Guardiamoci tutti in faccia e cerchiamo di essere sinceri gli uni con gli altri: ci siamo preoccupati molto all’annuncio di una trasposizione cinematografica de La profezia dell’armadillo, graphic novel di Zerocalcare, nome d’arte del fumettista romano Michele Rech. L’uscita dei trailer non aveva aiutato, anzi, essi davano l’impressione che questo film, opera prima di Emanuele Scaringi, non solo non potesse essere all’altezza del bellissimo libro di Zerocalcare, ma che rischiasse di rivelarsi… pessimo, per non usare definizioni inopportune in una recensione.
Simone Liberati è troppo fico per interpretare Zero, Laura Morante non assomiglia per niente a Lady Cocca, la comicità non c’entra nulla con l’umorismo originale, eccetera, eccetera, eccetera… i commenti alle prime immagini del film si sono sprecati e non erano di certo entusiastici. Ma anche senza volersi aggrappare a una sciocca pretesa di fedeltà, era comunque legittimo avere dubbi su questo tentativo. Sebbene La profezia dell’armadillo sia un romanzo autobiografico e parta quindi dalla realtà, lo stile narrativo di Zerocalcare è difficile da immaginare trasposto sullo schermo. Il racconto ha una connotazione molto cartoonesca, a partire dal tratto più caratteristico dello stile di Zero, cioè la personificazione di sentimenti, idee e paranoie, spesso rappresentate attraverso icone della cultura pop, a partire proprio dall’armadillo del titolo, animale che ha il compito di farsi immagine delle ansie del protagonista.
È possibile portare al cinema qualcosa del genere? Sì, per Kubrick, secondo il quale se una cosa può essere scritta o pensata può anche essere filmata. Deve aver pensato la stessa cosa pure Scaringi, che pure Kubrick di sicuro non è. Quindi il risultato finale è… onestamente? Non è malaccio. Andarlo a vedere con aspettative basse sicuramente aiuta, ma La profezia dell’armadillo qua e là fa ridacchiare, e nel finale una lacrimuccia può anche scendere. Se ci si aspetta un film all’altezza del fumetto si rimarrà profondamente delusi, perché al primo manca tutta la profondità e l’intensità del secondo, ma, di nuovo, se non si fanno confronti ce lo si può persino godere, per poi dimenticarlo poco dopo.
I momenti più riusciti sono quelli in cui Scaringi si mantiene aderente al fumetto, i peggiori quelli in cui si mantiene ad esso aderente. In che senso? Il regista riesce a riproporre piuttosto bene i rapporti tra i personaggi, anche i serrati dialoghi “politico-nerd” che caratterizzano il fumetto. Questo anche per il merito dei due attori principali, credibili come controparti in carne e ossa di personaggi disegnati. E se Liberati se la cava bene, ancora meglio fa Pietro Castellitto nei panni del migliore amico di Zero. Sembra davvero il Secco che abbiamo letto e amato nelle pagine de La profezia, e rende credibile la sua comicità quasi demenziale.
Poco efficace invece il tentativo di trasporre gli aspetti più surreali dell’opera di Michele Rech. La resa volutamente artigianale e un po’ trash dell’armadillo forse era l’unica possibile e non è un problema per la fruizione del film, ma, tolto lui, tanti degli innumerevoli riferimenti pop fatti da Zero e ripresi nel film sembrano buttati in mezzo solo per il desiderio di rispettare l’opera originale, senza che a livello cinematografico abbiano un senso. Uno dei personaggi, ad esempio, è un ragazzino a cui il protagonista fa ripetizioni: nel libro viene chiamato Blanka ed è rappresentato proprio come il mostro di Street Fighter per ragioni specifiche e spiegate. Nel film viene mantenuto il nome Blanka, ma senza che questo venga contestualizzato in alcun modo, e rimane un nome bislacco appioppato a un bambino altrimenti normalissimo. Discorso simile per Cinghiale.
A causa di questa estrema semplificazione si perde uno dei momenti più belli del fumetto, l’incontro tra l’armadillo di Zerocalcare e la nube oscura che rappresenta la depressione di Camille, il personaggio la cui morte segna l’inizio della narrazione. È uno degli snodi centrali del libro, chiave significativa di tutta l’opera, e possiede una straordinaria potenza visiva e simbolica. Volendo rimanere fedele al romanzo, Scaringi la inserisce nel suo film, ma è una scena di pochi istanti, più divertente che toccante (o spaventosa), e priva di qualunque rilevanza all’interno della storia.
Questi, come tanti altri, sono elementi del fumetto che se si volevano inserire anche nel film sarebbero dovuti essere completamente reinventati, perché, al contrario di alcune dinamiche che funzionano altrettanto bene sulla pagina che sulla pellicola, non sono cinematografici, almeno non nel modo in cui sono nel fumetto. Delusione, dunque, nel vedere un grande autore come Michele Rech portato al cinema senza l’estro che avrebbe richiesto e meritato. Ma se saggiamente si riesce a non pensare che quello che si ha davanti è l’adattamento de La profezia dell’armadillo di Zerocalcare, allora ci si potrà anche ridacchiare. Alla fine è una commedia buffa e un po’ insolita. Poteva andare meglio, certo, ma poteva andare pure molto peggio.
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