Il Padrino, l’opera di Francis Ford Coppola, dai romanzi di Mario Puzo e restaurata per il cinquantesimo, compie 51 anni. Tre Oscar: il film, nella sua brutalità, è un’epopea su vita, scalata sociale, morte, il tutto con un tono sacrale.
La storia di una famiglia italo-americana, Don Vito Corleone, (Marlon Brando, fresco delle critiche a Ultimo Tango a Parigi), il figlio, Michael, (Al Pacino), che ripudia la Famiglia, lo scagnozzo Luca Brasi, e un’ America che cambia, persino per le organizzazioni criminali, che avevano fatto fortuna con il contrabbando nel proibizionismo, e che si affacciano verso il racket delle droghe.
Per Corleone, invece, la caduta dal trono di un capo rimasto legato al modello mafioso siciliano. Inizia una discesa in stile Macbeth che porterà ad un attentato alla sua persona e all’ingresso di Michael negli affari.
Il Padrino: rappresentazione fedele della mafia?
Il poster del film riporta una mano che, come un burattinaio, tende cinque fili: sono le Cinque Famiglie di New York, e in questo, c’è aderenza con la realtà: Corleone, Tattaglia, Stracci, Cuneo e Barzini, sono il riflesso delle vere Famiglie: Gambino, Genovese, Colombo, Bonanno, Lucchese. Tuttavia, la guerra che si scatena nel film, purtroppo o per fortuna, non avverrà nella realtà.
Il merito, si fa per dire, ricade su Lucky Luciano e la creazione della Commissione nel 1930, un ente paramilitare destinato a sopravvivere agli arresti dei singoli don e a dominare l’anarchia nelle Famiglie.
Il Padrino e l’impatto sulla criminalità organizzata

“Gli farò un’offerta che non può rifiutare”. “Gli amici tieniteli stretti…ma i nemici, anche più stretti”. “La vendetta è un piatto che si gusta meglio freddo”. Non detti popolari: sono tutte frasi, a detta di Coppola, uscite dalla madre di Mario Puzo. Pensiamo insomma al soggetto, un Corleone al femminile.
La vera mafia, però, inizia a fare proprio quel modo di parlare, vi si identifica e modifica se stessa. Prova orgoglio nell’immolarsi a quel modo di vestire anni ‘20. Un modo elegante che fino ad allora veniva associato solamente a John Gotti, chiamato The Dapper o The Teflon Don per via dei tessuti che sfoggiava.
Per Brando, l’intuizione geniale dei pezzi di carta in bocca per somigliare a un bulldog e parlare velatamente, per la criminalità, un codice. Come la toga nera evoca ufficialità in una corte americana, quella rappresentazione fu un modo altro per comunicare in strada la propria affiliazione. E lo si fa in anni in cui la criminalità cercava un modo alternativo per comunicarlo, uscita sconfitta dalle RICO laws degli anni ‘70, (che sancivano il reato di associazione).
Il processo di spettacolarizzazione mediatica
Wiseguys come Sammy The Bull Gravano, (che dichiarò di aver visto il film da adolescente e di aver deciso così di aderire alla criminalità), custodivano in casa centinaia di copie del film. E ballavano sulla colonna sonora ai matrimoni.
La spettacolarizzazione mediatica dei mafiosi, anche inclusi in produzioni cinematografiche, aveva avuto inizio e spesso serviva lo stesso scopo, per così dire, “informativo”. Persino Lenny Montana, Luca Brasi nel film, ex wrestler, aveva lavorato con la mafia.
E quando un giorno, durante le riprese de Il Padrino – Parte II, Gotti si presenta all’assistente di Coppola per poterlo conoscere, questi ricorda le parole di Puzo, di non avere alcun tipo di contatto con quelli che definisce vampiri, “I quali secondo tradizione non possono varcare la soglia di casa tua a meno che non li inviti”.
Rivoluzioni cinematografiche, legacy e pop culture
Quante volte il cinema ha plasmato la realtà? Pensiamo solo a Á bout de souffle, alla Nouvelle Vague e all’influenza sui canoni del tempo. E qui il discorso si sposterebbe sul cinema che modifica se stesso come metacinema. Ma possiamo rimanere sul piano dell’attualità, con l’impatto sociale che film come Sulla mia pelle di Cremonini hanno avuto nel caso Cucchi.
Cosa rimane 51 anni dopo Il Padrino? Tanto, tantissimo. Dalla cultura pop che lo ha riproposto nei modi più disparati, pensiamo Phil Dunphy (Modern Family) che giura di rinunciare a Satana come Michael Corleone, allo spicchio d’arancia in bocca al Padrino raffigurato nei Simpson. E poi la musica, con The Godfather Theme ripresa in solitaria da Myles Kennedy e Slash.
Ma soprattutto, rimane uno spartiacque nella storia del cinema. Ispirazione per serie quali The Sopranos nel parodizzare la figura del mafioso psicanalizzato e in preda agli attacchi di panico.
Il Padrino, scritto con nozioni che Puzo dichiarò di aver udito a Hell’s Kitchen, ha creato l’idea di un certo tipo di italo-americano, nostalgico e pervaso dagli stereotipi che lo raffiguravano come dago (lavoratore a cottimo -da until the day goes – o mafioso, per altri – da dagger, pugnale).
Ma ha anche fatto infuriare The Voice in persona, Sinatra, con la raffigurazione del cantante affiliato Johnny Fontane. E Il Padrino fece tutto questo con una semplicità abissale, perché forse è questo il modo di trattare quei temi che altrimenti, rischierebbero di inghiottire ogni cosa.