“…stavolta abbiamo anche il protagonista che osserva di più sé stesso, identificandosi; una specie di matrioska. Siamo tutti un po’ BoJack Horseman, come si dice sempre; quando cambieremo? Quando cambierà?”.
Partiamo da un’affermazione semplice e banale, quasi scolastica: la quinta stagione di BoJack Horseman è bella. Molto bella. Non rappresenta, tuttavia, la migliore in assoluto dello show; rappresenta, invece, quella della definitiva consacrazione di una serie che ormai è destinata a rimanere nella storia del piccolo schermo. Una serie all’apice della sua maturità.
È scritta in maniera equilibrata e costante. Sfrutta al massimo i suoi punti di forza: l’incapacità patologica del protagonista di non ripetere sempre gli stessi errori, l’incapacità di Diane di trovare la propria strada e la felicità, l’eccentricità di Todd; e ancora la satira e il sarcasmo a dare colore e vivacità al buio e alla morte interiore degli immobili personaggi. A tratti, poi, ci delizia con improvvisi picchi emotivi e cambi di ritmo, come sempre. Raphael Bob-Waksberg sfrutta tutto il potenziale di un prodotto che sapeva essere già funzionante, senza stravolgere nulla, ma con maggior dimestichezza e con idee sempre abbastanza fresche. Sa che, senza cambiare gli schemi, ormai non può più sbagliare.
È sempre il solito BoJack Horseman da un punto di vista narrativo e nella costruzione dei personaggi; è per questo che funziona, ma è anche il motivo per cui non si può considerare la miglior stagione in assoluto. Si può considerare, piuttosto, una piacevole conferma in linea con le aspettative e con la media dei lavori precedenti; quest’ultima, ovviamente, è una riflessione positiva. Ha un pizzico di maturità in più, ma manca qualcosa nello sviluppo dei personaggi intorno a BoJack – come vedremo più avanti – e, forse, un pizzico di presa emotiva in alcuni momenti cruciali.
Il mondo di BoJack
La quinta stagione di BoJack Horseman presenta tre episodi particolarmente qualitativi – il secondo, l’undicesimo e il sesto. Quest’ultimo è il più coraggioso e innovativo: praticamente è un cinico spettacolo di stand-up comedy. Non era facile scrivere un monologo di venti minuti senza annoiare mai; l’esperimento è riuscito e non è affatto banale. Viene condensato, in pochissimo tempo, tutto il mondo di BoJack: l’egocentrismo, l’esigenza di essere visti, il rapporto malsano con i genitori, le pillole, la ricerca d’affetto e di attenzioni. Uno dei migliori episodi di tutti.
Il punto di non ritorno, quello in cui tutto crolla, viene raggiunto, come sempre, con la penultima puntata che rappresenta anche il momento di maggior intensità emozionale; è proprio qui che gli autori erano chiamati a dare il massimo, è proprio qui che BoJack Horseman non riesce a superarsi. L’undicesima puntata di ogni stagione è fondamentale. Quella della quinta, seppur innovativa e riuscita, non è la migliore fra tutte le undicesime. Sembra mancare qualcosa, perché appare come qualcosa di già visto e già troppo apprezzato; è semplicemente il solito toccare il fondo del barile.
L’idea di confondere lo show di Philbert e la vita reale del protagonista, con finti toni da poliziesco, è in effetti geniale; ma qui siamo più nel campo dell’innovazione e della fantasia registica. Il musical ci propone la possibilità di vivere un po’ tutto il mondo interiore di BoJack, anche se in realtà già lo conoscevamo. Fatto molto bene. Ottimo, ma la morale? Sempre quella: è lui che crolla. Nulla di nuovo, come dicevamo. Però piace, ed è giusto che sia così.
Fatto sta che BoJack prova a cambiare, con scarsi risultati. Il tentativo di bere di meno è già qualcosa; la droga è sempre troppa. Il meglio di sé lo tira fuori con la sorella, sua più grande spinta e motivazione. Più di ogni altra stagione, l’ex attore di Horsin’ Around è chiamato a guardarsi allo specchio per cercare di crescere; Philbert, il poliziotto che interpreta nel suo nuovo show, è il suo alter ego. È questo che, complici le pillole, lo portano a non capire più nulla.
Se il successo di BoJack Horseman è legato all’identificazione dello spettatore nel protagonista, stavolta abbiamo anche il protagonista che osserva di più sé stesso, identificandosi; una specie di matrioska. Siamo tutti un po’ BoJack, come si dice sempre; ma quando cambieremo? Quando cambierà? Sembra essere questo il messaggio lanciato dalla quinta stagione. Serve un colpo di reni, un sussulto, o chissà cosa; un elemento indefinito che tarda ad arrivare. Il coraggio di guardarsi dentro, però, potrebbe essere un inizio. Noi spettatori lo facciamo grazie a lui… e se iniziasse a farlo anche lui stesso?
Lo sviluppo degli altri personaggi
Todd è sempre lo stesso: eccentrico, buffo, inconsapevole. Anche lui sta cercando la sua collocazione nel mondo; si ritrova, senza volerlo, a ricoprire un’importante carica lavorativa. Le vicende legate a lui non sono quelle che fanno più presa, ma sono semplicemente le più semplici e ingenue. Lo sviluppo di Mr. Peanutbutter è convincente: l’episodio che ripercorre tutti i suoi matrimoni, giocando e saltellando vivacemente su quattro linee temporali, è un altro piccolo gioiello.
È su Diane che sorge qualche dubbio in più. Il rischio è che, continuando così, il personaggio della giovane giornalista venga un po’ appiattito. L’errore è stato quello di concederle meno spazio del solito, attaccandole addosso l’identità di ex moglie solitaria e stampella a sostegno di BoJack, nel bene e nel male. È un po’ come se la funzione principale del personaggio, in questa stagione, sia quasi solo quella. Così perde un po’ di indipendenza. Dispiace, visto l’enorme potenziale di un carattere interessante ed infelice quanto il suo co-protagonista. Procede troppo poco, per il resto, la sua storia e la sua identità. Il secondo episodio, dedicato al suo viaggio in Vietnam, è comunque uno dei migliori e affronta “il lutto” del divorzio in maniera abile; lascia l’illusione che il suo proseguo sarebbe stato più ricco di sfaccettature.
Anche Princess Carolyne appare un po’ bloccata. Determinata e dinamica sul lavoro come sempre, nonché opportunista, tenta nella vita privata di adottare un bambino con qualche difficoltà; per la prima volta, vediamo il suo passato di adolescente. Esso non coinvolge quanto quello di BoJack o di Diane, visti nelle stagioni precedenti.
Qualche difetto era possibile trovarlo; BoJack Horseman, però, è riuscito ancora una volta. Se continua sulla falsa riga delle stagioni precedenti, aggiungendo sempre un po’ di coraggio in più – vedi il sesto episodio – allora significa che ci metterà ancora molto a stancare gli spettatori. Un prodotto che potenzialmente potrebbe non esaurirsi mai.
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