sensibilità differente, o quella verso un’umanità che doveva fare i conti con i più profondi abissi della sua storia? Non possiamo diventare spettatori del 1949, ma nemmeno chiederlo a Franju, e Le sang des bêtes ci lascia con questo interrogativo. Che è forse il suo valore aggiunto, oggi: mette in crisi il nostro essere lettori di immagini. Vediamo di più per non vedere ciò che non possiamo più vedere?

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