Alcune licenze poetiche per Bohemian Rhapsody, che mette in scena l’esaustiva parabola di una band e, di un uomo, che hanno fatto la storia della musica.
Come di consueto, prima di scrivere una recensione sono solito andare a leggere cosa ne hanno scritto alcune testate autorevoli. Nel caso di Bohemian Rhapsody, un film acclamato dal pubblico e che ha incontrato davvero poche e ritrose critiche, ho avuto modo di notare la scelta di affidarne talvolta la recensione a Musicisti o Critici Musicali. Una scelta rischiosa che ha, prevedibilmente, imboccato la via della critica alla ricostruzione storica, all’aneddotica e alla verosomiglianza dei protagonisti.
Una scelta condivisibile se si fosse trattato di un docu-film. Ma Bohemian Rhapsody non lo è: è un biopic musicale che risponde a ben altre logiche che abbiamo già avuto modo di illustrare in questo focus: Biopic musicali : La musica, La biografia, il romanzo, il mito. Viaggio tra le biografie d’artista.
Come è spiegato nel suddetto focus, occorre fare una doverosa distinzione tra docu-film e film biografico:
“Si ritiene film biografico la rievocazione più o meno romanzata della vita e delle vicende di personaggi realmente vissuti. L’aspetto romanzesco, benché faccia storcere il naso a qualcuno, è fondamentale nella distinzione tra documentario e film biografico, poiché, tenendo in considerazione la centralità del tempo e del suo decorso in un racconto biografico, una rappresentazione pedissequa dei fatti narrati non solo incorrerebbe nel rischio della pedanteria, ma la narrazione finirebbe per essere dispersiva e relativamente, poco fluida”.
Assolutamente ammissibile che un fan dei Queen noti delle incoerenze in una storia che conosce approfonditamente, ma alcune di quelle incongruenze sono state scelte funzionali alla narrazione che è necessario mettere in luce.
Innanzitutto il titolo Bohemian Rhapsody, non è soltanto uno dei più grandi successi della band ma è una importante chiave di lettura per comprendere le tre macro-sequenze di cui si compone la narrazione: “C’è una intro iniziale di grande effetto, una parte centrale drammatica e quasi operistica, ed un energico finale molto rock” (Movieplayer).
Il film, inoltre, fa riferimento al percorso intrapreso da un giovane immigrato, Farrokh Bulsara, per riscattarsi dalle proprie origini e intraprendere una strada di grandezza, molto distante dalle modeste prospettive della sua famiglia. Un’esigenza che si cristallizza nella scelta del nome che lo consegnerà alla gloria eterna, Freddie Mercury e questa, è una delle interpretazioni assegnate alla canzone che intitola il biopic. L’altra, accreditata interpretazione di Bohemian Rhapsody attiene alla presa di coscienza di una bisessualità di Mercury. Entrambi questi temi trovano molto spazio in Bohemian Rhapsody, il film. Qualcuno sostiene che alla vita sessuale di Freddie Mercury si sia dedicata eccessiva attenzione, consegnandone la caricatura di un giovane dall’inarrestabile appetito sessuale, intento all’affannosa ricerca di amore e consenso.
La struttura narrativa di Bohemian Rhapsody contempla non un solo Freddie Mercury, ma ben due: caratterizzati nell’aspetto. Il primo Freddie Mercury è il sognatore entusiasta, il ragazzo intraprendente che attraverso incredibili prodezze e intuizioni geniali, porta gli Smile a diventare i Queen. Questo primo Freddie Mercury lo riconosciamo dai capelli lunghi, dall’impulsività e dai sentimenti genuini che lo legano alla compagna Mary Austin. Questa fase, che potremmo definire “intimista” – poiché in essa osserviamo la crescita del giovane musicista Mercury attraverso le sue interazioni con i membri della band, i produttori, il tour e l’affacciarsi della sua bisessualità – si conclude idealmente nel racconto emozionato di quel duetto con il pubblico, sulle note di Love of my Life.
