Lo Spietato: la recensione del film Netflix con Riccardo Scamarcio

Esce oggi su Netflix (qui tutte le uscite del mese), dopo aver fatto la sua comparsa in sala gli scorsi 8-9-10 aprile, il film originale Lo Spietato di Renato De Maria e con protagonista Riccardo Scamarcio. La pellicola è un adattamento del romanzo Manager Calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo.

Lo Spietato racconta le vicende di Santo Russo, un ragazzo calabrese che nel 1967 è costretto ad emigrare con la famiglia nell’hinterland milanese, a Buccinasco per la precisione. Ed è qui, quando viene costretto per errore a scontare una pena in carcere, che ha inizio la sua ascesa nella malavita milanese. Il film accompagna Santo in una parabola di circa 30 anni, storicamente molto determinanti per il nostro Paese. Dal boom economico degli anni 60 seguiamo il nostro protagonista fino alla “Milano da bere” degli anni 80 con i suoi grandi imprenditori, i suoi traffici illegali e soprattutto i suoi “soldi facili”.

Lo Spietato

E, attraverso una narrazione molto ellittica che manca un po’ di aderenza storica e di impronta documentaristica, il film si basa quasi esclusivamente proprio sulla figura del gangster/yuppie di Santo Russo. “Lo Spietato”, abilmente interpretato da uno Scamarcio dal volto appesantito e dall’accento (volutamente) mutevole, è il vero traino della pellicola di De Maria. Santo, infatti, ci porta con sé nella sua scalata al successo: dalle rapine ai negozietti fatte con i compaesani emigrati si passa ai sequestri, per finire ai grandi traffici dell’eroina e del mercato edilizio (le due grandi “galline dalle uova d’oro” dei favolosi 80!).

E il percorso verso l’apice del protagonista sembra proprio non interrompersi mai durante l’arco narrativo. Anche quando dopo un periodo di prigionia sembra aver perso tutto, Santo riacquista facilmente potere e fama nei “giri che contano”. Quella che potrebbe essere solo un’ingenuità di sceneggiatura, però, viene costruita come il racconto di un uomo semplice che senza troppo calcolo, ma con molta arroganza e cafonaggine, rappresenta un’ulteriore faccia del successo facile. E infatti il ça va sans dire, ripetuto infinite volte nel film, diventa proprio il mantra di un’ascesa senza limiti e senza scrupoli.

Perché, a ben vedere, al nostro Santo manca proprio di una linea marcata di coerenza nelle sue azioni. Più che ad un mafioso vecchio stampo, tutto famiglia e valori ancestrali, il nostro “spietato” assomiglia al self-made-man in salsa italiana (un Berlusconi/Agnelli giusto per intenderci). Un imprenditore fatto e finito che mette in gioco la sua abilità camaleontica e opportunista per approfittare di qualsiasi situazione.

Lo Spietato

L’ambivalenza e doppio gioco del personaggio sono ben visibili lungo tutto il film, enfatizzati in particolare nella seconda parte. Il montaggio serrato ci mostra infatti le tendenze discordanti di Russo-Scamarcio che, come una spugna, ingloba e utilizza a suo favore modi di fare e espressioni gergali dell’ambiente che lo circonda. Persino le donne con cui si rapporta sono espressione di questo suo irrisolto contrasto interiore. Da un lato abbiamo la moglie Mariangela (Sara Serraiocco), fedele al marito e simbolo della tradizione e del passato; dall’altro abbiamo Annabelle (Marie-Ange Casta), modella e artista francese con cui il protagonista intrattiene una relazione adulterina, metafora della novità e del futuro. Entrambe si pongono, al pari dei due appartamenti in cui vivono, dunque solamente come proiezioni irraggiungibili della “volontà senza obiettivi” del nostro Spietato.

E se dal punto di vista della storia in sé la pellicola di De Maria non sembra voler aggiungere molto, è decisamente apprezzabile nelle scelte estetiche. Abbinando generi differenti (noir, poliziottesco anni 70 e persino Blaxploitation americana) e un montaggio molto evidenziato, Lo Spietato ci offre una narrazione molto ritmata che abbina violenza, azione, dialogo e ironia, senza mai risultare troppo pesante. Merito di questo è da attribuire anche alla colonna sonora, nella quale Tony Dallara, Caterina Caselli, Peppino Gagliardi e Raf sono intervallati da un beat funky che raccorda le scene.

Lo Spietato

L’abilità di De Maria (già regista di Italian Gangsters) nel maneggiare il materiale, gli permette, in conclusione, di creare un film di denuncia senza usare i fatti, ma attraverso l’uso di un personaggio indefinito, per cui si fa davvero fatica a provare sia empatia che rancore. Decisamente meno tagliente di un classico film di mafia, Lo Spietato ci presenta un mondo che scorre via senza problemi. Ma forse solo perché questo è ricoperto dalla patina scintillante che, dagli anni 80, ancora facciamo fatica ad abbandonare.

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