The Tragedy of Macbeth: Shakespeare nell’universo dei fratelli Coen

C’era una grande attesa per il primo film che avrebbe visto Joel Coen, dopo anni e anni di sodalizio con il fratello Ethan, dirigere un film da solista.
C’era un’attesa forse ancor più grande per vedere come Shakespeare sarebbe riuscito a entrare nell’universo di (e dei) Coen con una tragedia come Macbeth, apparentemente lontanissima dal mondo e dallo stile di un regista che ha sempre lavorato su soggetti ben diversi da quelli del bardo inglese.
Eppure The Tragedy of Macbeth, con la sua solo apparente asetticità, con la sua riduzione all’essenziale di temi e scenografie, che contrasta nettamente con la corposità dei dialoghi e la fisicità delle interpretazioni, è in grado di collocarsi perfettamente all’interno del percorso artistico dei fratelli Coen che, pur privati di Ethan, rimangono un’entità autoriale estremamente salda e incredibilmente coerente nel panorama di un cinema americano che prova a indirizzare anche i più celebri autori su sentieri sicuri e già battuti da molti altri.

Macbeth: un uomo che non c’era

Primo piano di Denzel Washington nei panni di MacbethColpa della fotografia, colpa dell’atmosfera, è impossibile non ritrovare in The Tragedy of Macbeth un’affinità con molti film dei fratelli Coen, primo fra i quali, sicuramente, L’uomo che non c’era.
La tragedia, in molti film dei Coen, parte sempre dalla volontà di uomini perfettamente mediocri di ottenere qualcosa di più, spesso si tratta di denaro, per evolvere il proprio status e la propria esistenza. E’ il caso del film del 2001 con Billy Bob Thornton, ma è anche il caso di Fargo e della tragedia contemporanea Non è un paese per vecchi.
Questo punto di partenza è, a ben vedere, lo stesso del Macbeth di Shakespeare e viene perfettamente messo in luce da Joel Coen nel suo nuovo film.

Il Macbeth di Joel Coen non è quella concentrazione atavica di pulsioni e istinti primordiali che era quello di Orson Welles, non è neanche il fascinoso tiranno di Roman Polanski nè, tantomeno, il pazzo sanguinario interpretato da Toshiro Mifune in Il trono di sangue, adattamento giapponese della tragedia Shakespeariana diretto da Akira Kurosawa.
Il Macbeth interpretato dal sempre eccellente Denzel Washington è un mediocre il cui male sopito viene suscitato, come in L’uomo che non c’era e in altri film dei Coen, da agenti esterni, siano essi persone, oggetti, concetti o esseri sovrannaturali: fattori che concorrono per portarlo sulla via della dannazione.

L’uomo in balia degli eventi

Alex Hassel in The Tragedy of MacbethIl Macbeth di Coen è l’ultima, o sarebbe meglio dire la prima, emanazione di quell’uomo coeniano incapace di gestire gli eventi che a causa delle sue scelte si trova a essere investito da tutta una serie di conseguenze imprevedibili e drammatiche. Significativo nel film di Coen è la presenza di un personaggio a cui viene dedicato grande spazio come quello di Ross, interpretato con grande intensità da Alex Hassell, che viene rimodellato partendo da Shakespeare per arrivare a essere la personificazione dell’ambiguità, dell’imprevidibilità e della multiformità del destino umano, capace di prendere le vie più insospettabili e che può essere una rappresentazione di un potere più grande di quello detenuto dagli uomini che, muovendosi in maniera oscura, arriva a ristabilire l’ordine delle cose. Forse un dio, sicuramente un deus ex machina estremamente invadente (il film, del resto, si chiude su di lui) che sembra farsi carico dei messaggi e delle suggestioni di cui il film si fa portatore.

