Looper: la recensione del film di Rian Johnson (regista dell’ultimo Star Wars)

Looper è la rampa di lancio che ha permesso a Rian Johnson di approdare dal film da Sundance alla direzione di Star Wars: The last Jedi.  

Rian Johnson si presenta al mondo del cinema nel 2005 con “Brick- Dosa mortale che al Sundance Film Festival vince il Premio speciale della giuria per “l’originalità della visione”. Visione originale è l’espressione corretta per descrivere le narrazioni del regista del Maryland, infarcite di ralenti, zoom, panoramiche e hard cut che non concedono cali di tensione pur non compromettendo la sobrietà della trama. Se “Brick- Dosa mortale” si destreggiava tra i paradigmi del thriller e del noir, “Looper” prende in prestito i modelli illustri della fantascienza, per elaborare il proprio regime visivo e la propria riflessione.

Il film è ambientato in Kansas nel 2044 dove alle cupe metropoli stile “Blade Runner” si alternano ampi campi di grano e canneti. Il viaggio nel tempo ancora non esiste ma trent’anni più tardi diventerà una realtà, anche se illegale, sfruttata dalla mafia per sbarazzarsi di persone scomode. Se infatti nel futuro è molto complicato smaltire un cadavere, nel presente nessuno nota la mancanza di un morto che ancora non esiste. Joe (Joseph Gordon-Levitt) è un Looper, un assassino specializzato che si occupa di questa pratica in cambio di lingotti d’argento. Terminato il lavoro i Looper hanno trent’anni per godere dei soldi accumulati, ma una volta scaduto il periodo sono rispediti indietro nel tempo per essere uccisi dai sé stessi del passato, cancellando dunque qualsiasi traccia di collaborazione con la mala (procedura chiamata “chiusura del loop”). Quando arriva il momento di Bruce Willis (il Joe del futuro) niente va come previsto. Questo è il punto di svolta che fa vacillare la sicurezza del sistema, il black-out tra le interazioni tra presente e futuro, che si rivelano non lineari e spesso inconciliabili: i Looper del futuro, infatti, non sono in grado di rinnovare le scelte del passato e spesso tentano di ribellarsi al fatalismo determinato da promesse che non comprendono più.

Looper

Il primo proposito di “Looper” è rappresentare il divario generazionale in uno stesso individuo, evidenziandone le discrepanze e le inclinazioni in continuo cambiamento nel corso del tempo, il tutto affiancato agli intrighi action di una nuova malavita all’avanguardia. La trovata di piegare le potenzialità del viaggio nel tempo alle esigenze di un contesto criminale manifesta una visione umile, che non ha nessuna intenzione di dilungarsi su questioni di natura scientifica o speculazioni intellettuali, né di fornire spiegazioni dettagliate sulle contraddizioni dei salti interdimensionali. Come anche in “Brick- Dose mortale” il regista utilizza un intreccio cervellotico senza preoccuparsi che lo spettare comprenda ogni passaggio, prediligendo la fluidità narrativa e la potenza visiva alla chiarezza totale. Forte di una salda convinzione nelle proprie strategie di messa in scena Rian Johnson si diverte inserendo gag comiche e sfruttando i dialoghi per smascherare le convenzioni del genere o giocarsi del make-up pesante di Joseph Gordon-Levitt, che vaga sulla scena con zigomi pronunciati e lenti a contatto. La dimestichezza con cui Rian Johnson gestisce i dettagli e le atmosfere in piena libertà fa figurare “Looper” come un sistema ben oliato che avanza tra comicità, azione, ritmi serrati e ottima fantascienza, poco scienza e molto fanta-.

Looper

La base scenografica realistica è stata arricchita da nuove droghe sintetiche (gocce per gli occhi capaci di sballare in poco tempo), armi e mezzi di locomozione futuristici, mai presenti in maniera massiccia e invasiva: la misura con cui vengono integrati questi elementi contribuisce alla formazione di una realtà percepita come estremamente prossima anche se alternativa. Su questo scenario suggestivo si inseguono e si scontrano Bruce Willis e Gordon-Lewitt, con motivazioni ed esperienze differenti, quasi fossero persone distinte. In una situazione come capovolta il Looper più vecchio è impulsivo ed ha qualcosa per cui combattere, mentre al giovane tocca l’onere del buonsenso. Il loop allora si definisce in un perenne osservare sé stessi e le proprie azioni che si reiterano nel tempo, generando gli stessi sbagli e gli stessi rimpianti. È così che passioni personali, dovere storico e giustizia si intrecciano e convergono infine su un bambino (Cid) dotato di poteri telecinetici, futuro boss spietato dell’organizzazione criminale. Emily Blunt (la madre del bambino) e Cid entrano in scena circa a metà film e incanalano la vicenda verso una conclusione in cui le possibili strade da percorrere diminuiscono e il peso della scelta si fa sempre più gravoso, tra responsabilità verso il futuro e rispetto per il presente.

Più semplice vederlo che tentare di spiegarlo, “Looperè un film che dice tutto ciò che vuole dire su un piano percettivo prima che razionale, rivolto alla gestione corale dei personaggi e alla costruzione di un mondo diegetico convincente. Se c’è un motivo che ha portato la regia di “Star Wars: The last Jedi” fino a Rian Johnson è proprio la sua capacità di trasfigurare motivi concettuali in punti di forza narrativi e visivi, utilizzando un contesto ambizioso come quello fantascientifico che non esclude lo sviluppo di un tono confidenziale, privo di ogni pretesa se non quella di narrare una buona storia.

Leggete anche la recensione di Star Wars: The Last Jedi.

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