La continua ricerca della perfezione, unita alla forza dell’innovazione, hanno portato alcuni autori del panorama cinematografico a interrogarsi su come mostrare tematiche scomode o trattate superficialmente, in maniera radicalmente diversa.
Un tema che è sempre stato motivo di curiosità e indagine è quello della violenza. Come rendere la violenza credibile sullo schermo? E come si può snocciolare in ogni sua sfumatura questa tendenza che risiede nelle profondità dell’essere umano, che spesso unita alla capacita immaginifica delle persone, la rende terribilmente cruda e dolorosa?
Difficile scegliere di trattare l’argomento senza pensare a due dei più grandi registi che hanno saputo enucleare la sua quinta essenza, per poi sbatterla in faccia al mondo intero. Stiamo parlando dei due geni del cinema Stanley Kubrick e Quentin Tarantino. Come tutti ben sappiamo, il tema della violenza è ben presente ed evidenziato in molte delle pellicole dei due colossi del cinema. E grazie alla loro scrupolosità nel prendere in esame i lati oscuri che si celano nelle menti, i due hanno realizzato una vera e propria antologia del terrore, che viene portata avanti a colpi ben sferrati e terrorismo psicologico.
Di certo è un’impresa assai ardua porre a confronto la poetica di Kubrick con quella di Tarantino. Nondimeno si possono analizzare le modalità con cui gli autori esaminano la violenza nelle loro storie.
Mettiamo sulla bilancia due dei capolavori dei registi: Arancia Meccanica e Pulp Fiction. Sebbene verrebbe da pensare che entrambi sono film molto violenti, bisogna ammettere che in ambo i casi, le situazioni veementi non si verificano mai se non appena accennate. Se si provasse a confrontare uno di questi due film con Taxi Driver di Scorsese, ci si renderebbe conto che la brutalità della scena finale capitanata da De Niro è ben più vera di qualsiasi delle scene di queste due opere. La differenza sostanziale tra il film di Kubrick e quello di Tarantino, sta nel fatto che se per Arancia Meccanica la violenza esiste ma viene usata per portarci allo stato di follia e di paura del protagonista, in Pulp Fiction è vera la regola per cui una pistola vista nel primo atto, sparerà di certo entro la fine del terzo.
E sta proprio in questo limbo la discrepanza tra i due. Mentre Tarantino non ha paura di mostrare violenza, Kubrick vuole portarci in quel posto della nostra mente in cui risiede il terrore che quella violenza possa esistere.
Quentin ama far accadere le cose che si paventano. Nei suoi film la violenza è trattata naturalmente e in modo che sia sempre giustificata. Non teme la coercizione e vuole che la brutalità segua l’ordine logico degli avvenimenti. Nei suoi film infatti, ogni cosa è impostata con minuzia seguendo il fine ultimo della storia. Perciò se la trama prevede una situazione di violenza, Tarantino non si tira indietro e la fa accadere. Nel film Le Iene, il capannone nel quale avviene la vicenda diventa un siparietto adibito a creare tutta la tensione prevista per l’epilogo. La genialità di Tarantino sta nell’utilizzare degli escamotage che contrastano la durezza delle azioni dei personaggi come il distacco con cui Mr Blonde taglia l’orecchio al poliziotto mentre canticchia “stuck in the middle with you”. Altro esempio lo abbiamo in Kill Bill quando Uma Thurman sta per essere torturata da Bill, il quale nel frattempo le illustra il motivo per cui Superman è il più affascinante tra i supereroi.
Per Kubrick invece la violenza è un tema che va affrontato a un livello prevalentemente psichico. In Shining, non accade nulla per molto tempo. Tutto orbita intorno alla follia che attira Jack Torrance a sé. Non viene mai mostrato nessun omicidio, nessun atto osceno di sopruso. L’unico vero atto di violenza fisica avviene nei confronti del cuoco, ed è comunque meno incisivo del terrore che Stanley è riuscito a creare che la moglie e il figlio di Jack potessero essere presi. In maniera ancora più velata, l’impeto e l’aggressività vengono raccontati nell’ultimo film del maestro, Eyes Wide Shut. In questo caso addirittura non si vede mai, assolutamente nulla. Tutto vive ed sussiste in ciò che non si riesce a comprendere ma che minaccia quello che c’è di più caro al mondo. La paura della violenza viene veicolata dalle parole, come se fosse un racconto, ma senza mai esistere nella realtà. Perfino nella sua commedia “Dottor Stranamore” Kubrick utilizza il linguaggio per contagiare il film della paura che l’olocausto nucleare possa avvenire.
Per quanto si parli di un istinto primordiale, reale e inflazionato nel mondo del cinema, questi due autori hanno mostrato al mondo come si possa trattare la tematica della violenza, senza essere banali o inciampare in cliché. E seppur in maniera diversa e con emozioni contrastanti, a pochi amanti della settima arte verrebbe in mente di affermare che la violenza nei film del duo Kubrick-Tarantino, sia ingiustificata e brutta. Tutto ciò che ci è concesso fare è emozionarci, spaventarci, amarli.