La Ruota delle Meraviglie è il nuovo film di Woody Allen ambientato a Coney Island negli anni ’50.
Nel 1903 Coney Island ospitava la nascita del primo Luna Park. Quel giorno la piccola penisola a est di Manhattan scopriva uno strano tipo di fascino, che coniugava il mare e la spiaggia alle luci al neon del parco dei divertimenti. Woody Allen ha sempre raccontato di essere infatuato di questo luogo, tanto da sceglierlo come dimora d’infanzia di Alvy Singer in “Io e Annie”. “Wonder Wheel”, in uscita nelle sale il 14 dicembre, presenta Coney Island negli anni ’50: il suo periodo fastoso è passato, ma le luci intermittenti provocano ancora lo stesso stupore nei passanti.
Questo palcoscenico color pastello si pone apertamente in conflitto con il dramma che governa i rapporti tra i personaggi, che si dimenano tra insoddisfazione e necessità di affetto. Ginny, interpretata da Kate Winslet, è in particolar modo insofferente al chiasso e all’atmosfera euforica in cui è costretta dal suo lavoro e dalla sua famiglia: la donna vive insieme al marito Humpty, manovratore di giostre, in un mini-appartamento pieno di ampie finestre che si affacciano sul Luna Park e rendono impossibile il sottrarsi alle sue attrazioni. La prima parte del film si gioca tra le mura di questo spazio invaso dalla luce blu e rossa della grande ruota panoramica che si proietta sul viso dei personaggi e prepara l’impianto teatrale che accompagnerà assiduamente l’azione.
Ginny è un ex-attrice sfiorata dalla fama che tira avanti a sensi di colpa, rimpianti e aspirine. La sua occasione per abbandonare la routine è il giovane bagnino Mickey (Justin Timberlake inondato di fondotinta) che studia per diventare scrittore e le parla di grandi autori e degli amori nei romanzi. Ginny viene inglobata in una storia irreale come la fotografia del film, curata dal pluripremiato Vittorio Sturaro: i proiettori si accendono e si spengono sui personaggi allontanando la narrazione dal realismo per ricondurla al dominio della finzione, una finzione che omaggia al contempo il teatro classico e la vecchia Hollywood.
Woody Allen scrive volontariamente dei ruoli femminili eccessivi, iper-realistici:”quando scrivo una storia ho la tendenza ad evitare le scene sfumate in cui l’emozione si coglie dal sollevarsi di un sopracciglio”. Come anche Cate Blanchett in “Blue Jasmine”, infatti, Kate Winslet si dispera e reagisce, ma il proprio scalpitare avvia solamente un processo auto-distruttivo di deperimento fisico, mentale e morale. Il regista newyorkese segue l’ispirazione inaugurata con “Match Point”, abbandonando il terreno della satira sottile e della verbosità meta-narrativa. Il melodramma domina la sceneggiatura e la psicologia dei personaggi domina la scena, amplificata per contrasto dai paesaggi affabulatori di Coney Island.
Jim Belushi, estremamente credibile nel ruolo di Humpty, è la controparte della Winslet: se infatti lei è snervante e bisbetica, lui è affettuoso anche se iracondo e sembra la versione più rozza di sé stesso presa in prestito da “According to Jim”; Humpty si accontenta di piaceri semplici come la pesca e il Bowling. Nonostante Ginny sia la protagonista indiscussa del film, la climax recitativa estremamente sopra le righe genera un leggero ma ostinato senso di antipatia nello spettatore che rende complicata l’immedesimazione. Questa visione distaccata al punto giusto permette di osservare il dramma emotivo della Winslet da una posizione di sicurezza, emancipata dal pericolo di rimanere scottati dalla sua follia irruente. Gli altri comprimari sono decisamente più accessibili e bilanciano efficacemente i toni accesi della tragedia: Humpty con le sue gag comiche e la figlia Carolina (Juno Temple) con la sua innocenza e bellezza delicata. Carolina fornisce anche il pretesto per introdurre la svolta thriller tanto cercata da Allen nei suoi ultimi lavori, da “Match Point” a “Irrational man”. La giovane ragazza, inseguita dagli scagnozzi del suo ex-marito mafioso, si rifugia a casa del padre sconvolgendo gli affetti e le passioni tra i personaggi.
Tutta la vicenda viene esposta dalla voce di Mickey, che dall’alto della sua postazione e con lo sfondo della spiaggia gonfia di bagnanti, racconta intrighi e peripezie come se stesse presentando allo spettatore un proprio libro. Man mano che l’intreccio si sgroviglia la ruota delle meraviglie, utilizzata come elemento a metà strada tra la metafora e il leitmotiv emotivo, si riveste della disillusione di coloro che la circondano.
“Wonder Wheel” è un film che suscita reazioni contrastanti (come il personaggio ambiguo di Kate Winslet), che rischia di adagiarsi sulla classicità della trama e sulle sue allegorie, ma che infine si sottrae al banale. Woody Allen che non è mai troppo indulgente con le proprie donne sull’orlo di una crisi di nervi, mette in scena uno scompiglio nevrotico al ritmo della ruota che gira, dal quale riesce poi ad afferrare la bellezza decadente della disperazione e di una passione morente.
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