Il Traditore racconta vent’anni di storia. In Sicilia, anni ’80, è guerra aperta fra la vecchia Cosa Nostra e la nuova mafia dei Corleonesi capitanata da Totò Riina. Quest’ultimo è intento ad uccidere tutti i membri delle vecchie famiglie. Il capo della Cosa Nostra vecchio stile è Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino) e si è rifugiato in Brasile. La polizia brasiliana lo stana e lo riconsegna all’Italia, dove ad aspettarlo c’è Giovanni Falcone che vuole da lui testimonianze e dichiarazioni per continuare la sua lotta alla mafia. Buscetta, “il boss dei due mondi”, decide di diventare la prima “gola profonda della mafia”. Il suo avversario, più che Totò Riina, risponde al nome di Pippo Calò.
Il tradimento di Buscetta è tale dal punto di vista di Cosa Nostra, ma non dal punto di vista del protagonista. Marco Bellocchio torna a fare cinema in grande stile, costruendo questo personaggio famoso e complesso di un pentito che non si considera tale; un personaggio dalle mille sfaccettature interpretato da un Favino in stato di grazia. Per alcuni è un eroe, per altri un opportunista e un infame. Lui non rinnega il suo essere “uomo d’onore”, ma si scaglia contro chi gli sta massacrando la famiglia e i parenti. Un traditore conservatore, che comunque difende orgogliosamente il suo passato mafioso. Un eroe a modo suo.
Bellocchio, attraverso un film lineare che si svolge dagli anni ’80 ai primi 2000, mette in luce il dualismo fra chi allo stesso tempo vorrebbe uscire da Cosa Nostra ma è troppo orgoglioso per farlo, legato a doppio filo a un’organizzazione criminale a cui si è fatto giuramento. Non siamo di fronte a un gangster movie quanto a un film psicologico, capace con immagini potenti di entrare nella mente dei criminali. Tutto accompagnato da un Favino pensieroso, malinconico, forse alla prova con la miglior interpretazione della sua carriera. Se sia opportunista o eroico, o entrambe le cose, spetta solo a chi guarda deciderlo.
Un altro aspetto della pellicola è il racconto raccapricciante di uno stato assente, mostrato come inetto al cospetto dei grandi mafiosi e al maxi-processo che essi vogliono far fallire. Un teatrino sapientemente ricostruito dal regista. Un tocco d’autore di Bellocchio è il mostrare un Adreotti letteralmente in mutande, mentre si prova un completo nella sartoria dove si trova Buscetta. Letteralmente, ma non solo.
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