L’annuncio di un film live action sul mondo dei Pokemon, arrivato in maniera onestamente inaspettata, aveva fatto sobbalzare sulla sedia due generazioni di fan: i più giovani, che hanno imparato ad apprezzare fin da piccoli i mostriciattoli nati dalla fervida mente di Satoshi Tajiri, hanno ovviamente accolto la notizia con giubilo (i genitori, forse, un po’ meno).
La generazione che ha vissuto il boom originale dei Pokemon, a cavallo fra anni 90 ed anni 2000, ha invece accolto la notizia con sensazioni miste: i bambini di un tempo, oggi adulti, da un lato hanno visto i propri giochi di infanzia prendere improvvisamente “vita”; dall’altro, però, hanno provato il dubbio (legittimo) di veder rovinati bei ricordi da un prodotto potenzialmente insulso.
Per fortuna, il lavoro fatto dal regista Rob Letterman e dal team degli effetti speciali rende giustizia ad un franchise tanto amato, mettendo verosimilmente d’accordo grandi e piccini; non abbiamo a che fare con un capolavoro, chiaramente, anche a causa di alcune scelte narrative non particolarmente brillanti, ma nel complesso il film diverte, a tratti anche molto, come del resto confermato da altre recensioni. Scendiamo più nel dettaglio.
La vicenda narrata nel film è ambientata, per una buona parte, nella città fittizia di Ryme City, dove esseri umani e Pokemon hanno imparato a vivere in totale armonia fra di loro; tale espediente narrativo, ad essere onesti, ricorda parecchio quello utilizzato dalla Disney per l’ottimo Zootropolis e, non a caso, i richiami al film del 2016 sono piuttosto numerosi.
In tale contesto si inserisce la storia di Tim Goodman (Justice Smith), un ragazzo che sognava di diventare allenatore di Pokemon e che, crescendo, ha rinnegato tale aspirazione, anche a causa del rapporto conflittuale con il padre Harry: quest’ultimo, infatti, è un esperto ed ammirato detective a Ryme City, ma pare trovarsi più a suo agio con i Pokemon, che con gli esseri umani. Tuttavia, nonostante la freddezza dei rapporti con il genitore, quando quest’ultimo scompare il giovane è costretto, suo malgrado, a fare ritorno nell’amata/odiata città.
L’incontro quasi casuale di Tim con il Pokemon del padre, un Pikachu caffeinomane e particolarmente logorroico, di cui solo il ragazzo sembra comprendere le parole, dà il via ad una serie di eventi incontrollabili, in grado di influire sulle sorti della stessa Ryme City: i due, ben presto, si mettono sulle tracce di una potenziale minaccia all’armonia fra Pokemon ed umani (ulteriore richiamo a Zootropolis), con l’aiuto di Lucy Stevens (Kathryn Newton), una giovane giornalista complottista, del detective Yoshida (Ken Watanabe) e di Howard Clifford, mecenate della concordia fra le due specie (Bill Nighy).
La trama, di per sé, si dipana in modo agevole e senza eccessive complicazioni, con alcuni colpi di scena un po’ “telefonati”, ma anche qualcuno più inaspettato; a far la differenza, più che la vicenda in sé, è naturalmente il modo in cui essa si interseca con i Pokemon: i piccoli mostri, infatti, sono presenti in numero molto elevato (vi sfidiamo a riconoscerli tutti!) e, oltre ad essere ottimamente resi sullo schermo, sono anche ben caratterizzati. La parte del leone, naturalmente, la fa lo strepitoso Pikachu, doppiato in originale da Ryan Reynolds, ma attenzione ad alcuni inaspettati protagonisti, fra cui un eccezionale Mr. Mime ed anche un Pokemon estremamente potente, che ha già mandato in visibilio i fan nel trailer.
A proposito di tale personaggio, senza darvi ulteriori informazioni sulla sua identità e sul suo ruolo (ma non è difficile intuire di chi si parli), va segnalata almeno una scena che cita espressamente il primo, storico film sui Pokemon, uscito nell’ormai lontano 2000. Un po’ di fan service, del resto, non fa mai male.
Per concludere, Pokemon: Detective Pikachu è un buon film che, pur con qualche sbavatura e senza ricercare una trama particolarmente complessa o innovativa, vince la difficile sfida di creare un contesto credibile, nel quale far vivere i mostriciattoli più amati della storia dei videogiochi; è plausibile immaginare che, in caso di successo di questa pellicola, l’esperimento venga replicato e, dopo la visione di quest’opera prima, non possiamo che dirci favorevoli, confidando comunque in un pizzico di coraggio in più da parte degli sceneggiatori.
Gotta catch’em all!