Il secondo Freddie Mercury nasce sulle ceneri dell’intimismo, quando lo sguardo del cantante comincia a rivolgersi costantemente verso l’esterno: la mondanità, il pubblico, il successo e le conseguenze che da esso derivano. Il secondo Mercury è ancora vanesio ma in maniera meno lucida e svampita: è una prima donna. Taglio corto e i baffi della leggenda, inaugurano Freddie la star, con uno stile di vita eccessivo e l’ansia di riempire il vuoto con la vacuità delle feste, della vita sregolata, degli incontri frivoli. E, in questa fase, la sceneggiatura si arroga ben tre licenze poetiche sulla realtà storica di Freddie Mercury e dei Queen.
Se la prima fase finisce con il duetto di Love of my Life, la seconda si apre con l’espediente ritmico di We will rock you proposto da Brian May, che ha lo scopo manifesto di ottenere un maggiore coinvolgimento del pubblico e ripetere la magia di Love of my Life.
Sappiamo bene che We Will rock you è del ’77, mentre il nuovo look di Freddie invece, inaugura gli anni ’80. Perché questa scelta? Come già suggerito, il nuovo aspetto del frontman simboleggia una seconda vita in cui il ragazzo che è stato motore e anima della band, abbandona la visione collettiva per dedicarsi ad un’affermazione egoistica di se stesso. Il riscatto è avvenuto ma Mercury si sente ancora incompiuto, insicuro e all’inesausta ricerca di rassicurazioni.
Mary è andata via e al suo posto c’è un altra persona a prendersi cura di lui e del suo successo: il manager, Paul Prenter che qui assume il ruolo dell’antagonista, del manipolatore, causa di proverbiali equivoci nonché dissapori tra i membri della band. Dissapori che sono riportati dalla cronache mentre, lo scioglimento dei Queen è a tutti gli effetti un falso storico. Nella scelta di pubblicare un album da solista Freddie Mercury fu infatti anticipato dai colleghi Brian May e Roger Taylor, ma quella scena, rappresenta un momento fondamentale per la costruzione della trama, poiché rappresenta il crollo morale del protagonista.
Bohemian Rhapsody presenta lo scioglimento dei Queen come il viaggio del Figliol Prodigo nella perdizione più completa, tra bagordi e malconsiglieri, fino alla malattia che gli sarà fatale. Non stupisce, infatti, che la parabola della redenzione di Freddie Mercury inizi con l’allontanamento dell’antagonista, l’ammenda e il riconciliamento con i colleghi che rappresentano la famiglia: il genitore severo e il genitore accogliente, la ricerca del vero amore (Jim Hutton), la visita alla famiglia e l’accettazione esplicita dei moniti paterni e in conclusione o meglio, in assoluzione, il concerto di beneficenza – Il Live Aid.
L’ultima licenza poetica che il Regista Bryan Singer ci consegna, riguarda la malattia e la confessione della stessa alla band, che non avverrà prima del 1989.
Se la sceneggiatura di Anthony McCarten e Peter Morgan, ci ha condotti fin qui, adesso è il momento di una suggestiva performance registica, quanto interpretativa, nella realizzazione della scena del concerto. Curata fedelmente e nei minimi dettagli la partecipazione della band al Live Aid: in essa non solo svettano le capacità di Rami Malek che, da mesi ci rende sospiranti dinanzi alle foto promozionali del suo umanissimo Freddie, ma niente affatto secondaria è la riproduzione pedissequa e maniacale della scenografia.
La riproduzione esatta del concerto forse pecca di eccessivo didascalismo, ma trova giustificazione in uno sguardo globale sul lungometraggio, che ha spesso scelto di sacrificare le esecuzioni musicali per concedere più spazio al romanzo di Freddie Mercury e dei Queen.
Come ammesso dallo stesso Rami Malek, la sua voce è stata sapientemente ibridata con le registrazioni originali del frontman dei Queen e la voce del cantante canadese Marc Matel.
La presenza di Brian May e Roger Taylor come Produttori Esecutivi, ha probabilmente un ruolo in un certo taglio buonista e incolpevole della band di fronte alle intemperanze del loro leader, ciononostante nulla è tolto a Freddie Mercury e alle sue straordinarie doti di animale da palcoscenico.
Bohemian Rhapsody è un film ben scritto che non può non esaltare lo spettatore, persino il più critico e, se si lasciano da parte le inesattezze, è possibile godere di un biopic profondo e divertente, che si annunciava come la storia purgata di Freddie Mercury e si rivela, sorprendentemente, la storia dei Queen e del loro carismatico leader.