Detroit, 2008. Highland Park è uno dei tanti quartieri della città ormai quasi deserti, divenuto ricettivo per tanti migranti. Walter “Walt” Kowalski, rimasto vedovo, è un burbero e scontroso reduce di guerra, ormai in pensione, con tendenze xenofobe e razziste. I suoi familiari vorrebbero confinarlo in una casa di riposo per mettere le mani sulla sua eredità, anche per questo è in pessimi rapporti con loro.
Inizia a conoscere i suoi vicini di casa Hmong e la loro cultura, scoprendosi molto più simile a loro di quanto pensasse. La gang del quartiere però non permette a Thao e alla sorella, i suoi giovani vicini, di poter lavorare e vivere onestamente, arrivando persino a malmenare il primo e stuprare la seconda.
Walt, ormai malato di cancro ai polmoni, decide di agire: sacrificherà sé stesso per il bene del quartiere.
Eastwood – Kowalski ad Highland Park
A quattro anni di distanza da Million Dollar Baby, Eastwood torna a dirigere un film che lo vede anche come protagonista, si ritaglia una parte su misura: è lo scorbutico Walter Kowalski che, come nel precedente lungometraggio, è un uomo duro e pieno di pregiudizi, che finirà per ricredersi.
Eastwood regista beneficia non poco dell’Eastwood attore il quale, sin dalla prima scena, riesce a conquistarsi il favore del pubblico, nonostante un carattere tutt’altro che accomodante: Walt può lamentarsi ed inveire, ma nell’immaginario collettivo resterà sempre l’eroe senza macchia, nessuno nutre dubbi sulla sua moralità.
Attraverso i suoi occhi, prevenuti ed antiquati, vediamo i cambiamenti di Highland Park, un quartiere come un altro, utile a mostrare i mutamenti dell’America intera.
Walt è quindi il solito Eastwood, trapiantato in una società ormai in disfacimento: gang di diverse etnie seminano il panico, gli Hmong monopolizzano il quartiere e la religione pare essere spettatrice non pagante della vicenda.
In quello che sembra un mutamento distopico della realtà (è invece tutto brutalmente vero ed attuale) è l’Uomo senza nome il denominatore comune di tale metamorfosi.
Il cinema è cambiato, l’America è cambiata, le persone sono cambiate. Eastwood però è sempre lo stesso. Continua a porgere il suo sguardo severo e graffiante al suo paese di origine, esimendosi dall’esprimere giudizi, ma mostrandosi desideroso di reagire.
“Frangar non flectar” ( Mi spezzo ma non mi piego ) asserì Seneca in tempi non sospetti. “Non mi spezzo né mi piego“, ribatterebbe oggi il regista, digrignando i denti e masticando tabacco.
La fatua credenza, quasi dogmatica nella filomografia eastwoodiana, che il bene debba vincere per forza è ormai stata screditata. Il bene può trionfare, ma è il più severo degli esattori, riscuote puntualmente la sua debita tassa. Mentre l’Uomo senza nome poteva permettersi di prevalere senza pagare pegno, Walt Kowalski baratta la sicurezza del quartiere con quanto di più caro possiede, ovvero con il sacrificio della propria vita. Il bene-gabelliere riscuote.
Tale sacrificio si colloca all’interno di un finale agrodolce. Il polacco in fin dei conti è uomo d’azione e ha pianificato la sua strategia: sistema tutte le questioni in sospeso e si dirige verso la casa della gang responsabile dei crimini. Prende una sigaretta, si assicura che tutti i membri del gruppo di malviventi si presentino davanti a lui ed armati.
..non è ancora il momento però, procediamo con ordine.
La qualità del cinema di Eastwood
Il film non è scritto da Clint Eastwood, ma è come se lo fosse. Ogni singola parola pronunciata da Walt è fatta propria come se fosse quanto di più naturale possibile.
Il sodalizio lavorativo con Tom Stern, addetto alla fotografia, è spesso evidente; i chiaroscuri utilizzati in alcune delle scene emotivamente più intense fungono da cassa di risonanza, che amplifica la portata dei sentimenti coinvolti: dopo l’aggressione della vicina, Walt si lascia andare alla collera, ma si ricompone. Si siede, sembra calmo, ma non lo è. Le mani sono tagliate dai vetri della credenza, lo sguardo è perso. Metà viso è in ombra, l’altra metà è leggermente illuminata. Il volto del polacco è solcato da una lacrima. È piccola, ad un primo ed approssimativo sguardo persino difficile da vedere. È rassegnazione, subito cancellata da una nuova ventata di speranza. Vincere contro chi non possiede remore morali, contro chi non risparmia nemmeno le donne è impossibile senza un estremo sacrificio.
Il suo pensiero è sempre ottimista. Se la giustizia è una questione di bilancia, quella di Eastwood è di precisione scientifica. La vita scorre secondo la terza legge della dinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Nulla accade per caso, nulla resta impunito, tutto ha delle conseguenze.
Ed è proprio questo modo di vedere le cose che permette al personaggio di Eastwood, così ancorato ai valori del cinema retrò, di risultare sempre moderno, di rinnovarsi pur senza cambiare.
Conclusione
Ora è il momento.
Walt è di fronte ai malviventi armati e con lo stesso veloce movimento che lo ha reso celebre nella Trilogia del dollaro, estrae quella che sembra essere una pistola. Non spara però, le pistole dei membri della gang invece esplodono i primi colpi, le pallottole si insinuano nel petto. Walt rovina a terra, la mano si apre, aveva estratto un accendino. Resta un brevissimo momento, un attimo fuggevole per pensare. Walt è sereno. I criminali saranno condannati per omicidio. Il suo sacrificio non è stato vano.
Da Settant’anni ormai Clint Eastwood ci ha guidati attraverso il suo cinema, fatto di storie difficili e persone senza scrupoli. Lui però affronta tutto ciò con la giustezza di un puro. Non sappiamo ancora per quanto l’età gli permetterà di farlo, ma di una cosa possiamo essere certi, quando smetterà avremo perso il vero supereroe del cinema, con buona pace di Marvel e DC.
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