L’industria televisiva è sempre in crescita. All’interno del grande calderone di produzioni del piccolo schermo, quest’anno hanno avuto un ruolo fondamentale le miniserie drammatiche. Abbiamo selezionato le migliori miniserie del 2018.
Abbiamo premiato soprattutto la capacità di innovare e sperimentare, prima ancora della qualità di scrittura che è comunque importante.
Siamo di fronte a una tipologia di prodotto abbastanza diverso rispetto alla serie televisiva classica. Non c’è una definizione ufficiale e assoluta di miniserie; in linea di massima, sono delle brevi serie – nel numero di episodi e di minutaggio – con una stagione sola (questo non vuole dire che non possano decidere di farne anche una seconda, ma è raro). A volte sembrano dei lunghi film, più che delle brevi serie. O qualcos’altro ancora.
Anche premi importanti come Emmy e Golden Globes, infatti, hanno una categoria a parte.
La scelta delle opere inserite è a cura della redazione di CiakClub. Quest’anno, abbiamo deciso di escludere a prescindere le miniserie dalla classifica generale dei migliori show televisivi del 2018, dedicando un focus a parte a questo particolare tipo di opera. La classifica generale, che dunque esclude le miniserie evitando paragoni forzati, la trovate qui.
Procediamo, senza ulteriori indugi, con le 5 migliori miniserie del 2018. Ve ne andiamo a parlare elencandole in ordine di uscita e non di preferenza. Non è una classifica.
American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace (FX/Fox Crime)

L’assassinio di Gianni Versace prosegue il percorso di American Crime Story iniziato sulla vicenda di O.J. Simpson con grande qualità e personalità. Tom Rob Smith, con l’immancabile Ryan Murphy, ci presentano un prodotto ambizioso che non chiude e non si esprime con chiarezza lasciando nell’ambiguità i facili giudizi. Ci mostrano un’America succube del suo Status Symbol di terra promessa e accerchiata nelle sue mille ipocrisie.
Nell’ultimo episodio non mancano i riferimenti all’inettitudine dimostrata dalle forze dell’ordine da una parte ed alla grande omofobia dall’altra. Indubbiamente si può dichiarare l’operazione riuscita, L’assassinio di Gianni Versace regala al pubblico alcuni degli episodi più disturbanti della storia della televisione (ad esempio La Casa sul Lago) all’interno di un percorso melodrammatico ben equilibrato.
Indubbiamente i difetti non mancano, ma davanti a questa grande ambizione e ad una tale cultura per il “bello” non possiamo che ritenerci soddisfatti. La vicenda di Andrew Cunanan, siamo sicuri, rimarrà negli spettatori per molto tempo, grazie ad un grande lavoro di scrittura e ad una delle migliori interpretazioni degli ultimi anni da parte di Darren Criss.
Commento di Giacomo Lenzi.
Patrick Melrose (Showtime/Sky Atlantic)

Patrick Melrose è un borghese britannico vittima di alcol e droghe. La sua traumatica infanzia, con dei genitori terribili, l’hanno portato in un tunnel da cui sembra impossibile uscire. Lo show racconta la delicata storia psicologica e di vita dello scrittore dei romanzi, Edward St. Aubyn, da cui è tratto questo lungo e complesso film autobiografico. Ognuno dei cinque capitoli racconta una fase diversa della vita di Patrick e delle sue donne, sua moglie, i suoi figli, sua madre e suo padre.
Benedict Cumberbatch non ha bisogno di presentazioni. La sua interpretazione in Patrick Melrose è una delle migliori della carriera. Eleva la qualità dello show, che di per sé è già molto buona, con la sua elegante e sarcastica interpretazione di questo personaggio. La sua versatilità gli permettere di essere un bambino nel corpo di un adulto, un uomo, un tossico e un genitore; soprattutto, un animo sensibile che soffre molto.
Ottime anche le interpretazioni dei genitori: Jennifer Jason Leigh e Hugo Weaving. Patrick Melrose è stata candidata agli Emmy come miglior miniserie. Di livello anche la duttile regia di Edward Berger, che passa da contesti dell’alta società e lunghi piani sequenza ad ambientazioni di campagna secche e più statiche, inserendo sempre un po’ di british humor. Ad accompagnarlo c’è la spettacolare fotografia di James Friend.
Commento di Tiziano Angelo.
Sharp Objects (HBO/Sky Atlantic)

