Dopo quattro anni di attesa Paul Schrader torna alla regia, e lo fa con The Card Counter. Noi lo abbiamo visto qui a Venezia e, come al solito, ve ne parliamo.
Sinossi
William Tell Tillich è un ex militare, punito con otto anni di carcere poiché uno degli aguzzini di Abu Grahib. Durante questo lasso di tempo impara a contare le carte e, uscito di prigione, inizia a frequentare casinò giocando a Black Jack, poiché è il gioco nel quale il banco ha il vantaggio minore e con più probabilità di vincere. Si ritira ogni qualvolta vinca piccole cifre, per mantenere un basso profilo e non destare sospetti. Un giorno però ad una convention tenuta dal maggiore James Gordo, in comando quando era ancora nell’esercito a Baghdad, incontra un ragazzo con dei piani ben definiti: da qui in poi gli eventi prenderanno una piega inaspettata, anche grazie ad una donna che si propone di finanziarlo e dividere con lui i profitti derivanti dai tornei di poker.
Solitudine, senso di colpa e redenzione
Se dovessimo stilare una classifica dei temi più ricorrenti nel cinema di Paul Schrader sicuramente solitudine, senso di colpa e redenzione sarebbero i primi tre della lista e, in un certo senso, anche in The Card Counter il regista non si smentisce.
Spesso in un film di Schrader si trovano quindi elementi fortemente caratterizzanti che, a partire da Taxi Driver, fungono da denominatore comune nelle sue opere. È come se il capolavoro da lui scritto nel 1976 e diretto da Scorsese avesse in qualche modo segnato la via, catalizzando il suo interesse su soggetti spesso sociopatici o comunque con problemi di natura relazionale.
L’elasticità della trama e la fluidità narrativa
Quello che più di tutto riesce a colpire del cinema di Paul Schrader è come riesca a dare fluidità alla narrazione. Se una sceneggiatura ma ancor prima una storia si basa su veri e propri dogmi narrativi (qualora voglia risultare interessante e scorrevole), Schrader li stravolge o li segue solo parzialmente, garantendo comunque un esito finale di tutto rispetto.
Prendiamo ad esempio la narrazione: ci sono una trama e una sottotrama che, solitamente, hanno un’importanza ben definita: la sottotrama serve a dare maggior dinamismo al racconto ma tende a non scavalcare per importanza la trama, che resta il fulcro del film.
In Schrader questo scavalcamento avviene eccome e riesce a disorientare, proprio come, sul piano della regia, uno scavalcamento di campo. Tutto ciò però si presta benissimo a rappresentare la difficoltà del protagonista nel trovare un proprio posto nella società e nel “fare la cosa giusta”.
Un’idea che diviene ossessione
“C’è un peso che un uomo deve accettare, è il peso creato dalle sue azioni passate.”
Tell vive con un peso del quale non potrà mai liberarsi. Vive in stanze di motel portandosi dietro delle valigie con panni bianchi che utilizza per ricoprire l’arredo delle stanze stesse in cui soggiorna. Quelle valigie si potrebbero interpretare metaforicamente come il peso di cui parla nella citazione che ho riportato, il fardello delle azioni passate.
Col tempo, abituandosi a portarle sempre con sé, quelle valigie potrebbero apparire meno pesanti, ma pur sempre un peso saranno. In quest’ottica va inserita la difficoltà nel trovare la via della redenzione: qualunque cosa egli faccia quel fardello non sparisce.
All’inizio del film Tell racconta di come sia stato insospettabilmente semplice per lui abituarsi a vivere in carcere. Lì trova il conforto della costante punizione che lo libera parzialmente di quel peso. Se espiare la colpa è impossibile, venire puniti ogni giorno con la reclusione insieme ad altre persone colpevoli può alleviare quel senso di oppressione e solitudine che lo perseguita.
Aspetti tecnici
Il film ha una regia davvero notevole, dissolvenze incrociate, immagini sfocate e rimesse a fuoco, i ricordi dei prigionieri seviziati ripresi in un sotterraneo claustrofobico attraverso un obiettivo grandangolare estremo che deforma l’immagine (comunemente detto anche fish eye) sono elementi guida all’alienazione di Tell.
Anche il contrasto tra il lusso ostentato nei casinò e il degrado nelle prigioni dove hanno avuto origine gli interrogatori, con luce e silenzio pacifico nei primi e buio e caos infernale nei secondi, è particolarmente esplicativo e aiuta a leggere gli stati d’animo di Tell, mai esternati.
Conclusione
Il film di Schrader è come al solito estremamente interessante: forse non rivoluzionario come ci ha abituato in Taxi Driver o Toro Scatenato, ma senza dubbio colmo di spunti e temi cari alla New Hollywood, come la denuncia politica o, per l’appunto, la solitudine e il senso di colpa da espiare.
Con un Oscar Isaac degno del suo nome in vista dei premi dell’Academy e, prima ancora, del Festival stesso, The Card Counter si presta a chiunque voglia vedere qualcosa di diverso, di nuovo, scritto da un regista che dopo aver rivoluzionato Hollywood, non si rassegna certo a vivere di gloria passata, ma resta sempre proiettato al futuro.
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