Non c’è nulla – ma in realtà c’è anche tutto – di nuovo in questo particolare capitolo della saga cinematografica Marvel, ormai arrivata al suo 21esimo appuntamento. Certamente la prima cosa da tenere in considerazione è che, in risposta al successo della DC con Wonder Woman (nonché all’ondata del #MeToo), Captain Marvel è il primo film della casa di fumetti del compianto Stan Lee affidato totalmente all’omonima eroina femminile. E questo, nonostante il tentato boicottaggio virtuale ad opera dei leoni da tastiera, sembra pagare: la pellicola è risultata il miglior incasso della storia per un film con una protagonista donna nel solo weekend d’apertura.
Captain Marvel racconta la storia di Vers/Carol Danvers (Brie Larson), una combattente che vive su Hala, capitale dell’impero militarista galattico dei Kree, addestrata dal generale Yon-Rogg (Jude Law) a tenere a bada le proprie emozioni per controllare i suoi stupefacenti poteri. Quando in un’imboscata è catturata dagli Skrull, nemici mutaforma dei Kree, essa verrà sottoposta ad un’indagine cerebrale che le farà riaffiorare ricordi perduti di un passato dimenticato. Vers riuscirà a liberarsi, ma nella fuga sarà scaraventata sulla Terra (negli anni 90), sulla quale si troverà a fare i conti con quello che è e quello che è stata, scoprendo che non tutto ciò che le era stato raccontato coincideva con la verità.
Captain Marvel, per collocazione temporale all’interno del MCU (cioè prima del fatidico Avengers: Endgame) e per centralità del personaggio, finora sconosciuto, ha molto da gestire e da dover “spiegare”. Eppure non lo fa nel modo che ci aspetteremmo: il film inizia in media res, con una Vers già alle prese con i suoi straordinari poteri e con la gestione degli stessi, cosa effettivamente inusuale per un film individuale di presentazione del personaggio. La parte di formazione personale viene ripresa dal film all’inverso, tramite flashback e ricordi che la stessa Vers è chiamata a riunire, attraverso un viaggio alla ricerca di se stessa. D’altra parte non dobbiamo dimenticare l’insegnamento principale che l’ondata di cinecomics degli anni 2000 ci ha lasciato: i poteri del supereroe (o qui, della supereroina) non valgono nulla se non sono sostenuti da una piena consapevolezza di se stessi.
La pellicola nel complesso, pur non apportando alcuna innovazione di grossa portata (se non sul piano squisitamente narrativo), si rivela molto solida, a tratti quasi prevedibile nei suoi esiti. Captain Marvel, forse anche a causa del suo essere molto votato più alla spiegazione che al racconto, scivola dritto fino alla fine senza riservare grossi colpi di scena allo spettatore, rivelandosi un film integro e compatto.
E integra e composta è anche e soprattutto la stessa Carol Danvers/Brie Larson. L’attrice riesce infatti ad essere il volto più adeguato per Captain Marvel, un’eroina dai poteri straordinari – non c’è un singolo momento del film in cui lo spettatore pensa che Danvers non possa sconfiggere il nemico – che riesce ad essere, però, totalmente ancorata con i piedi a terra. Larson dà al suo personaggio il giusto mix di determinazione e velata empatia, goffaggine e abilità fisica, rendendo il tutto con estrema semplicità, forse la caratteristica più peculiare (in senso buono) di questa Captain Marvel cinematografica.
Più o meno azzeccati sono anche gli altri co-protagonisti. Jude Law lavora di fino per creare un personaggio ambiguo, piacente e distaccato allo stesso tempo, che, nonostante l’importanza narrativa datagli dal suo ruolo di tramite tra Danvers e l’imperatore Ronan, viene completamente eclissato (non solo metaforicamente) dalla presenza di Captain Marvel. Troviamo invece un Samuel L. Jackson, digitalmente (ben) ringiovanito, che ci offre un Nick Fury molto più ammorbidito rispetto alla sua solita veste di “agente dei supereroi” e alle prese con la pianificazione del “progetto Avengers”. Di rilievo risulta essere anche la duplice interpretazione di Ben Mendelsohn che incarna sia i panni umani di Keller sia quelli Skrull di Talos: modellando abilmente l’accento, statunitense per il capo dello S.H.I.E.L.D. e australiano per la razza aliena, riesce a creare empatia e punte di comedy godibile anche sotto una maschera, che questa volta è del tutto “analogica”.
Per questi e altri dettagli Captain Marvel ci sembra essere un film altamente misurato, e anche abbastanza furbo, sia per la sua scrittura che per la sua produzione. È infatti abile nel toccare tematiche in voga nella contemporaneità mediale e culturale: dalla nostalgia degli anni ’90 al citazionismo più smaccato, dalla metafora politica al problema della migrazione. E come se ciò non bastasse, il film attinge a piene mani dal repertorio consolidato dei franchise di proprietà Disney. Tra gli esempi più evidenti: le battaglie galattiche alla Star Wars; le canzoni nostalgiche editate sugli scontri corpo a corpo, come in Guardiani della Galassia anche se qui con esiti molto meno efficaci; o le battute di spirito inserite per smorzare qualunque situazione di pathos, tratto che ormai la casa di Topolino sta facendo propagare a macchia d’olio in qualsiasi sua produzione.
D’altro canto è anche sbagliato voler giudicare questo film con i soliti parametri dei calssici film Marvel stand-alone. Captain Marvel, infatti, si colloca alle porte di Avengers: Endgame e come tale è chiamato a unire e fare da tramite, quindi a dover riempire più buchi di informazione possibile. In un certo senso, esso funziona quasi come un episodio di una serie tv, il penultimo prima del season finale che avremo di qui a pochi mesi. Insomma, più che un capitolo a sé stante, Captain Marvel si afferma come una tappa fondamentale, un necessario rito di passaggio di un percorso durato ben 11 anni e che si sta (solo temporaneamente) per chiudere in attesa di un’altra entusiasmante stagione.
Siamo sicuri dunque che lo andrete a vedere e pure che, al di là di qualsiasi critica gli si possa muovere, ve lo godrete parecchio! Alla fin fine sentire rombi di motore e colpi di pistole laser mischiati ai REM e ai Nirvana è comunque un’esperienza da provare!
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