La sposa cadavere, ovvero l’emozione in stop motion

La sposa cadavere, film di Tim Burton (che si è avvalso della collaborazione di Mike Johnson) in stop motion è ora disponibile nel catalogo Netflix: andiamo a scoprire questo cult senza tempo.

Victor e Victoria sono due ragazzi che, nonostante non si siano mai incontrati, sono destinati a sposarsi a causa di famiglie mosse meramente da interessi personali. I genitori di Victor infatti sono borghesi arriccihitisi attraverso il commercio di pesce, mentre quelli di Victoria sono invece nobili decaduti, ormai senza risorse finanziarie.
Se i primi, parvenu non accettati nel mondo della nobiltà, vogliono sfruttare il blasone dei secondi che, di contro, vogliono approfittare della dote dei primi per rimpinguare la grave situazione economica nella quale versavano.
La timidezza e la goffaggine di Victor lo portano in un cimitero abbandonato a ripassare i passaggi della cerimonia di nozze e, mettendo l’anello al dito a quello che pensava essere un ramo di un arbusto, compare una sposa cadavere che afferma di essere quindi sua moglie.

Cos’è lo stop motion

Lo stop motion è una tecnica di animazione che ha come base di partenza gli scatti fotografici. In buona sostanza un’animazione in stop motion diviene video non prima di essere passata dal montaggio. Questo metodo conferisce pari dignità a fotografia, utilizzo del computer e creatività.
L’effetto finale, a giudicare dal film, è estremamente convincente. Va detto che non è l’unico film di Burton che ha utilizzato questa tecnica: ci sono anche Nightmare before Christmas (che però Burton ha solo prodotto) e Frankenweenie. Se invece vogliamo allargarci al di fuori dell’universo di Tim Burton possiamo citare un esempio come Fantastic Mr. Fox, di Wes Anderson, tratta da un’opera di Roald Dahl che, tornando al regista sopracitato, dovrebbe ricordarvi qualcosa che ha nel titolo la parola cioccolato…

Precedenti illustri di un cult recitato a metà

Se si parla di stop motion e di Tim Burton è opportuno citare Vincent Malloy, primo lavoro individuale del regista, risalente al tempo in cui lavorava per Disney.

Il cortometraggio dura sei minuti circa e mostra un bambino, sospettosamente simile proprio ad un giovanissimo Tim Burton, con una fervida immaginazione, a tratti delirante: è infatti appassionatissimo di Edgar Alla Poe e, leggendo le sue opere, finisce spesso per mescolare realtà e finzione.

Nonostante non disponesse di un budget elevato il corto mostra già il talento del regista, talento sul quale Tom Wilhite, capo dello sviluppo creativo di Disney, aveva deciso di scommettere.

Appare evidente come tale cortometraggio rappresenti un primo approccio alla tecnica, poi migliorato con La sposa cadavere e, infine, perfezionato proprio in Frankenweenie.

Per l’originalità, il senso del macabro inserito in un contesto che rende quasi impossibile prenderlo sul serio e tanti altri motivi che abbiamo già visto o che vedremo nel corso dell’articolo, La sposa cadavere è un cult che si propone come film per tutti, apprezzabile su più livelli.

Tim Burton non ha rinunciato ai suoi attori feticcio neppure in questo lungometraggio: Johnny Depp ed Elena Bonham Carter prestano infatti i propri volti ai personaggi di Victor ed Emily.

https://youtu.be/LZYPGhlQb4Q

Sodalizio Johnny Depp – Tim Burton

“Squadra che vince, non si cambia.”

Di solito questo detto risulta valido nello sport, perché però non estenderlo anche al cinema? L’accoppiata Tim Burton Johnny Depp è infatti essa stessa divenuta un cult del cinema in quanto il regista ha trovato nell’attore esattamente quelle caratteristiche che ricercava nei protagonisti dei suoi film.

Victor ne è un esempio: timido, maldestro, spesso impacciato. Spesso i protagonisti di Tim Burton lo sono. Depp le incarna alla perfezione, portandole spesso anche in personaggi che esulano dalla collaborazione in questione.

Il caso specifico di Victor si avvicina molto a Edward mani di forbice, altro personaggio cult del regista americano.

Victor ha le mani, ma è ugualmente goffo, ad eccezione però dell’arte. Poco importa che sia disegnare una farfalla, tagliare i capelli, suonare il pianoforte o potare una siepe con la forma di un animale, e poco importa quale dei due personaggi faccia cosa: l’arte trova sempre la via per emergere, ed essere maldestri non pregiudica ciò.

Alienazione

Un uomo che passa la scopa sincronizzato con un pendolo alle sue spalle. Una coppia che pulisce dei pesci con una meccanica preoccupantemente collaudata. Una farfalla colorata spezza una monotonia cromatica che ben rappresenta l’alienazione.
La città che viene mostrata è spenta e, tra gli abitanti di questo triste panorama, spiccano due coppie: i genitori dei due futuri sposi, entrambi più interessati a questioni personali che alla felicità dei figli, nemmeno consultati nella decisione di farli sposare tra di loro.
Questa triste condizione ha però una via di fuga estremamente simbolica: il protagonista disegna con grazia una farfalla, l’antagonista ne scaccia con la mano una che sta passando vicino a lui. Piccoli particolari, quasi insignificanti ma che, sommati tra loro (sono infatti estremamente ricorrenti) aumentano la posta in gioco e caricano i personaggi di empatia.

L’alienazione, unita all’egoismo, è quindi la controparte negativa dell’altruismo e della fantasia. Non a caso saranno proprio le scelte altruiste a far trionfare i buoni e l’egoismo a condannare il cattivo.

Burton è il Picasso del cinema?

No, non sto certo paragonando la cifra estetica di due artisti appartenenti a periodi e contesti totalmente differenti. Un elemento però li accomuna in modo particolare: il mezzo utilizzato per arrivare al vero proposito di entrambi: emozionare.
“A dodici anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino.”
Questa è forse la più celebre frase del pittore spagnolo e, non l’avesse detta lui, trasposta nel genere cinematografico, l’avrebbe certamente affermata Tim Burton.
I film di Burton riescono perfettamente a svilupparsi su due livelli: un primo di immediata intuizione, capace di avvicinarsi ad una comprensione rapida, fatta di una storia lineare e contrasti forti tra i personaggi, adatta, manco a dirlo, ad un pubblico più piccolo. Una seconda che regala emozioni a qualsiasi tipo di spettatore, attraverso virtuosismi, fantasia e citazioni (quel “francamente, me ne infischio” affermato da uno scheletro con baffetto alla Clark Gable ne è un valido quanto elegantissimo esempio).

Victor Victoria e Emily saventati

Umorismo come strumento

La chiave è non prendersi troppo sul serio?

I film di Tim Burton sono spesso coronati da una morale che nobilita la storia stessa. Ebbene questa pellicola non fa eccezione. Per rendere però meno evidente tale intento, il regista propone un’interessantissimo compromesso: l’umorismo. Chiariamoci, non si ride di certo a crepapelle guardando La sposa cadavere, la reazione che ne deriva è più il sorriso terenziano che la fragorosa risata plautesca.

Meglio così, perchè pensare, con il sorriso sulle labbra, risulta molto più semplice. Ma anche se quel sorriso diventasse una risata poco importa, basta tirare fuori il bambino che è in noi, come faceva quel famoso pittore spagnolo.

E voi, cosa ne pensate de La sposa cadavere?

Fatecelo sapere nei commenti e, per questa ed altre interessanti news, venite a trovarci sul nostro sito: Ciakclub.

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