I, Tonya di Craig Gillespie: la tragedia della mediocrità. La recensione

Pluricandidato e premiato ai Golden Globes, I, Tonya è la commedia in cui i confini di un’esistenza mediocre scontornano nel ritratto mediatico grottesco, abnorme, e dimostrando la più amara delle verità: non esiste alcuna possibilità di riscatto.

Tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gillooly”.

Con questo appunto, inizia I, Tonya: un film veloce e privo di linearità, che è stato presentato dal suo stesso regista, Craig Gillespie, come un mockumentary. Un mockumentary è un falso documentario, una parodia, poiché Mock significa fare il verso. Le interviste raccolte dallo sceneggiatore, materiale vivo di repertorio Youtube, rappresentano lo scheletro di questo film, che ne riflette incongruenze ed eccessi.

Tonya Harding (Margot Robbie) è una campagnola, di estrazione proletaria e proveniente da una grigia realtà di provincia. Sua madre, solo e unico punto di riferimento, è una donna cinica e severa che sembra incapace di qualunque emozione e rigidamente tesa all’ottimizzazione piena e assoluta di qualunque risorsa. LaVona, interpretata da una straordinaria Allison Janney è una donna che non riconosce alcuna autorità su di sé, non ha alcun timore né soggezione di sorta nei confronti di norme, convenzioni. Per questo si impone sulla pista di pattinaggio, con il suo look austero ed essenziale, tenendo per mano la piccola Tonya e pretendendo che venisse presa in considerazione. Di fronte allo sguardo incredulo dell’insegnante, la piccola si cimenterà, sorridente, nella sua prima pattinata e da quel punto in poi, inizierà la sua unica carriera possibile. Perché nell’ottica deterministica di mamma LaVona, non c’è spazio per i tentativi in questa esistenza ingrata e, allora, se hai scoperto di saper fare qualcosa è inutile disperdere le proprie energie: Tonya lascerà la scuola, Tonya deve solo pattinare.

I, Tonya

I metodi di LaVona sono violenti, impietosi. Non concede nulla alla bambina, nessuna debolezza, nessun complimento: si convince che denigrazione, frustrazione e rabbia siano gli strumenti per indurre Tonya a fare del suo meglio e non mancherà di servirsene. Il suo scopo? Probabilmente dare una svolta alla sua condizione economica, sulla quale l’istruzione sportiva della bambina ha tanto peso.

Ma l’impegno della bambina che cresce calcando i suoi pattini, non è il solo peso sulla bilancia e la sua abilità tecnica troverà un enorme ostacolo nella totale mancanza di grazia ed eleganza di Tonya, che non si farà remore di inveire contro la giuria per il trattamento ingiusto di cui, ritiene, di essere oggetto. Perché Tonya non ha altro. Tonya è i suoi pattini e, quando esce dalla pista di ghiaccio, quando dismette i suoi tutù kitsch e inadeguati, Tonya non è nessuno.

Tonya che spacca legna ogni mattina, che imbraccia un fucile e con un colpo fredda un coniglietto in corsa; Tonya che conosce il sacrificio, Tonya per cui l’ambizione non è un lusso ma una questione vitale. Tonya che non conosce l’amore, non conosce i suoi gesti e sposa le parole di un uomo che la blandiscono. Jeff Gillooly (Sebastian Stan) è un ragazzo semplice con un’idea piuttosto semplice e trita di come debba svolgersi una relazione: sa che deve occuparsi della sua donna ed è esattamente quello che fa, con devozione. Una devozione “semplice” che non gli impedisce di alzare le mani contro sua moglie, in modo quasi inconsulto, nei modi e negli esiti. Ma Tonya non è una vittima e, questo, è uno degli aspetti più interessanti di questo film; non è emesso alcun giudizio sui personaggi e le loro azioni: viene raccontata una storia e ciascuno dei suoi attori agisce in un equilibrato, per quanto assurdo, sistema di forze che non mette nessuno in minoranza, che non fa di nessuno “La vittima”. Tonya e, il suo talento, però si trovano al centro. Ciascun individuo attorno a lei, crede di avere il potere e la competenza per disporre del suo dono, per minare il suo equilibrio e, la vita di quell’atleta straordinaria, unica al mondo ad avere il coraggio di eseguire un triplo axel, è un ciclico svilirsi e riciclarsi perché ancora una volta, Tonya, non ha ricevuto altro che questo dalla vita, da sua madre: la fiducia nel pattinaggio.

I, Tonya

Ma Tonya Harding e il suo triplo, fenomenale, axel non bastano per rappresentare l’America alle Olimpiadi: lei non è il frutto di una tipica famiglia americana da rivista patinata. Tonya è sboccata e priva di leggiadria, a differenza della sua rivale Nancy Kerrigan, a cui, improvvisamente, qualcuno rompe il ginocchio con una spranga di ferro.

Ma questo è solo il fatto. Le responsabilità rimpallano da uno all’altro senza soluzione: Jeff, l’amico strambo di nome Shawn, due tipi loschi e imbranati e la stessa Tonya, in uno schema confusionario a cui giova il ritmo veloce del film, degno della migliore commedia degli equivoci.

L’episodio, dominato dai media, costruirà il mito degenerato della pattinatrice campagnola, più di qualunque altro prodigio della sua carriera. L’attitudine alla violenza supplirà ufficialmente alla sua mancanza di grazia, la diatriba con Nancy assumerà i toni di uno scontro tra classi sociali, in cui, la medaglia d’argento ottenuta dalla graziosa principessa del pattinaggio, rappresenterà il trionfo dell’ideale americano sulle mani sporche, di fango e sangue del proletariato. L’interdizione di Tonya Harding dal pattinaggio assume il valore di una misura esemplare: la costruzione a tavolino di un modello socialmente e culturalmente adeguato poiché non si tratta ormai più della verità, – che mai fu più relativa – delle colpe, delle responsabilità: si tratta di ristabilire un sistema di valori condiviso, da cui, Tonya, è senza appello, estromessa.

I, Tonya

Il tiranno, in questa commedia di situazioni e personaggi grotteschi, non è la madre arcigna, non è l’incauto e violento Jeff e non è neppure l’amico Shawn. Il vero bersaglio critico di I, Tonya è il sistema mediatico che esalta e distrugge, che avidamente cerca e si nutre di scandali, umiltà, segreti, sconfitte e poi, quando è sazio rigetta tutto e tutti come spazzatura poiché, tutto ciò che va bene per intrattenere gli americani, non va bene per rappresentarli.

E la tragedia, al fin della commedia è che non importa quanta speranza, fede e impegno tu possa investire, con quanta foga provi a cambiare ciò che sei o sei stata, con quanta determinazione rinneghi le tua famiglia, le tue origini… nessuno, proprio nessuno potrà mai davvero riscattarsi dal proprio passato.

Mi hanno amata per un minuto, poi mi hanno odiata e alla fine sono diventata una barzelletta”.

I, Tonya

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