La nostra recensione del film Juno, piccolo gioiello del cinema indipendente americano, che ha ottenuto 4 nomination e 2 premi Oscar.
Juno MacGuff (Ellen Page) è una ragazza di sedici anni che rimane inaspettatamente incinta del suo amico e compagno di scuola Paulie Bleeker (Michael Cera). Prova tre volte il test di gravidanza e, di fronte all’inequivocabile segno “più”, Juno si sente sconfortata e spiazzata. Comunica la notizia alla migliore amica Leah (Olivia Thirlby) telefonandole con il suo telefono-hamburger, dopo aver tentato (o meglio simulato) il suicidio impiccandosi ad un albero con una stringa di caramella alla frutta. Già da queste poche scene iniziali si capisce quanto Juno sia autoironica, stravagante e sopra le righe.
Inizialmente la ragazza decide di abortire, senza far sapere in giro la notizia, ma dopo essere stata in un’inquietante e respingente clinica (“Donne ora”, «dove dicono che aiutino le donne, ora») scappa letteralmente, decide di tenere il bambino e di affidarlo a una coppia adottiva. Forse complice della scelta la sua compagna di classe che, in una scena molto divertente, le dice che il suo bambino «ha già le unghie».
Dalla spensieratezza dell’adolescenza Juno si ritrova catapultata nel bel mezzo dei problemi dell’eta adultà, passaggio che viene reso anche a livello formale: l’immagine di una Juno a metà tra il fumetto e il cartone animato, accompagnata dalla filastrocca folk di Barry Louis Polisar durante i titoli di testa, si trasforma nell’immagine della vera Juno che assume le sembianze di Ellen Page in carne e ossa. Juno ha in effetti i tratti di un personaggio fumettistico, ben caratterizzato con All Stars e maglia a righe, capelli raccolti in una coda di cavallo, magliette di gruppi rock, linguaggio sboccato e battuta facile, che si muove in un mondo coloratissimo e sulle note di brani folk. Non sono da meno i personaggi che la circondano, a iniziare da Paulie, che sembra uscito dallo stesso fumetto con quei suoi pantaloncini gialli, fascetta per capelli, passione smisurata per la corsa e per le tic tac all’arancia.
Personaggi così ben delineati sono frutto della penna geniale di Diablo Cody, nome d’arte di Brook Busey, ex spogliarellista e blogger che ha dato prova di grandi capacità di scrittura in questa sua prima impresa cinematografica. Il film riesce a offrire uno sguardo ironico e a tratti cinico su un argomento spinoso come la gravidanza indesiderata da parte di un’adolescente, già al centro dei film Waitress e Molto incinta, decisamente meno convincenti.
Il punto di forza di Juno sta proprio nella capacità di costruire un racconto calibrato e brillante su un tema così delicato e ostico, che rischierebbe di far precipitare il film nella banalità e nell’ipocrisia, e invece viene gestito con abilità da Diablo Cody e da Jason Reitman.
A questo proposito è interessante notare il tipo di dibattito che si è diffuso in Italia intorno al film quando esce, nel 2007. Juno viene incredibilmente spacciato per film antiabortista durante la campagna elettorale di quel periodo da un politico intento a sostenere la propria campagna pro-life. Ma non c’è niente di più sbagliato che ritenerlo un manifesto antiabortista: infatti Reitman non sente il bisogno di schierarsi apertamente e preferisce realizzare un film privo di falsi moralismi, ipocrisie e pregiudizi e senza nessuna pretesa di fornire insegnamenti etici allo spettatore.
Possiamo intravedere nel film una difesa della libera scelta, ma non una presa di posizione politica; ed è proprio questo uno degli elementi più convincenti della pellicola.
La penna di Diablo Cody è impeccabile nel ritrarre i personaggi e caratterizzarli psicologicamente: non solo la schietta e spudorata Juno e il timido e impacciato Paulie, ma anche il padre di Juno (J. K. Simmons) e la matrigna (Allison Janney), pronti ad ascoltare i problemi di Juno e a rispettarne le scelte, non senza ironia tagliente, e anche la coppia scelta da Juno per prendere in adozione il figlio che porta in grembo: una Jennifer Garner e un Jason Bateman impeccabili nell’interpretare una coppia apparentemente perfetta, ma che non tarderà a rivelare la proprie debolezze. Debolezze che, forse, sono quelle che caratterizzano buona parte dei rapporti matrimoniali, o sentimentali in generale, e che spingono Juno a chiedersi se esista un amore che possa durare per sempre.
«Vorrei sapere che è possibile che due persone siano felici insieme per sempre».
La ragazza si trova in stretta sintonia con il futuro padre adottivo Mark, per le passioni per la musica e per i film horror (non manca un elogio a Dario Argento) che hanno in comune. Grazie anche allo stretto rapporto che si instaura con lui, Juno compirà un percorso di maturazione e acquisirà maggiore consapevolezza su se stessa e sulla natura dei rapporti umani.
La colonna sonora è uno dei punti di forza del film: filastrocche e ninna nanne folk, musica indie anni ’90 (Barry Louis Polisar, Kimya Dawson) si alternano al grunge amato da Mark e al punk amato da Juno, fan accanita di Iggy Pop; fanno parte dell’OST anche Sonic Youth e il glam rock dei Mott The Hoople. Il brano più famoso è una cover di “Anyone Else But You” dei Moldy Peaches, cantata dagli attori Ellen Page e Michael Cera.
Il film ha ottenuto quattro nomination per Miglior film, Miglior regia a Jason Reitman, Miglior attrice protagonista a Ellen Page e Miglior sceneggiatura originale, premio – quest’ultimo – meritatamente vinto da Diablo Cody.
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