Domenica notte è stata la famigerata Long Night: la notte in cui, secondo la mitologia nordica, “i morti cammineranno sulla terra”; “la notte oscura e piena di terrori” paventata dalla Sacerdotessa Rossa devota al Dio della luce.
8 stagioni e 2 episodi per prepararci a questo tanto atteso evento: la battaglia finale, la battaglia impossibile, il confronto estremo tra la vita e la morte dinanzi al quale nessuno esercito sembrava essere mai sufficiente.
“Stiamo combattendo contro la morte, non si può sconfiggere la morte”
(Sandor Clegane)
L’episodio intitolato The Long Night, terzo dell’ottava stagione è firmato dallo stesso regista dell’acclamata Battaglia dei Bastardi (6×9) Michael Sapochnik che ha saputo miscelare gli elementi del fantasy con quelli dell’horror claustrofobico, trasformando un evento attesissimo, carico di aspettative e potenzialità, in un episodio memorabile.
Ne La Lunga Notte, non si svolge semplicemente una battaglia ma in esso confluiscono le vicende individuali dei protagonisti. La Quest, per dirla secondo i canoni della letteratura epica, la “ricerca” intrapresa da ciascun “cavaliere” termina a Winterfell, dove il loro destino si compie.
La Battaglia infatti, non si svolge soltanto a livello letterale e televisivo: essa diventa lo scontro simbolico tra il velleitarismo delle sovrastrutture sociali e l’annichilimento totale e indiscriminato della morte. Ma è proprio per questa ragione che la lotta degli uomini contro l’esercito dei morti non è una lotta per la sopravvivenza della carne – poiché ciascuno è sacrificabile – ma per la preservazione della memoria contro il silenzio e l’oblio.
Sono le parole, i gesti, lo scopo che ciascuno dei protagonisti ha coscientemente attribuito alla propria esistenza a distinguere gli uomini dall’esercito informe, soggetto all’autorità del fantomatico Night King. Per questo, non assistiamo alla carneficina che sospettavano sarebbe avvenuto poiché, in questo terzo episodio, ognuno dei nostri beniamini va incontro al proprio destino.
Questo genere di lettura ci permette di accettare alcune grosse incoerenze: quando vediamo migliaia di brutali Dothraki a cavallo inglobati senza clamore nell’orda indistinta dei morti oppure, gli Immacolati, perfette macchine da guerra, schiacciati come fossero formiche mentre il meno aitante dei Guardiani della notte, cioè Samwell Tarly, sopravvive quasi illeso, al centro pulsante della battaglia. Ma in Sam risiede l’eternità della memoria, della parola tramandata che attraversa l’esistenza individuale per diventare patrimonio comune. Patrimonio comune sono le storie che hanno preparato la Westeros del presente allo scontro con le forze soprannaturali del Night King.
In The Long Night si celebra l’estrema battaglia degli opposti: la vita contro la morte, il calore e il sangue della vita contro il ghiaccio e il gelo dei defunti, il ghiaccio che contrasta e riverbera il fuoco accendendo la coltre notturna più fitta che il Nord e, probabilmente, il la televisione (ed il cinema) abbia mai conosciuto.
La fotografia è scura, terribilmente scura. Soltanto il fuoco è capace di accendere dei barlumi poiché, il proposito, sembra essere quello di rendere il pubblico de Il Trono di Spade parte dello schieramento. La vista ci è negata perché il fuoco, in questo epico scontro, è per noi tutti la sola, fulgida, speranza.
Attraverso l’oscurità, la fotografia massimizza la partecipazione emotiva all’evento.
Guarda lo speciale sulla realizzazione della 8×03: La Lunga Notte.
Il calore umano che governa la motivazione degli uomini è incarnato dal più insospettabile dei personaggi: Sandor Clegane, mercenario, egoista. L’uomo che si arrende perché è una battaglia che non si può vincere ma va bene pure perdere la vita, perdere tutto, per proteggere le persone che amiamo.
“Cosa non si fa per amore?!”
Jorah Mormont trova la morte e la redenzione, inseguendo lo stesso scopo e, infine, il più coraggioso dei caduti è Theon Greyjoy, che con la sua vita salda il conto aperto con casa Stark ma soprattutto, con la sua coscienza.
Arya Stark
La Long Night di Arya Stark merita un capitolo a parte. Non soltanto perché di fatto è lei che, infine, sconfigge il Night King ma perché in lei sembra convergere più di un filo.
I poteri di Bran Stark e del Corvo a Tre occhi sono ancora oggetto di discussione: egli è un veggente o le sue visioni sono in grado di influenzare gli eventi?
