Get Out e il razzismo nell’epoca post-Obama

Che Get Out sia stato la sorpresa del 2017 è fuori discussione. L’esordio alla regia dello sceneggiatore e attore comico Jordan Peele è il successo che serviva per mostrare tutte le potenzialità di un genere – l’horror – troppe volte preda dei suoi stessi cliché e limitazioni.

Perché Get Out non è solo un film dell’orrore costruito e sviluppato benissimo – concluso non con altrettanta efficacia purtroppo – ma anche opera di satira politica e sociale con sfumature comiche, come già Romero – principale fonte d’ispirazione insieme al personaggio di Frankenstein – fece cinquant’anni fa con il suo La Notte dei Morti Viventi

L’azzardo è stato premiato dal pubblico. A fronte di un budget di neanche 5 milioni, la pellicola ne ha incassati oltre 250 in tutto il mondo. Più di cinquanta volte l’investimento.

La trama ruota attorno al protagonista Chris Washington (Daniel Kaluuya) e alla visita alla famiglia della sua ragazza, Rose Armitage (Allison Williams). Gli Armitage sono una ricca famiglia bianca che vive nella campagna dell’Alabama (sud degli USA), mentre Chris è un fotografo afroamericano di città.

L’incontro fra i protagonisti. Da sinistra: Catherine Keener, Bradley Whitford, Allison Williams, Daniel Kaluyaa e Betty Gabriel.

L’incontro fra questi due universi agli antipodi sarà il perno centrale del film. L’ansia di Chris nel conoscere i genitori della sua compagna, così distanti culturalmente, rappresenta una sensazione con la quale tutti noi possiamo relazionarci. Se le cose sembrano andare per il verso giusto nei primi momenti, sarà il rapporto con la servitù di colore, ma soprattutto il colloquio con la di lei madre a far precipitare il tutto.

Stiamo senz’altro parlando di un prodotto che descrive ed è indirizzato ad una società statunitense. Ciononostante non dovrebbe risultare troppo difficile traslarli al nostro continente percependone gli aspetti meno superficiali.

Get Out è sì un horror ben strutturato che fa leva su topos al limite dello stereotipo, come la casa maledetta e l’uomo posseduto, ma rappresenta anche un curato affresco della condizione dell’afroamericano nel 2017.

La situazione ci viene illustrata adoperando un semplice espediente: farci calare totalmente nei panni di un uomo a contatto con un mondo a lui lontano anni luce. Complice la notevole interpretazione di Daniel Kaluuya – già ammirato in Black Mirror – siamo catapultati in quella parte di società civile che si autodefinisce liberale e progressista, ma che nei fatti rimane ancorata ad un retaggio culturale marcio e vetusto.

Il regista e sceneggiatore Jordan Peele sul set di Get Out

<<Se avessi potuto avrei votato Obama una terza volta>>. Questa la frase, sentita più di una volta durante la pellicola, che mira proprio a stabilire il target cui è rivolta la satira dell’autore. Gli otto anni di Obama hanno fatto credere agli Stati Uniti di aver superato certe fratture sociali che oggi, nei fatti, si ripresentano più forti che mai, sotto diversa forma. Nel fare questo il regista/sceneggiatore capovolge il quadro che siamo abituati a veder rappresentato nei media: stavolta è l’afroamericano ad essere minacciato dalla presenza “bianca”.

Tale escamotage, nella sostanza, regge tutti i 103 minuti della pellicola. Con un impianto del genere – dove il bianco è il male e il nero il bene – appare fin troppo evidente il semplicismo che Jordan Peele ha voluto applicare per farci vivere nei panni dell’afroamericano per circa un’ora e mezza. L’effetto collaterale è che, se da un lato la denuncia sociale è fortissima, dall’altro si è dovuto passare da un estremo all’altro, presentando un film pur sempre razzista, ma verso il bianco, invece che verso il nero.

Il mondo in cui il protagonista è immerso non ha possibilità di redenzione. Non vi è nessun appiglio al quale far affidamento fra gli Armitage, nessun individuo nella famiglia che possa salvare l’onore dei non afroamericani, nessuna bontà, nessuna comprensione, solo domande ignoranti e modi di fare ostili. L’unico elemento di salvezza per Chris arriverà dall’esterno. Il suo amico Rod (Lil Rel Howery), infatti, rimasto in città, tenterà di tirarlo fuori dai guai appena intuendo la degenerazione della situazione.

Lil Rel Howery interpreta Rod Williams

Rod merita un approfondimento. Egli indubbiamente rappresenta la comfort zone, il rifugio sicuro, l’amico con cui confidarsi anche a distanza di centinaia di chilometri. Le sue scene sono sempre contraddistinte da una forte ironia di fondo, dato il carattere immediatamente simpatico del personaggio.

Sfortunatamente questi momenti, man mano che diventeranno maggioritari con l’avanzare del film, appariranno sempre più inappropriati, fino a rasentare il pugno nell’occhio nel pieno finale. Soluzioni di sceneggiatura che coinvolgono Rod sembrano forzate parecchio, mentre certe sequenze rasentano il ridicolo – una su tutte quella ambientata nella stazione di polizia.

 

Get Out è un horror come non se ne vedeva da anni in giro. Pellicola inquietante come poche per almeno tre quarti della durata, risulta essere uno dei migliori affreschi della discriminazione razziale negli USA – sotto forma filmica – degli ultimi tempi. La sceneggiatura, nonostante qualche soluzione infelice, è solida e riesce a tirar su una storia che tiene incollati fino all’ultimo secondo, regalando anche qualche colpo di scena memorabile. Le interpretazioni di Kaluyaa – che riesce a mascherare ottimamente le origini inglesi – e Williams – al suo esordio in un lungometraggio – sono a dir poco convincenti.

Jordan Peele, confezionando un prodotto simile, dimostra ancora una volta che in quest’epoca i comici hanno capacità di analisi sociale migliore di quella delle classi dirigenti di mezzo mondo.

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