Bright, la recensione del film Netflix con Will Smith

Bright è lo specchio della ambizioni di Netflix e del tipo di approccio che sta avendo con il cinema. Ma spesso le ambizioni non bastano.

Che Netflix sia entrato nelle nostre vite è ormai un dato di fatto, ma vedere Netflix voler entrare così prepotentemente nel mondo del cinema è un fenomeno che stiamo vivendo proprio oggi. Il 2017 è stato un anno ricco di film prodotti e distribuiti dalla piattaforma di streaming legale più famosa al mondo, che hanno evidenziato soprattutto una cosa: in quel di Netflix hanno preso la faccenda dei film seriamente e con ambizione. Un modus operandi di tutto rispetto, sintomo di voglia di far bene e di volersi affermare nel panorama cinematografico. Il problema è che a volte l’ambizione non basta, il cinema è struttura e ordine ma anche innovazione e stupore. È proprio in questi aspetti che Bright, il film diretto da David Ayer con protagonista Will Smith, ha fallito.

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Esce proprio oggi su Netflix Bright, un film che si è presentato sin da subito come un progetto che merita interesse e attenzione da parte di pubblico e critica. Alla regia, David Ayer, che già avrete sentito per aver diretto film come Fury e Suicide Squad, e che con Bright torna al poliziesco, un genere che il regista conosce molto bene. Proprio in Suicide Squad, il regista ha lavorato con Will Smith, il protagonista di Bright accanto ad un irriconoscibile Joel Edgerton nei panni di un orco (mezz’orco per essere precisi). I due sono dei poliziotti in coppia per le vie malfamate di una Los Angeles diversa da quella che potremmo immaginarci. Viviamo, infatti, in un mondo simile al nostro, in cui però abbiamo a che fare con creature che sembrano uscite dall’universo Arda di Tolkien. Orchi, Elfi, Umani, persino Fatine, ecco sono gli abitanti di questa Los Angeles, una malfamata città in cui è vivo il concetto di razza.

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Vediamo il ghetto di Los Angeles, vediamo le gang, vediamo il degrado e la malavita, sobborghi in cui i nostri due poliziotti si muovono con difficoltà, vuoi perché due “sbirri” non sono mai visti bene in luoghi del genere, vuoi perché tra i due non scorre buon sangue, rendendo la collaborazione più difficile. Parliamo quindi di uno scenario piuttosto particolare, inedito e mai visto che potrebbe buttare le basi per qualsiasi tipo di film. Ed è proprio questa la sensazione che il film fa trapelare nella prima mezz’ora: non si capisce bene se sia un drama fantasy, un comedy fantasy o semplicemente un poliziesco con gli orchi al posto dei neri. Confonde tanto, non ha organicità nella narrazione e questa Los Angeles non lascia trasparire nulla di diverso da quella che conosciamo. È solo Los Angeles, solo che c’è qualche strana creatura in giro. Come mai ci sono queste creature? Come funziona il mondo adesso? Chi sono questi Bright? Tutto questo ci viene solo accennato, formando così un contesto ampio ma disordinato, che a tratti risulta grottesco.

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Proprio grottesco è l’ambiente che si viene a creare. Il contrasto tra i giorni nostri e questi personaggi tolkieniani funziona a metà, regalandoci un film in cui si crea un fortissimo potenziale su cui poter lavorare, ma che scade in banalità e occasioni mancate. Will Smith si trova ancora una volta in un ruolo in cui, alla fine dei conti, risulta incoronarlo come eroe della storia. La “sindrome da supereroe” sta facendo perdere credibilità ad un bravo attore che non riesce più a voler risultare sgradevole, ma quello che ci arriva è proprio certo disprezzo per il buonismo del personaggio. In Bright lo troviamo di nuovo poliziotto, ma il “Bad Boys” che è in lui non riesce più ad emergere. Netflix ci sta provando, sta provando a fare del gran cinema e sta provando a buttare giù idee innovative per i suoi film. Ancora c’è parecchio lavoro da fare, l’ambizione denota la voglia di far bene, ma con Bright, ci possiamo fermare solo alle buone intenzioni.

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