L’aggettivo “divisivo” lo si utilizza di solito per definire registi il cui cinema si distingue per essere atipico, personale e spesso complesso. Un cinema, cioè, in cui bisogna riuscire a entrare per comprenderlo e dunque apprezzarlo, altrimenti risulterà inarticolato e confuso, spingendo a chiedersi perché invece a tanti altri piaccia. Lynch è un regista divisivo: se si è capaci di lasciarsi travolgere dalla vorticosa forza immaginifica di film come Eraserhead o INLAND EMPIRE li si amerà proprio in virtù di questa loro unicità, in caso contrario il rischio è che non sembrino altro che prese in giro.
L’elenco di registi divisivi sarebbe lunghissimo: Greenaway, Herzog, von Trier, Jodorowsky, Antonioni, Fassbinder… potremmo fare ancora tanti nomi, ma di sicuro non ci aspetteremmo di trovare quello di registi in tutto e per tutto inseriti nel sistema hollywoodiano, autori di kolossal di grande successo commerciale. Questi non dovrebbero spaccare a metà gli spettatori. Eppure, per qualche ragione, è ciò che è capitato a Christopher Nolan.
Una parte importante del pubblico lo considera il migliore dei registi in circolazione, mentre un’altra non lo sopporta ed è pronta a trovare nei suoi film ogni più piccolo difetto. Non è questo il luogo per indagare le ragioni per cui un regista commerciale (nel senso più neutro del termine) sia arrivato a creare una tale spaccatura; limitiamoci qui a dire che forse i suoi detrattori sono almeno in parte insorti in risposta a certi paragoni fin troppo generosi dei suoi partigiani (il più azzardato quello con Kubrick, con il quale in realtà non condivide nulla nemmeno a livello tematico).
Questa polarizzazione del giudizio critico su Nolan aveva raggiunto l’apice con Interstellar, contemporaneamente il film più amato e più odiato del regista britannico, ed è qualcosa di cui tener conto affrontando il successivo Dunkirk, accolto con entusiasmo da buona parte della critica, che lo considera spesso il suo miglior film e lo dà come uno dei principali mattatori dell’imminente stagione dei premi (stasera si assegneranno i Golden Globes, mentre agli Oscar mancano meno di due mesi). Il pubblico invece è stato molto più freddo nei confronti di questa sua ultima fatica (su IMDb è il film di Nolan con il giudizio più basso dopo Following, il suo esordio, e Insomnia, ritenuto da tutti il suo peggior film, mentre su Rotten Tomatoes è sopra solo a Insomnia), testimoniando ancora una volta una spaccatura all’interno del suo pubblico.
Eppure Dunkirk è per molti aspetti antitetico a Interstellar. Quest’ultimo era, ed è ancora, il film più ardito e maestoso di Nolan, in cui questi ha cercato più che in ogni altro di portare avanti un discorso complesso su quelle che sono le sue ossessioni (il tempo, il doppio, la determinazione dell’individuo contro la sorte…). Contemporaneamente, però, e forse proprio a causa di questa ambizione, è anche quello in cui emergono maggiormente i difetti di tutto il suo cinema: la scrittura narrativa traballante, una certa ampollosa retorica, il montaggio spesso impreciso.
Dunkirk, invece, pur non rinunciando ai punti fermi della sua poetica, che qui tornano tutti, è un film nelle intenzioni molto più sobrio. Lo si capisce anche solo dalla durata. Proprio Nolan ha contribuito a creare l’idea che i film “pop” debbano essere lunghi: dopo che i suoi tre Batman hanno avuto il grande successo che hanno avuto pur arrivando a durare quasi tre ore, tutto il successivo cinema supereroistico si è calibrato su una durata standard di due ore e mezza. Interstellar poi durava 2 ore e 50 minuti. Dunkirk a malapena un’ora e tre quarti.
Il suo pregio è proprio questo: lo sforzo di trattenersi, raccontando una vicenda ad alto rischio di retorica in maniera fredda, quasi distaccata, proprio per concentrarsi sugli aspetti cardine di tutto il suo percorso artistico. Qualche concessione ancora c’è, in realtà, a partire dalla colonna sonora, che, pur ottima (costruita con il ticchettio di orologi per sottolineare l’importanza dell’elemento temporale), è troppo invadente e finisce per vanificare l’altrimenti riuscito tentativo di creare un’esperienza per lo spettatore in tutto e per tutto immersiva e realistica. Ancor di più, è una concessione alla retorica l’eroismo sfacciato e verboso del personaggio interpretato da Kenneth Branagh, il comandante Bolton.
Al netto di queste reminiscenze del suo recente passato, però, Nolan riesce a tenersi a freno, e Dunkirk è una ricostruzione storica accuratissima (gli si potrebbe criticare solo la scelta di non mostrare mai del sangue, una pulizia irrealistica dovuta a necessità distributive), fondata, appunto, sulla Storia. Questa è resa attraverso l’espediente della tripartizione tematica e narrativa: la sezione aerea che copre un’ora, la sezione marittima che copre un giorno, e la sezione terrestre che copre una settimana. La scelta, profondamente nolaniana, paga.
Il problema maggiore di Dunkirk, un problema di cui Nolan è sicuramente consapevole e che ha scelto di abbracciare, è che puntando tutto sulla ricostruzione degli eventi ignora completamente la costruzione dei personaggi, che sono figurine in azione nella Storia senza alcuna caratterizzazione. In Dunkirk quindi ci si può immergere, ma non lo si riesce a vivere davvero, perché manca la possibilità di identificarsi in uno dei protagonisti. È appunto un’esperienza fredda: la visione può essere travolgente per l’intensità visiva, ma è difficile che rimanga impressa a lungo.
Se si vuole proseguire il paragone con Kubrick, anche quest’ultimo era spesso gelido nel mettere in scena i propri personaggi, ma la loro memorabilità evitava il rischio che non rimanessero impressi nella memoria dello spettatore: in 2001: Odissea nello Spazio non ci sono personaggi particolarmente strutturati o complessi, ad esempio, ma Hal 9000 è indimenticabile ed è diventato un’icona del cinema fantascientifico.
Cosa rimane, dunque, di questo Nolan in cui i suoi leitmotiv sono trattati in modo così poco nolaniano? Sicuramente, sprazzi di grandissimo cinema. Le scene di volo e l’affondamento della nave sono momenti eccezionali, e i primi minuti del film, in cui alcuni soldati corrono attraverso Dunkerque (l’originale nome francese della città), sono probabilmente la cosa migliore mai girata da Nolan. Così, come a volte capita per le pellicole che tanto dividono il pubblico, Dunkirk non è un capolavoro né un brutto film. Sicuramente non è tra i suoi peggiori, anzi, in un’ipotetica classifica della sua opera meriterebbe una delle prime posizioni, ma rispetto ad altri suoi film, pur essendo forse il più maturo e il meno “difettoso”, manca di quella potenza e di quella capacità di investire lo spettatore (vedi Il cavaliere oscuro o Inception, ad esempio) che hanno fatto la fortuna di Nolan.
Solo evitando di partecipare alla battaglia tra i paladini di Nolan e i suoi oppositori, una battaglia spesso faziosa e priva di obiettività, si può vedere Dunkirk per quello che è: un nuovo tassello in una filmografia fatta di alti e bassi, che difficilmente sarà ricordato nella storia del cinema, ma che comunque si dimostra un buonissimo film di guerra.
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