Sappiamo che dice a Theon Greyjoy che “Tutto ciò che ha fatto ti ha condotto qui”. C’è di certo da chiedersi cosa sarebbe successo che Theon avesse davvero giustiziato Bran e Rickon e preso il controllo di Winterfell… ma così non è stato e, probabilmente, lui è passato per l’umiliazione di essere Reek perché così, da qualche parte, era scritto.
Arya Stark, dunque, per la stessa ragione ha assistito alla morte di suo padre Ned e ha covato l’odio che, negli anni, l’hanno resa una silenziosa e micidiale assassina. In questa prospettiva, ogni suo passo sembra condurre all’omicidio per eccellenza, quello de gli occhi azzurri, come profetizzato da Melisandre che, in questo episodio, per la prima volta e con suo stesso stupore, sembra davvero governata da un potere superiore e divino.
Arya giunge a Winterfall brandendo il pugnale con cui qualcuno ha attentato alla vita di Bran Stark che, già allora, aveva l’abitudine di vedere troppo (solo io colgo l’ironia?).
Arya è cresciuta forte e volitiva, è un’ottima combattente, ne è consapevole e non lesina dimostrazione in una delle scene più eccitanti dell’ultimo episodio: quando i morti si arrampicano sulle mura di Grande Inverno e, la piccola di Casa Stark, li affronta armata di una lancia. Mostra anche una certa spocchia giovanile, nonché l’inesperienza, che la portano a commettere alcune leggerezze. Si rifugia, infatti, tra i muri spessi e i corridoi stretti del palazzo, offrendo lo spunto per atmosfere e tensioni da horror claustrofobico, da cui soltanto il repentino intervento del Mastino e l’incrollabile fede di Beric, la trarranno in salvo. Salvando la vita di Arya Stark, Beric Dondarrion compie il suo personale destino per cui Il Dio della Luce lo aveva scelto.
Soltanto la leggiadra assassina dai mille volti, silenziosa e letale, può piombare sul Night King a sorpresa, colpirlo con lo stesso pugnale da cui l’intero viaggio de Il Trono di Spade ha avuto inizio, sciogliendo finalmente la tensione e liberando Winterfell dalla gelida morsa della morte.
“Cosa diciamo al dio della morte?”
“Non oggi”.
Ultimi, non per importanza, sono ovviamente i due Targaryen: Jon Snow, come al solito, si affanna tanto per non giungere a nulla ed ottiene dal Night King la stessa risposta che ebbe anche da Ramsay Bolton quando lo sfidò in singolar tenzone:
“Non so se riuscirei a batterti ma so che il mio esercito batterà il tuo”.
Così, scaglia contro Jon Snow gli stessi uomini che hanno trovato la morte difendendo il Nord dalla minaccia sovrannaturale.
Bella, squisitamente fantasy, la danza dei draghi del Ghiaccio e del Fuoco che si affrontano tra le nuvole.
Quando nel nono episodio della prima stagione de Il Trono di Spade, assistemmo inermi e sgomenti alla decapitazione di Ned Stark, prendemmo immediatamente atto del peso che quell’evento avrebbe avuto sulla scrittura televisiva a venire. Nessun eroe intervenne a trarre in salvo colui che sembrava essere il protagonista della serie fantasy HBO: la testa di Ned Stark cadde di fronte agli sguardi attoniti delle sue figlie, di fronte ad un pubblico immobile e incapace di reagire agli arbitri del potere.
Questo è sempre stato Il Trono di Spade poiché l’antiretorica era il bacino privilegiato della scrittura di George RR Martin e delle sue Cronache del ghiaccio e del fuoco.
La direzione della saga, nonché buona parte della sua coerenza originale, sono andati disperdendosi quando non ci sono stati più libri a supporto della sceneggiatura e, il coraggio, è stata la perdita più evidente della serie tv de Il Trono di Spade.
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La battaglia tanto favoleggiata, la long night del titolo, tanto temuta, tanto attesa… si è risolta in un unico, emozionante episodio, dal finale dolce-amaro. Poiché, per quanto fosse chiaro che fosse Arya Stark la beniamina de Il Trono di Spade, non è possibile non avvertire un briciolo di insoddisfazione in una morte così rapida per un nemico che sembrava indistruttibile, come indistruttibile è, di fatto, la morte.
Il Night King che è immune al fuoco di Drago, che sbriciola come nulla fosse la grande barriera di ghiaccio, è annientato da una ragazzina che brandisce un coltello fabbricato dagli uomini?
L’uomo può aggirare, non può vincere la morte.
La Long Night sarà davvero finita qua?