È scontato sottolineare quanto vadano di moda gli anni ’80 e gli anni ’90: la cultura pop di quel ventennio è tornata alla ribalta grazie all’abilità della cultura pop odierna di sfruttare l’effetto nostalgia dei trentenni e quarantenni di oggi per rivendere i ricordi di un’epoca d’oro che d’oro non è mai stata. Il film Boyhood di Richard Linklater è stato uno dei primi a percorrere questa strada, poi trasformata in autostrada da fenomeni come Stranger Things e Ready Player One. Tra tutte queste celebrazioni che poco tengono conto della realtà, al Torino Film Festival è arrivato un piccolo, bizzarro film (non a caso ospitato in After Hours, la sezione dedicata al cinema più insolito) che vuole riesumare anche tutto ciò che degli anni ’80 e ’90 abbiamo voluto dimenticare.
Siamo nell’estate del 1999. Abbie è vittima delle sfide impossibile del sadico fratello maggiore, che lo filma mentre si umilia nel tentativo di bere litri e litri di latte rancido. Persa l’ennesima scommessa, ne ottiene un’altra, l’ultima e definitiva, per la quale è disposto a tutto: raggiungere e superare il 256º livello di Pac-Man, ottenendo il record mondiale e 100.000$ (somma realmente messa in palio da Billy Mitchell, campione dei videogiochi arcade). Interamente ambientato su un divano, Relaxer di Joel Potrykus racconta della disperata impresa di Abbie, che non solo deve superare un livello impossibile da superare, ma che nel frattempo deve anche sopravvivere senza mai potersi alzare (una delle condizioni imposte da Cam, il fratello).
Al suo quarto film, Potrykus fa incontrare due mondi cinematografici solitamente piuttosto distanti. Relaxer rientra in tutto e per tutto nella macrocategoria del cinema grottesco: volutamente esagerato, ricorre a immagini e a soluzioni narrative assurde e paradossali, spesso al limite del cattivo gusto. Questo tipo di cinema negli ultimi anni ha visto un forte sviluppo, anche grazie all’influenza del web (l’anno scorso lo stesso Torino Film Festival aveva ospitato Kuso di Flying Lotus, film orgogliosamente disgustoso in parte derivato da una certa cultura video presente su internet), e stilisticamente si riconosce per una messa in scena sporca e vorticosa, caratteristiche che vanno a braccetto con ciò che questi film raccontano. Potrykus invece ha scelto soluzioni del tutto differenti.
Relaxer è infatti un film di grande rigore formale. Le inquadrature sono curatissime e arricchite da una fotografia raffinata, la macchina da presa si muove poco e sempre in maniera lineare, e il montaggio è essenziale rifiutando le smanie cinetiche oggi di moda. Questo permette al film di Potrykus di distinguersi da altre produzioni potenzialmente affini: si muove in un altro campo, più vicino all’austerità di Kubrick (per fare un nome volutamente esagerato) che alla follia di Flying Lotus. Non è questo però il solo contrasto che nutre Relaxer.
Nel suo essere surreale, e nel suo diventarlo sempre di più man mano che procede, il film non si stacca (quasi) mai del tutto da un piano di realtà che, per quanto distorto, rimane sempre ancorato alla materialità del mondo. È vero che il cinema grottesco contemporaneo straborda di materia (fecale, genitale…), ma di solito lo fa con un parossismo che gli fa perdere qualunque contatto con il reale. Relaxer, pur ricorrendo a quella stessa materia, non eccede mai, restando, a suo modo, “realistico”. Anzi, iperrealistico, perché mette in scena il mondo in tutta la sua concretezza, fatta appunto anche di merda, piscio, vomito.
Il realismo di Relaxer (non ci si faccia però un’idea sbagliata, è pur sempre un realismo surreale e grottesco) gli permette così di porre al proprio centro la figura di Abbie e il suo profondo disagio (contraltare di quello socialmente funzionale di Cam). E qui torniamo all’inizio della nostra recensione. Senza essere un dramma psicologico, Relaxer riesce a mettere in risalto le problematicità del suo protagonista, profondamente connesse con l’epoca in cui il film è ambientato. Ciò non significa che Potrykus si scagli contro i videogiochi come il peggior puritano, tutt’altro, perché Pac-Man è solo un espediente narrativo, uno strumento di tortura nelle mani del fratello.
Abbie, però, è l’esasperazione (in chiave grottesca, ribadiamo) del malessere di quella generazione nata e cresciuta tra gli anni ’80 e ’90 (la post generazione X, insomma), un malessere espresso in maniera identica ma speculare da Cam. Relaxer quindi disvela il vero spirito (o per lo meno uno dei veri spiriti) di un’epoca che oggi la nostalgia ha trasformato in un luogo idilliaco scevro di criticità. Come si è scoperto che Billy Mitchell era un truffatore, è tempo di rendersi conto che gli anni ’80 e ’90 non furono quel paradiso che tutti ricordiamo. Anzi, sono stati l’incubatrice di questo drammatico presente.