Il più grande regista di tutti i tempi, così è definito Orson Welles. Chiunque ha provato a raccontare di lui, dopotutto chi non vorrebbe? Ebbene l’unico in grado di svelare davvero al mondo la complessità di questo immenso personaggio è lo stesso Welles che tra le pagine di un libro e di un film quasi dimenticato ha raccolto le fila della sua carriera. Un processo di svelamento e di autoanalisi portato avanti grazie all’aiuto di un fedele amico cui dobbiamo il famoso libro-intervista ed il completamento di The Other Side of the Wind, Peter Bogdanovich.
Il cinema secondo Orson Welles

Una chiacchierata al bar tra due amici, un’intervista serrata che si sposta da Roma a New York, da Guaymas in Messico ad un piccolo sobborgo in Arizona. Non un incontro casuale ma un’idea ovviamente di Welles, che illustra il suo percorso, a partire dalla passione per il disegno fino alla naturale vocazione culminata con quel capolavoro intitolato Quarto Potere. Il prodigio del cinema si mostra in tutta la sua irriverenza ma anche per la sua insicurezza. Un’artista che appare consumato sin dalla sua opera prima, nato pronto e maturo nello scoprire ogni segreto della macchina cinematografica.
Attraverso un confronto famigliare Bogdanovich lo induce a parlare di teatro, di radio, di commentare ogni sua opera e lo punzecchia nel giudicare i registi che lo hanno formato ed i colleghi contemporanei. Scopriamo quindi la venerazione per John Ford e per il suo Ombre Rosse visto a ripetizione, l’apprezzamento per Charlie Chaplin nonostante non lo facesse ridere ed il suo dissenso verso i film di Antonioni. Un one man show nascosto dietro la falsa modestia del suo “tremendo faccione di luna piena”, privo di una sua Rosebud ma fortemente legato al passato.
Un prodigio dello spettacolo tutto, conscio di aver bruciato un enorme talento, con la consapevolezza di chi era ma soprattutto di chi era stato. Welles è stato infatti in grado di terrorizzare l’America con il suo programma La guerra dei mondi, ha segnato la vita di ogni cineasta a lui successivo con il suo debutto, ma proprio per questo prigioniero di quel successo. Una carriera vissuta rincorrendo e costretta alla fuga in Europa per allontanarsi da quella Hollywood che è città tremenda ma istituzione da rispettare.
The Other Side of the Wind
Tutti questi elementi sono rinvenibili proprio in un progetto che racchiude il lento declino di una figura ingombrante. Un film la cui produzione, proprio come la sua carriera, è fatta di continue interruzioni. Un ultimo lascito che, a differenza del purtroppo solo frammentario Il mercante di Venezia, ha visto la luce grazie all’aiuto di un fedele compagno e allievo. Bogdanovich infatti, a distanza di quasi cinquant’anni, ha risposto alla richiesta dell’amico Welles che lo aveva preallertato nel continuare quest’ultimo lavoro.
Ambientato ad Hollywood, narra l’ultimo giorno di vita di un vecchio regista che nel tentativo di rilanciarsi cerca di terminare il suo ultimo film intitolato The Other Side of the Wind, che purtroppo rimarrà incompiuto. Quello concepito da Welles è un intricato film nel film, un racconto meta-cinematografico complesso, fatto di fitti dialoghi ma anche di lunghi silenzi, in cui la finzione scenica si mescola gioco forza con gli avvenimenti reali.
Una produzione lunga quasi cinquant’anni

Una produzione all’insegna dell’intermittenza, ideata negli anni ‘60, cominciata con le riprese nel 1970 e terminata addirittura nel 1976. Le continue interruzioni a causa di problemi economici e persino politici, hanno fatto sì che il film non venne mai terminato dal suo autore. Un totale di quasi 100 ore di girato, composte anche da più riprese delle stesse scene, una copia di lavorazione con montaggio editing e vari copioni annotati.
Una sfida di assemblaggio accettata da Bogdanovich che, nonostante gli intoppi legali, è riuscito a presentare al pubblico il film comprimendolo in appena due ore. Dapprima viene eseguita una proiezione del materiale provvisorio, poi avviene la presentazione in anteprima al Festival di Venezia nel 2018 ed infine la distribuzione nello stesso anno su Netflix. The Other Side of the Wind è finalmente a disposizione di tutti, divenendo il lascito di Welles.
La condanna di Orson Welles, talento gigantesco

L’ultima opera di Welles porta con sé quella solitudine perenne lungo tutto il suo percorso. Un autore che in parte si è sempre riflesso nei suoi personaggi pregni di tragicità shakespeariana. Mosso da un senso di incompletezza perdurata dal suo esordio, L’altra faccia del vento (così tradotto in italiano ) è a tutti gli effetti un testamento che rappresenta il suo finale di carriera, con un occhio però verso il futuro del cinema.
Perché proprio come il protagonista Jake Hannaford, Welles è consciamente appartenente a quella che ormai è la vecchia guardia, pronto a lasciare il passo a qualcun altro, a lasciare il cinema ai suoi “eredi”. Un gioco di specchi in stile La signora di Shanghai al quale partecipa ovviamente anche Bogdanovich che, come il suo personaggio all’interno del film, omaggia il maestro di tutti, completando l’incompleto.
Con The Other Side of the Wind si chiude quindi un cerchio iniziato da Quarto Potere, nel quale un uomo vieta l’ingresso nel proprio privato, incombendo però lentamente nella sua caduta e dipartita. Welles ha vissuto nella condanna del suo talento, fuggendo la vista del suo ritratto, di quel capolavoro del 1941. Oggi, nel giorno in cui compirebbe 108 anni dalla sua nascita nel 1915, tutta la sua opera è coesa e manifesto di una poetica unica e impareggiabile che fanno di Orson Welles un regista ed autore gigantesco, il più grande di tutti i tempi.