A far le spese del grande spazio dedicato a personaggi apparentemente secondari è Lady Macbeth, fedelmente ancorato a Shakespeare e alla tradizione degli altri adattamenti cinematografici della tragedia, che appare anch’ella subire gli eventi, pur stimolando il marito al male, e a cui viene dedicato uno spazio narrativo relativamente esiguo rispetto al peso che ha nella vicenda. La Lady Macbeth di Frances McDormand è, come Lord Macbeth, una mediocre, incapace di gestire gli eventi pur agendo per far sì che si verifichino. Emblematico è, in questa direzione, il fatto che Joel Coen decida di farla morire, forse suicida, dopo una serie di sguardi scambiati con Ross (sorte analoga, tra l’altro, del personaggio non così diverso interpretato dalla McDormand in L’uomo che non c’era).

Una fedeltà dal registro grottesco

Lady Macbeth nel corridoio del castelloIn The Tragedy of Macbeth la fedeltà al testo shakespeariano si manifesta soprattutto nei dialoghi dei protagonisti, enfatici e complessi come quelli della tragedia omonima. Il contrasto che si viene a creare con i personaggi che li pronunciano, che sono e vengono presentati come degli inetti, contribuisce a creare quel grottesco, molto caro ai Coen, che riesce sorprendentemente a venire fuori anche in un film le cui atmosfere e i cui temi sono estremamente cupi.

La scena in cui, durante il banchetto con i vassalli, Macbeth ha la visione del fantasma di Banquo, forse la più cupa e tragica dell’opera di Shakespeare, viene quasi ribaltata dalle maldestre reazioni dei protagonisti. Il terrore di Macbeth si consuma in una goffa battaglia contro un corvo sotto gli sguardi perplessi e sarcastici dei suoi sottoposti. Lo stesso intervento di Lady Macbeth è tutt’altro che disperato. Sembra, infatti, quello di una moglie che cerca di contenere il marito ubriaco in una cena con amici.

Assumere che il grottesco sia la cornice in cui muove tutto il film è certo eccessivo dal momento in cui sono molte le scene in cui la tragicità assume dei toni quasi insostenibili, una su tutte la strage compiuta nel castello di MacDuff, tuttavia è sicuramente interessante trovare, negli episodi che riguardano e che coinvolgono direttamente i Macbeth, spiragli di un contrasto fra il modo in cui dialoghi e azioni si sviluppano e il modo in cui vengono interpretati dagli attori e presentati dal regista.

Un film in stile A24

immagine da The Tragedy of MacbethAbbiamo citato a inizio recensione come molti registi riescono ancora oggi a far combaciare la propria autorialità con quelli che sono i marchi di fabbrica delle case di produzione. Nel caso di The Tragedy of Macbeth siamo dinnanzi a un film prodotto da A24, casa di produzione indipendente che sempre di più si sta contraddistinguendo per il compartimento tecnico estremamente curato e spesso estetizzante che caratterizza i suoi prodotti.
Il film di Joel Coen segue perfettamente questa linea ed è capace di far coincidere alla perfezione l’essenzialità delle ambientazioni con una fotografia in bianco e nero abbacinante che impressiona e fa certamente felice chi nei film cerca le “belle immagini“.

Merito di tutto ciò è, senza ombra di dubbio, di Bruno Delbonnel, un direttore della fotografia la cui importanza per il successo di numerosi film è spesso sottovalutata, ma che appare quantomai opportuno sottolineare in un film che dell’estetica e dell’atmosfera sospesa e rarefatta fa una sua componente fondamentale. Il sodalizio con Joel Coen, rinnovato con The Tragedy of Macbeth una terza volta dopo A proposito di Davis e La ballata di Buster Scruggs, dovrebbe assolutamente essere coronato da un Oscar che Delbonnel ha spesso meritato, ma che non ha mai ricevuto.

Il comparto tecnico estremamente curato di The Tragedy of Macbeth arriva purtroppo a trovarsi in contraddizione con la distribuzione del film, disponibile nel nostro paese in streaming su Apple TV+, e ci porta ancora una volta a riflettere sull’ormai sempre più elevato numero di film che meriterebbero una distribuzione capillare nelle sale per essere fruiti in maniera decisamente più appagante e che, in Italia, sono ormai confinati a piattaforme streaming che, se non minano il valore assoluto del prodotto, limitano sicuramente la fruizione da parte del pubblico del prodotto filmico nei suoi aspetti più peculiari.

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