Cannes 1960: quando Antonioni e Fellini svaligiarono La Croisette

Domani avrà inizio la 76esima edizione del Festival di Cannes, e per entrare nello spirito di uno dei più importanti eventi cinematografici, torniamo con la memoria alla sua 13esima edizione, quando, oltre a La dolce vita, venne presentato un altro dei capolavori del cinema italiano degli anni 60: parliamo de L’avventura di Michelangelo Antonioni.
Cannes 1960: quando Antonioni e Fellini svaligiarono La Croisette

Sta per cominciare il Festival di Cannes, uno degli appuntamenti più attesi del cinema a livello internazionale, giunto quest’anno alla sua 76esima edizione. Su quel palco, molti grandi titoli del cinema italiano hanno ottenuto visibilità e importanti riconoscimenti, a partire dalla prima Palma d’Oro conferita ad un film italiano nel 1945 con Roma Città Aperta, fino all’ultima statuetta andata al nostro Bel Paese soltanto nel 2001 con La stanza del figlio di Nanni Moretti.

In questa sede vogliamo in particolare ricordare l’edizione del 1960, quando Cannes era al suo 13esimo appuntamento, e l’Italia ancora dominava la Croisette. Quell’anno infatti due grandi registi italiani si portarono a casa tutto: Federico Fellini fece la storia con La dolce vita, che si aggiudicò un meritatissimo Gran Prix, mentre un altro regista italiano, suo coetaneo, emergeva tra i fischi del pubblico: parliamo di Michelangelo Antonioni, che vinse il Premio della Giuria con L’avventura.

Prima di entrare nel vivo del capolavoro di Antonioni, serve tornare a parlare della vittoria de La dolce vita per capire la portata di questi due film a Cannes. In un’edizione in cui Fellini ed Antonioni erano in concorso insieme a cineasti del calibro di Ingmar Bergman, Luis Buñuel e Nicholas Ray, lo spessore del nostro cinema era tale che se un italiano arrivava a vincere il Premio della Giuria, è solo perché un altro italiano aveva già preso la Palma d’Oro. Il Festival di Cannes nel 1960 sceglieva di andare controcorrente rispetto alle aspettative del pubblico, e con lungimiranza vide che La dolce vita e L’avventura avrebbero rappresentato eternamente la qualità del nostro cinema.

L’avventura: il modernismo cinematografico sbarca a Cannes

John Boorman, Billy Wilder, Michelangelo Antonioni e Satyajit Ray a Cannes nel 1982
John Boorman, Billy Wilder, Michelangelo Antonioni e Satyajit Ray a Cannes nel 1982

Ma vediamo ora qual è stata la novità portata avanti da Antonioni col proprio cinema, e in particolare con L’avventura. Questo film è il primo della cosiddetta “tetralogia esistenzialista” del regista ferrarese, composta anche da La notte (1961), L’eclisse (1962) e Il deserto rosso (1963), e che ha come protagonista la magnifica Monica Vitti, allora musa e compagna di Antonioni, di cui ricordiamo qui la scomparsa avvenuta lo scorso anno. Il film ricevette reazioni opposte: mentre ottenne il plauso della critica (confermato peraltro nel 1966 quando vinse la Palma d’Oro per Blow-Up), il pubblico di Cannes si espresse con fischi di disapprovazione.

Ciò che gli spettatori non apprezzarono, o che non compresero, fu la straordinaria novità di questo film, che è oggi considerato il precursore del modernismo cinematografico. Infatti, L’avventura è il primo film a mettere in scena la dissoluzione dell’intreccio narrativo, che passa in secondo piano rispetto invece alla componente spaziale, che si fa metafora dei sentimenti dei personaggi.

La trama: una donna scompare, e poi?

Gabriele Ferzetti e Lea Massari in una scena de L'avventura
Gabriele Ferzetti e Lea Massari in una scena de L’avventura

Per comprendere la complessità di quest’opera, è necessario inquadrarne brevemente la trama: l’azione ruota attorno alla scomparsa di Anna (interpretata da Lea Massari) nell’isola di Lisca Bianca, dove si trova con il fidanzato Sandro (Gabriele Ferzetti), l’amica Claudia (Monica Vitti) e un gruppo di amici della borghesia romana. A seguito di una discussione con Sandro, col quale ha una relazione insoddisfacente, Anna sparisce nel nulla. La sua scomparsa diventa per Claudia e Sandro un pretesto per avvicinarsi, ma i due cominciano rapidamente a provare una forte attrazione, diventando infine amanti.

