Dopo il grande successo di Nuevo Orden Michel Franco torna a Venezia per presentare Sundown, film agrodolce dal sapore di salsedine e dalle tinte color blu mare.
Sinossi
Neil Bennett si trova in vacanza ad Acapulco, in un lussuosissimo resort, con la sorella e i figli. La vacanza viene sconvolta dalla notizia della morte della madre, che li costringe a tornare subito a casa. In aeroporto Neil finge di aver perso il passaporto per prolungare la sua vacanza ad Acapulco, dove inizierà una relazione con una ragazza del posto. La sorella cerca di farlo tornare ma egli rifiuta addirittura l’eredità dell’impero multimilionario della madre, pur di restare nella città di mare. Gli eventi prenderanno però una piega inaspettata.
Note geografiche
Acapulco non è il Messico che conosciamo, ma ne presenta tutti i problemi, è situata al centro dello stato e si affaccia su uno spettacolare golfo, dimora di migliaia di turisti che ogni anno affollano le sue spiagge.
Divenuta celebre negli anni Cinquanta per essere stata teatro del jet set del tempo, oltre che per il celebre La Quebrada, strapiombo dal quale alcuni atleti si tuffano da altezza che variano dai 30 ai 40 metri, è oggi meta di vacanze particolarmente ambita.
Gli abitanti sono perlopiù lavoratori dipendenti dal turismo tanto che ormai la città vive di regole ed equilibri propri, differenti dalla maggior parte del Messico. Michel Franco, abituato a raccontare la criminalità e la violenza del Messico, non fa sconti nemmeno alla città capoluogo dello stato federato di Guerrero.
Un personaggio Pirandelliano
La nota geografica è importante perché in Sundown viene dato molto spazio alla città, proprio per il contenuto di denuncia sociale al quale Franco non rinuncia, nonostante lo utilizzi come sfondo di una vicenda che poco ha a che fare con questa piaga.
L’elemento principale ruota completamente attorno al personaggio di Tim Roth, ovvero Neil Bennett.
C’è molto Pirandello in lui, anzi è a tutti gli effetti pirandelliano, vive la rottura attraversata da tutti personaggi dell’autore siculo che d’un tratto gettano la maschera. Neil lo fa gradualmente però, senza mai rivelare troppo di sé ma anzi, facendoselo quasi estrapolare dalle persone che lo cercano. Incapace di accettare un giorno solo di più quella routine alienante, di un mondo, quello dei ricchi londinesi, fatto di ipocrisia, avidità e tanto, tanto egoismo.
E così, senza alcun preavviso e proprio come nella celebre novella pirandelliana, il treno fischia per la totale alienazione di Neil.
Lentezza voluta
Sundown è lento, inutile negarlo, ma ciò non è un male. Il ritmo è quello imposto da un protagonista estremamente silenzioso. Questo suo modo di essere non è però dovuto alla mancanza di qualcosa da dire, bensì alla mancata necessità di dirla. Come se per sopravvivere a quel mondo di falsità, nel quale tutti sono sempre pronti a riempirsi la bocca di belle parole vuote di significato, parlare il meno possibile fosse diventata una sorta di autodifesa che non contribuisse a inflazionare di parole un ambiente già di per sé saturo.
Proprio quegli interminabili silenzi, dai quali in gran parte dipende la lentezza di Sundown, sono però indicatori della rottura totale di Neil con quel mondo, ormai incapace di rispondere a quelle che, per chi di quel mondo ne fa invece parte, sono domande estremamente semplici. “Perché non torni?” “Cosa ti succede?” “Per quanto vuoi restare ad Acapulco?”
Neil ha una risposta? Forse si, forse no, non è importante. Non deve lavorare, non ha una famiglia propria, chi ha deciso che debba sottostare a determinate scadenze e oneri?
Il mare, la cura
Neil ha bisogno di guarire da una vita che gli ha fatto economicamente avere tutto ma che, al contempo, gli ha avvelenato l’anima.
Ma l’anima non la si cura con la medicina, bensì con qualcosa che faccia stare bene. Ed egli sceglie il mare e una città dove il sole tramonta più tardi e la vita scorre un po’ più lenta. Sceglie di appagare lo spirito, perché ne sente il bisogno.
Si scontra con una società di criminali e assassini, della quale però a lui importa poco perché è come se il peggio lo avesse già vissuto, come se avesse passato quel punto di non ritorno, mostrando apatia per tutto ciò che non è positivo.
In tutto ciò, come sempre, Tim Roth dimostra grande talento. Riesce a risultare quasi irritante allo spettatore nelle sue decisioni o nelle sue non risposte, forse perché in fin dei conti la maggior parte del pubblico nelle sue vesti non ci si è mai trovato.
Conclusione
Sundown di Michel Franco è una piacevole conferma per un regista che, dopo il premio della giuria di Venezia nel 2020, è sempre più consapevole dei propri mezzi e del proprio talento e non manca di dimostrarlo, attraverso una pellicola che non vive di vie di mezzo, non è pensata per compiacere pubblico o giuria, ma nasce per dividere, per far schierare lo spettatore.
Noi, nel nostro piccolo, di dubbi ne abbiamo pochi e non vediamo l’ora di vedere il regista di nuovo dietro la macchina da presa.
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