Sharp Objects racconta la storia di una giornalista con problemi psichiatrici. Dopo un ricovero, Camille torna per lavoro nella cittadina dove è cresciuta; deve indagare sul brutale omicidio di due bambine. Torna, così, a vivere nella casa della madre ricca e della sua sorellastra minore, che non vedeva da quando era piccola. Amy Adams è la convincente interprete delle protagonista. Emergerà un passato inquietante legato a questi tre personaggi e alla cittadina di Wind Gap, un passato che costringerà Camille a fare i conti con i suoi traumi e la sua infanzia.
Jean-Marc Vallè si occupa della regia dei sei episodi, dopo aver diretto l’anno scorso l’acclamata Big Little Lies. Anche stavolta, il suo lavoro è eccellente: così come nella sua precedente opera, il tema è quello di un racconto visto da occhi femminili – con i personaggi maschili che hanno solo una funzione di supporto narrativo. Wind Gap, così come Monterey, è una cittadina borghese in cui il pettegolezzo e la spettacolarizzazione degli eventi privati diviene fondamentale.
Sebbene la scrittura del thriller/giallo non funzioni sempre, Sharp Objects costruisce la psicologia inquietante di tre donne, legate tra loro, ottimamente. Si avvale di grandi interpretazioni e di virtuosismi di montaggio e montaggio sonoro, curati sempre da Vallè, che attraverso fitti incastri e un cucito di passato e presente, un contenitore della fantasia di Camille e la realtà, va a creare un legame fortissimo con lo spettatore. Una serie che trasmette angoscia fino all’ultima sorprendente battuta.
Commento di Tiziano Angelo.
Maniac (Netflix)

Maniac, creata e diretta da Cary Fukunaga (Beasts of No Nation, True Detective) con l’aiuto di Patrick Somerville è difficilmente iscrivibile in un genere specifico. Ciò che si può apprezzare di questa miniserie sono senz’altro le interpretazioni dei personaggi principali: Owen e Annie. Lui, un Jonah Hill visibilmente dimagrito che riflette perfettamente il dramma del suo personaggio (schizofrenico e non accettato dalla famiglia), nonostante sia sempre stato lodato per i suoi ruoli comici come in The Wolf of Wall Street o Trafficanti. Lei, Emma Stone la cui interpretazione di una tossicodipendente gravata da demoni personali ricorda molto quella in Birdman.
I due si trovano entrambi a partecipare a una sperimentazione farmaceutica di tre pillole che avrebbero lo scopo di far superare i traumi psicologici. Lui vi partecipa per soldi, lei perché è dipendente dal farmaco che sarà somministrato. Lodevoli anche Justin Theroux nei panni di James, lo scienziato che ha ideato il farmaco e Sonoya Mizuno, nei panni dell’assistente Azumi che fuma sigarette in loop.
Ciò che affascina è anche GRTA, il computer super avanzato costruito appositamente per analizzare i sogni che i pazienti faranno. Chiara citazione a Hal (2001: Odissea nello Spazio) per il sovvertimento della tecnologia contro il volere umano.
Nota dolente di questa miniserie è il finale. Nonostante la volontà del regista di offrire un lieto fine sia comprensibile e accettabile, il modo in cui accade sembra un po’ forzato, tanto da far sorgere la domanda: è davvero necessario?
Commento di Marta Caterina Cabra.
The Romanoffs (Amazon Prime Video)

Il leggendario creatore di Mad Men, Matthew Weiner, torna con una serie di 8 episodi. The Romanoffs è un’opera antologica, cambia personaggi in ogni puntata; il filo comune fra tutti – nonché la tematica – è quella di essere dei discendenti, o presunti tali, della famiglia reale dei Romanov ed essere sparsi in varie zone del mondo. Questa serie è risultata deludente solo a chi si aspettava la qualità del capolavoro precedente di Weiner, impossibile da ripetere, o da chi ha ascoltato troppo Amazon Video che l’ha pompata come evento del secolo. Esclusi questi preconcetti, la verità è che The Romanoffs è un’ottima serie, sebbene dia la sensazione di avere un potenziale inespresso.
Esteticamente e formalmente è perfetta: raffinata, elegante, avvolgente; scenograficamente magnetica e dai tempi di montaggio precisi come un orologio. A livello di regia è incredibile. È nella scrittura che manca qualcosa, invece; ogni episodio è scritto bene, ma la trama di alcuni capitoli – non tutti – manca un pizzico di incisività e non convince sempre nella capacità di rendere bene il tema principale. I personaggi, però, sono costruiti bene e la sapiente penna di Weiner decide di svilupparli attraverso ampi respiri, dandogli circa un’ora e mezza per conoscerli e poi abbandonarli. Con ritmi non serrati. Questo è il fascino contro il binge-watching.
Eppure, ciò che affascina di più della scrittura di The Romanoffs, è come Weiner fa relazionare le persone fra loro (non i personaggi, le persone, sottolineiamo). La fitta rete di relazioni umane, così come nell’agenzia pubblicitaria di Mad Men, è una delle cose che l’autore sa costruire meglio. Alcuni episodi, ovviamente, sono molto belli e altri un po’ più sottotono. Il migliore è sicuramente il settimo, Endstation. Una serie non perfetta, ma che vale decisamente la pena di vedere.
Commento di Tiziano Angelo.