Il fantasma di Anna tuttavia è una presenza costante nel loro rapporto, che viene inevitabilmente sporcato dalla loro instabilità emotiva, dalla facilità dei sentimenti e dalla loro mancanza di comunicazione. Claudia diventa Anna, mentre Sandro rimane l’architetto senza morale e senza ambizione, per il quale i rapporti umani non sono che, appunto, un’avventura. La bravura di Antonioni è quella di riuscire a comunicarci tutto questo con la sola resa spaziale del film, in un gioco di posizioni e di paesaggi che diventano un riflesso delle emozioni di questi personaggi e della loro inettitudine, sostituendosi alla loro incomunicabilità.

Lo spazio come riflesso dell’insofferenza borghese

Sandro e Claudia a Noto, in una scena del film
Sandro e Claudia a Noto, in una scena del film

Il cinema di Antonioni è costruito attorno ad una vera e propria poetica dello spazio, che quasi assume il ruolo di un personaggio: “il soggetto dei miei film nasce da un luogo, da un ambiente che voglio riprendere. In generale, io scelgo gli esterni prima ancora di scrivere la sceneggiatura”. Ciò che il regista fa dei paesaggi siciliani in cui la vicenda è ambientata, è di renderli uno specchio della confusione interiore dei personaggi, smarriti in un’epoca moderna in cui il boom economico e la conseguente industrializzazione hanno contribuito alla nascita di una borghesia materialista ed ipocrita, nuovo parassita post-guerra.

La simbologia dell’isola ne L’avventura

Claudia cerca l'amica Anna, nel mare in tempesta
Claudia cerca l’amica Anna, nel mare in tempesta

Basti pensare al ruolo dell’isola di Lisca Bianca all’interno della vicenda. Anna sparisce in questo luogo roccioso e selvaggio circondato dal mare, che si trova in uno stato di isolamento spaziale rispetto alla terraferma, a simboleggiare lo stesso isolamento fisico della donna. La reale scomparsa di Anna, finisce per diventare anche una scomparsa mentale: non solo Sandro e Claudia, le persone a lei più vicine, si innamorano, ma soprattutto si dimenticano progressivamente di lei, tanto che Claudia spera che l’amica che non ritorni più. La gran parte del film viene girato sull’isola, in cui si abbatte peraltro un forte temporale, come se il vento che l’accompagna fosse l’affermazione invisibile di Anna come soggettività fantasmatica su tutto il resto della vicenda.

La struttura triadica del film che scosse Cannes

Un esempio della struttura triadica del film che scosse Cannes: Anna è al vertice di questo triangolo amoroso
Un esempio della struttura triadica del film che scosse Cannes: Anna è al vertice di questo triangolo amoroso

Antonioni riesce a farci vedere Anna nonostante la sua assenza, costruendo il film secondo una struttura triadica che comincia sin da quando la donna è ancora in scena, ma che prosegue anche dopo la sua dipartita. Sin dalle prime inquadrature che vedono Anna, Sandro e Claudia insieme, le loro posizioni rappresentano il loro simbolico ménage à trois; dalla presenza voyeuristica di Claudia (e voluta da Anna) mentre quest’ultima e Sandro fanno l’amore, al successivo viaggio in macchina, in cui Anna già assume una posizione sovrastante rispetto agli due, come a significare che da lì in poi guarderà dall’alto su di loro.

L’Etna come sintesi finale dell’opera

L'inquadratura finale de L'avventura, in cui l'Etna si staglia all'orizzonte
L’inquadratura finale de L’avventura, in cui l’Etna si staglia all’orizzonte

Ma ancora più rappresentativo di questo triangolo è l’inquadratura finale del film, in cui, dopo che Sandro è stato sorpreso a tradire Claudia, i due si incontrano in una piazza a Taormina. Sono entrambi scossi ma non dicono nulla, e Claudia si limita a poggiare la sua mano sulla nuca di Sandro. Tuttavia, il paesaggio ci comunica molto di più di quanto non faccia la coppia: sullo sfondo si staglia da una parte l’Etna (simbolo della struttura triadica che lega tutto il film), e dall’altra parte invece si innalza un muro. La dualità di questo paesaggio corrisponde alla differenza inconciliabile tra lui e lei, ma anche al contrasto tra la vecchia Italia e quella nuova e industriale che incombe.

Se non avete ancora visto L’avventura, vi consigliamo caldamente di recuperare questo capolavoro di uno dei maestri del cinema italiano, molte volte paragonato ad un pittore per la bellezza e lo studio dietro ad ogni sua inquadratura. In un cinema che sembra essere sempre rapido e sovrabbondante, la poetica di Antonioni ci fa tornare a passo d’uomo, presentandoci con leggerezza i drammi umani, e maneggiandoli con cura.

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